Il commento di Menachem Gantz
Menachem Gantz è corrispondente a Roma del quotidiano israeliano Yediot Haharonot
Nei giardini profumati di primavera con un mare di fiori, in una villa privata in via della Camilucia a Roma, una signora americana che segue da vicino le amministrazioni americane da oltre 35 anni, mi chiede: "che cosa avete voi israeliani, che non riuscite a sostenere pienamente un primo ministro come Benjamin Netanyahu, dopo un discorso straordinario come quello che ha pronunciato questa settimana al congresso americano?".
Tante cose sono successe questa settimana. I leader del G8 sono riuniti in Francia, gli egiziani hanno riaperto il passaggio fra Gaza e Egitto a Rafah, (e hanno perso complitamente il controllo del Sinai) ma è vero, senz' altro questa era la settimana di Benjamin Netanyahu.
Il suo discorso in Washington ha lasciato senatori repubblicani e democratici soddisfatti. Molto sodisfatti. 45 volte lo hanno interrotto con applausi, 31 volte si sono alzati in piedi per sottolineare il loro consenso. La signora americana che ho incontrato, non ha nascosto le sue idee politiche. Lei stessa era vicinissima ad un grandissimo presidente republicano nel passato. Sull' attuale Presidente americano non nasconde la delusione: "Prima di Obama, ebrei di idee diverse hanno preferito presentare loro dissenso in forma privata. Obama ha cambiato tutto. Oggi gli ebrei americani che pensano diversamente riguardo Israele lo dicono apertamente". Il discorso di Obama della settimana scorsa in cui indicava la linea verde del ' 67 come confine del futuro stato palestinese, mostrava secondo lei quanto il presidente americano è lontano dalla realtà.
Netanyahu, durante il suo discorso, ha cercato di rispondere giustamente a lei, ma anche al sostenitori del Presidente Obama. La storia lo ha già insegnato nel primo mandato durante l' amministrazione di Bill Clinton, che i presidenti americani non piacciono quando un primo ministro di un paese alleato cerca di usufrire del congresso per motivi suoi e schierarlo contro il Presidente. Questa volta Netanyahu era piu cauto. Manteneva il rispetto per il Presidente USA e nello stesso tempo ha chiarito che Israele ha posizioni diverse. Netanyahu è sicuro che alla fine della sua visita a Washington è riuscito a bloccare una opposizione da parte della comunità internazionale verso Israele con domande simili a quelli che ha illustrato a Obama, e nello steso tempo ha parlato per la prima volta di "una proposta generosa di territori" come base per il futuro stato palestinese, sottolineando per la prima volta ad alta voce: "alcune degli insediamenti non rimarranno sotto il nostro controllo".
Il primo ministro Israeliano era convincente. I commentatori israeliani hanno ricordato che nessuno avrebbe parlato meglio agli americani. Il suo inglese fluente, i termini e le espressioni che usa lo fanno quasi uno di loro, e non c'è dubbio che il PM israeliano ama, già dai tempi che era ambsciatore all' Onu, usare l'inglese che lo rese famoso a Washington anni fa. Diceva le cose essenziali che ancora una volta il mondo deve ricordare. Raccontava la verità semplice, quella che tanti preferiscono dimenticare, sul legame del mondo ebraico e la terra d' Israele, e sul fatto che non abbiamo nessun altro posto al mondo tranne quello che abbiamo costruito e difesso pagando un prezzo altissimo.
Ma non era un discorso storico nel livelo dei grandi leader della storia, non ha cambiato il vento, e non ha segnalato un nuovo traguardo. la signora americana che ho incontrato nei giardini profumati a Roma ha capito: "gli israeliani vogliono sapere cosa succede domani mattina. Come si va avanti, cosa si fa per garantire un futuro piu sicuro. Ma non vuole dire che è colpa di Netanyahu se la sitauzione e bloccata, non vuole dire che non ha fatto il massimo che poteva per portare la pace avanti". Ed è propio questo quello che ci si domanda ancora a Washington, Gerusalemme e Ramallah, dove non si cercano piu colpevoli, ma una risposta chiara: come si sblocca la situazione?