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Il Foglio Rassegna Stampa
28.05.2011 Libia: Si spara a Misurata mentre la Nato 'finisce il lavoro' a Tripoli
gli ultimi sviluppi della crisi libica

Testata: Il Foglio
Data: 28 maggio 2011
Pagina: 3
Autore: La redazione del Foglio
Titolo: «Si spara a Misurata mentre la Nato 'finisce il lavoro' a Tripoli»

Con il titolo "Si spara a Misurata mentre la Nato 'finisce il lavoro' a Tripoli", il FOGLIO di oggi, 28/05/2011, pubblica a pag.3 un articolo sugli ultimi sviluppi della crisi libica.

Bengasi. Il colonnello Muammar Gheddafi è silenzioso, si nasconde dalle bombe della Nato che colpiscono Tripoli, la notte. Tutte le notti, a un ritmo spietato, in un’escalation che i portavoce dell’Alleanza atlantica tentano di ridimensionare mostrando mappe e target militari. Più a est, le truppe del colonnello continuano ad attaccare i ribelli. A duecento chilometri di distanza dalla capitale, Misurata è ancora sotto assedio. Ieri, all’alba, le forze ribelli sono state prese di mira a colpi di mortaio. Hanno risposto con i lanciarazzi e le mitragliere. Pochi giorni fa, gli uomini di Gheddafi sono stati spinti a ovest, fuori dal martoriato centro cittadino. Misurata ha festeggiato, dopo settimane di assedio, di bombardamenti, di guerriglia urbana e violenze. I ribelli che controllano la città accerchiata dalle forze del colonnello hanno conquistato l’aeroporto, preso possesso di una grande quantità di armi lasciate dai soldati del regime in fuga, spinto le truppe pro governative abbastanza lontano dai confini urbani. Ma la minaccia resta, mentre gli occhi vigili del mondo cercano di scoprire dove si nasconda Gheddafi. Gli aerei da guerra dell’Alleanza atlantica continuano a colpire le strutture del regime, dicendo di sostenere così la protezione dei ribelli che lentamente avanzano verso ovest. “Dobbiamo finire il lavoro in Libia”, hanno detto ieri al G8 di Deauville, in Francia, il presidente americano Barack Obama e il padrone di casa, Nicolas Sarkozy. La campagna militare della Nato s’espande: Parigi e Londra hanno deciso di inviare elicotteri d’attacco: i Tiger francesi e gli Apache britannici si occuperanno di rendere sicura una zona cuscinetto di 25 chilometri quadrati attorno a Misurata ma, dicono gli esperti, la loro entrata in scena implica la presenza a terra temporanea di truppe dell’Alleanza. Fonti di intelligence hanno fatto sapere che i gruppi speciali britannici sono già al lavoro per capire, attraverso i negoziati che sarebbero segretamente in corso tra alcuni ribelli e il regime, dove si trova il colonnello, per tendergli una trappola. La natura della guerra libica è in progressiva trasformazione ormai da settimane. Il mandato della Nato di protezione dei civili – mandato umanitario, deciso da una soluzione delle Nazioni Unite, seguito da una settimana di bombardamenti di Francia, America e Regno Unito prima di finire sotto il cappello della Nato – si è allargato a una caccia all’uomo, l’introvabile rais Gheddafi. Si nasconderebbe, hanno rivelato nelle scorse ore fonti diplomatiche, in un ospedale diverso ogni notte, a Tripoli, all’ombra dei civili, per limitare le azioni dell’Alleanza. E la Russia, contraria alla campagna militare ma ostile al governo Gheddafi, ha fatto sapere ieri che è pronta a mediare un’uscita di scena del rais – ormai non si contano più i tentativi di mediazione proposti e lasciati cadere da molti paesi coinvolti nella missione. Il leader di Tripoli, nei giorni scorsi, avrebbe chiesto un cessate il fuoco definito “non credibile”dalla Casa Bianca. Non a torto, visto che i colpi di artiglieria continuano a piovere su Misurata, dove i giornalisti stranieri sono sempre di meno e da dove arrivano sempre meno notizie. Le mille vittime della battaglia I recenti successi dei ribelli a Misurata hanno dato un colpo allo zoppicante regime libico, anche se è ancora presto per dichiarare definitivo il controllo delle deboli, divise e poco esperte forze rivoluzionarie su questo porto strategico. E’ dal 24 febbraio che tra le strade di Misurata si combatte una battaglia che secondo le organizzazioni umanitarie internazionali avrebbe fatto oltre mille vittime, la maggior parte civili L’assedio della terza città della Libia è stato definito dai leader internazionali “medioevale”. Nella città accerchiata, sotto il fuoco nemico, è quasi impossibile trovare frutta e verdura. Nelle botteghe e nei negozi di alimentari scarseggia quasi tutto e la popolazione va avanti a tonno in scatolette. I rifornimenti arrivano dal mare. L’elettricità è razionata e manca per gran parte del giorno e della notte. Le forze del colonnello Gheddafi, meglio addestrate, meglio armate di quelle dei ribelli, hanno bombardato per settimane con metodo e intensità le strade della città. Hanno usato missili Grad, bombe a grappolo (vietate dalla maggior parte dei paesi), hanno usato l’artiglieria pesante. Lo hanno fatto indiscriminatamente, contro obiettivi civili, contro il porto in cui approdano le navi delle organizzazioni umanitarie, con i rifornimenti di acqua, cibo e medicinali, e dove i lavoratori stranieri aspettano il loro turno per salire a bordo e fuggire. La linea del fronte in questa battaglia urbana è stata per settimane il centro della città, il suo ricco cuore commerciale. Sharia Trablus, via Tripoli, era un tempo il luogo più trafficato: impossibile trovare un posto dove parcheggiare davanti alle botteghe dei commercianti tessili, davanti agli affollati caffè. Oggi, il centro di Misurata è una zona di guerra, con pochi edifici in piedi. Quelli che ancora resistono hanno i muri crivellati o sventrati dai colpi di artiglieria.La strada è invasa dalle macerie, distrutta dalle esplosioni. Le fotografie che arrivano dal fronte ricordano le antiche immagini dei quartieri del centro di Beirut, sfigurati da anni di guerra civile. Fin dai primi attimi della rivolta libica, gli abitanti di Misurata hanno preso le parti della rivoluzione, rivendicando il controllo della città. Ma il colonnello Gheddafi ha inviato le sue truppe, ha ordinato ai cecchini di posizionarsi sui tetti degli edifici più alti del centro, protetti dai carri armati e dai blindati nelle retrovie. A Misurata, però, gli uomini armati del regime si sono trovati di fronte a una resistenza diversa rispetto a quella disordinata e inconcludente che da mesi combatte – e si vendica degli ex del regime – nel deserto a ovest di Bengasi, tra le cittadine di Ajdabiya, Brega e Ras Lanuf. A Misurata Gheddafi si è trovato di fronte a uomini che combattono per difendere la loro città e non giovani guerrieri improvvisati, arrivati da lontano: negozianti, imprenditori, liberi professionisti pronti a rischiare la vita pur di salvare le proprie famiglie imprigionate in un campo di battaglia. I ribelli, a differenza delle forze del regime in arrivo da Tripoli, conoscono ogni strada, ogni vicolo, ogni anfratto della città perché ci sono cresciuti, ci hanno vissuto e lavorato. E il contesto urbano della battaglia, alla lunga, ha dato ragione agli abitanti, costretti a lasciare i propri uffici per combattere dietro alle barricate senza mai averlo fatto prima. I ribelli hanno bloccato gli accessi al centro, isolato gli edifici dove si trovavano i cecchini, bloccato le linee di rifornimento muovendosi con astuzia per strade e piazze a loro note, armati di armi leggere e pazienza. E dopo giorni di attesa sono riusciti a neutralizzare anche l’ultimo cecchino, a spingere le forze rivali fuori città, verso ovest, a difendere quel porto così importante, vitale per le sorti della città. Per settimane le navi hanno continuato ad attraversare il Golfo della Sirte, salpando da Bengasi, a oltre 20 ore di navigazione. Hanno sfidato i bombardamenti per portare in salvo i feriti più gravi, per imbarcare i lavoratori stranieri, traghettare i volontari delle organizzazioni internazionali, garantire i rifornimenti di cibo e carburante alla città, per portare a Misurata i (pochi) giornalisti e in più di un caso per rifornire di armi e munizioni i combattenti. Un assedio lungo dodici settimane L’assedio di Misurata è andato avanti per più di dodici settimane: si combatte per la sopravvivenza, per le sorti della guerra e della rivoluzione. Misurata è un obiettivo strategico, centrale per capire le direzioni del conflitto. Con il suo porto e i suoi 500 mila abitanti è la capitale commerciale. Misurata, ha raccontato al Foglio un professore di storia dell’Università di Bengasi, è nell’immaginario comune libico simbolo di ricchezza e abilità commerciale. E’ la città della borghesia commerciale, di una classe media emersa a fatica nonostante gli impedimenti al libero mercato del regime del colonnello. A differenza di altri centri costieri come Ras Lanuf e Brega, non è uno snodo petrolifero. Città come Sirte, più a est, dove è nato il rais, e Sabha, a sud, dipendono per gli approvvigionamenti dal porto di Misurata. La città, forse già insediamento urbano al tempo dei fenici, è a soli 211 chilometri da Tripoli: troppo vicina per cadere nelle mani dei ribelli senza diventare minaccia al potere di Gheddafi. La popolazione ha preso fin da subito le parti della rivoluzione nonostante il governo nei decenni abbia investito nella città, a differenza di quanto accaduto nell’est, simbolo di ribellione e dissenso agli occhi del rais. Misurata, ha spiegato al Foglio Thomas Hüsken, esperto tedesco di Libia dell’Università di Bayreuth, era un piccolo porto non molto sviluppato fino agli anni Cinquanta. Il regime di Gheddafi, nel suo tentativo di assicurarsi lealtà fornendo servizi e costruendo infrastrutture, ha sviluppato la cittadina. Le attenzioni del rais non sono però bastate ad arginare la rivolta. Per i ribelli è obbligatorio vincere la battaglia di Misurata perché la città è l’unico grande centro all’est nelle mani della rivoluzione, è una porta aperta verso Tripoli. Il suo controllo cancella ogni opzione di spartizione del paese, eventualità che la leadership di Bengasi esclude con forza da tempo. “Libia libera e Tripoli capitale” è scritto ovunque sui muri nell’est del paese. La vittoria a Misurata garantisce alle forze ribelli un porto funzionante nell’ovest in mano a Gheddafi e, soprattutto, isola le forze del regime impegnate nei combattimenti a Brega. Attraverso la città, ha spiegato al Foglio a Bengasi il generale ribelle Ahmed Qutrani, passa la strada principale che collega Tripoli a Sirte, roccaforte del regime, e poi all’area dei combattimenti lungo il fronte-frontiera con l’est. “Senza il controllo di quella strada – ha detto il generale Qutrani – le forze di Gheddafi sono costrette a fare un lunghissimo giro a sud per andare da Tripoli a Sirte”. Per le forze pro regime, invece, è obbligatorio vincere a Misurata per rifornire le truppe più a est, avere una via di accesso facile alle installazioni petrolifere di Brega e Ras Lanuf, dove si trovano due importanti raffinerie e soprattutto per poter mantenere il controllo su Sirte e difendere la vicina Tripoli.

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