La Naqba 'fai da te'
di Mordechai Kedar
(traduzione di Laura Camis de Fonseca)
Mordechai Kedar
In arabo la parola 'nabqa'significa catastrofe, tragedia immane.
E’ la parola che usano gli arabi e gli islamici per indicare l’inizio dei mali della ‘Palestina’, quando la ‘terra santa’ divenne 'schiava del sionismo', emissario dell’imperialismo europeo, in una specie nuova di crociata.
Alla fine della guerra d’indipendenza d’Israele nel 1948, 600 000 Arabi della regione Palestina/Israele rimasero come rifugiati nei campi di Libano, Siria, Giordania, Giudea e Samaria (allora sotto controllo giordano), Gaza (allora sotto controllo egiziano), Egitto e Libia.
Si trattòin effeti di una grande catastrofe, non soltanto per le traversie che toccarono agli arabi nella vita concreta, ma anche - forse soprattutto - per la tragedia psicologica che da 63 anni accompagna le difficoltà fisiche: Israele è sopravvissuto alla guerra di indipendenza e alle guerre che ha dovuto affrontare successivamente. Israele ce l’ha fatta, si è espanso e sviluppato, è rifiorito, mentre i palestinesi sono rimasti con il proprio sogno infranto.
Israele ha avuto successo e loro hanno fallito - da qui la loro gelosia. Quanto più cresce la gelosia, tanto più cresce l’odio.
Lo stato di Israele è lo specchio in cui gli arabi vedono il proprio fallimento. Mentre il popolo ebraico festeggia i 63 anni di rinnovata indipendenza dopo 1940 anni di esilio, loro registrano 63 anni di inadeguatezza costante.
Gli anni di lotta contro il sionismo fino ad un certo punto servirono a unire gli arabi di Palestina/Israele sotto la guida di Haj Amin Husseini, cui gli Inglesi davano la caccia per le sue attività .
Egli assoldò decine di migliaia di musulmani balcanici per conto delle SS, perchè impedissero agli ebrei di entrare in Israele, soprattutto controllando i collegamenti ferroviari che nel 1944 trasportavano gli ebrei ungheresi alla morte per mano dei nazisti.
Molti, anche fra gli israeliani, non sanno che il capo degli arabi di Palestina fu parte della macchina di sterminio usata per assassinare gli ebrei d’Europa. Ma Hussein ed i suoi padroni nazisti furono sconfitti e lo stato di Israele fu creato tre anni dopo la loro sconfitta.
Il 29 novembre 1947 vennero resi pubblici i risultati della votazione dell’Assemblea Generale ONU sul piano di spartizione, che assegnava agli ebrei d’Israele tre parti: il deserto del Negev e due strisce sottili lungo la fascia costiera e in Galilea.
Allora gli ebrei danzarono per le strade per celebrare lo storico evento.
Gli arabi si opposero con forza a quello che difinirono il ‘furto della Palestina’. La differenza fra l’approccio arabo e quello israeliano era evidente già allora: costruttivo e ottimista quello degli ebrei e distruttivo, negativo quello degli arabi. Atteggiamento distruttivo verso gli ebrei, ma anche verso se stessi.
L’esempio più chiaro è la scelta del momento per la proclamazione dello stato: nonostante le difficoltà di una guerra terribile e il mancato controllo di vaste aree di territorio, gli ebrei non attesero neppure un giorno e proclamarono l’indipendenza dello stato appena gli inglesi lasciarono il mandato, anzi prima: il 15 maggio cadeva di sabato, e lo stato fu proclamato il giorno prima, venerdì 14 maggio, per non profanare il sabato.
In base alla loro interpretazione degli accordi di Oslo, i palestinesi avrebbero potuto proclamare la propria indipendenza sin da metà 1999, eppure 12 anni più tardi non l’hanno ancora fatto.
La loro dichiarazione d’indipendenza del 1988 fu fatta solo a parole, non con iniziative pratiche, eccetto per la stampa della dicitura ‘Presidente dello Stato di Palestina’ sulla carta intestata del capo dell'Olp.
I palestinesi hanno stilato un elenco di quasi 500 città, villaggi e insediamenti caduti in 'mani sioniste'.
Il governo di Israele ha confiscato molti terreni, soprattutto a seguito della legge del 1950 sui 'proprietari assenti'. Ha costruito kibbutz, moshav, paesi e città, per cui in molti casi non rimasero tracce del loro essere state terre arabe prima della Guerra di Indipendenza.
Gli israeliani hanno bonificato paludi e costruito comunità mentre i palestinesi rimanevano nei campi profughi.
I campi di transito per gli immigrati in Israele sparirono negli anni ’50 e gli immigrati hanno costruito una nuova società ottimista, mentre gli arabi rimangono nei campi profughi, ‘marchiati’ dai paesi che li ospitano perché non si integrino con la popolazione locale.
Israele ha creato una nuova società che si è liberata nel tempo della mentalità degli ebrei della Diaspora, ed ha colmato le differenze culturali fra i vari gruppi rientrati nell’antica patria dai quattro angoli del mondo.
Il desiderio di raggiungere l’indipendenza economica ha dato ali all’economia del paese e l’ha portata nell’ambito dei primi fra i paesi sviluppati.
L’industria israeliana si è estesa a ogni tipo di prodotto, la tecnologia è famosa nel mondo, lo shekel è una delle monete forti.
I palestinesi invece hanno fatto del loro status di rifugiati una vocazione, hanno fatto dell’elemosina un’arte e hanno trasformato la loro miseria in uno strumento per incolpare la coscienza del mondo.
Fin dall’inizio Israele ha dissolto i propri gruppi armati che operavano prima della costituzione dello stato: l' Haganah, l’Irgun (Etzel) e il Lehi vennero sciolti e le loro armi furono confiscate.
La crisi si presentò nel giugno 1948, quando la nave Altalena che portava armi a Etzel, necessarie per la battaglia di Gerusalemme, fu affondata.
Ben Gurion, che agiva per senso del primato dello stato, rifiutò persino di ricorrere alla confisca. Senza entrar nel merito della questione se Ben Gurion ebbe torto o ragione, è indiscutibile che Israele sopravvisse nei primi anni, di gran lunga i più difficili della sua storia, perché la nazione agì ‘come una sola persona’, anche se non sempre ‘con un solo cuore’. La preminenza dello stato ebbe la meglio sulla faziosità, e lo stato esercitò l’egemonia su tutti i gruppi, anche con la forza.
I palestinesi invece sono sempre più divisi; l’uno dopo l’altro sorsero gruppi come al-Qawmiyun al-Arab, al-Feda’iyun, al-Sa’iqa, al-’Asifa, Fatah, il Fronte Popolare, il Fronte Democratico, il Fronte di Liberazione Arabo, Jihad Islamico, Hamas e molti altri.
Non soltanto questi gruppi non collaborano, ma spesso si sono combattuti a hanno versato sangue fraterno. L’ultimo ciclo di violenza si è visto a giugno 2007, quando le milizie di Hamas assunsero il controllo della Striscia di Gaza sparando spietatamente alle guardie dell’Autorità Palestinese e gettando giù in strada quelli che avevano cercato rifugio nei piani altri degli edifici.
Subito dopo la proclamazione lo Stato d’Israele venne riconosciuto internazionalmente e divenne membro dell’ONU.
Israele non è mai stato coinvolto in guerre contro paesi non arabi o non islamici, ed è persino stato in trattative per entrare nella NATO.
I palestinesi invece sono entrati in conflitto con tutti i vicini e i loro ‘fratelli arabi’ ne hanno uccisi molti più di tutte le guerre di Israele: nel settembre 1970 l’esercito giordano uccise circa 20 000 Palestinesi che controllavano vaste aree nel nord del paese, nell' agosto 1976 l’esercito siriano uccise migliaia di palestinesi a Tel al-Za’tar; nel settembre 1982 le milizie cristiane libanesi uccisero centinaia di palestinesi nel campo profughi di Sabra e Shatila (Beirut, uccisioni che furono attribuite a Israele perché forze dell’esercito israeliano presenti nei dintorni lasciarono mano libera ai Maroniti).
Nell' agosto 1990 l’esercito iracheno invase il Kuwait e distrusse il paese, con il pieno sostegno di Arafat.
Quando il Kuwait fu liberato, nel marzo 1991, il Kuwait espulse centinaia di migliaia di palestinesi che lavoravano lì da anni, per vendicarsi di Arafat , alleato di Saddam.
La Libia espulse migliaia di palestinesi dopo la firma dei patti di Oslo nel 1993, e nell’aprile 2003, subito dopo la cacciata di Saddam Hussein, centinaia di iracheni armati di coltello fecero irruzione nelle case dei palestinesi a Baghdad per vendicare il prolungato sostegno offerto dai palestinesi a Saddam, e come conseguenza si formarono quattro nuovi campi di rifugiati palestinesi.
I cittadini di Israele, arabi ed ebrei, hanno per legge pari diritti, mentre i rifugiati palestinesi in Libano non hanno ancora la cittadinanza.
La costituzione libanese stabilisce esplicitamente che i rifugiati palestinesi non potranno mai ottenere la cittadinanza, anche se alcuni di loro sono andati in Libano prima della Guerra di Indipendenza (1948).
.Per oltre 60 anni la legge libanese ha chiuso ai palestinesi l’accesso a circa 70 diverse attività lavorative. La lista discriminatoria è stata ora ridotta a circa 20 professioni, ma nessuno al mondo ha detto una parola di condanna per questa discriminazione odiosa.
Gli arabi in Israele invece possono studiare e lavorare in qualunque settore. Non c’è da stupirsi se gli arabi fanno di tutto per stare in Israele, anche con matrimoni fittizi con donne israeliane per ottenere il visto, o attraversando clandestinamente le frontiere, soprattutto da sud.
Il risultato è che il popolo israeliano nei suoi 63 anni di indipendenza si è andato via via rafforzando nonostante le guerre, le difficoltà e l’incertezza, mentre i palestinesi han proceduto a casaccio, andando di male in peggio.
Per 63 anni gli arabi hanno inflitto ai palestinesi, ed i palestinesi a se stessi, una Nabqa voluta da loro.
L’abbattimento delle barre di frontiera (con l’Egitto) il 15 maggio scorso simboleggia meglio di ogni altra cosa la loro situazione.
Sono a mani vuote, gli manca tutto, mentre Israele è uno Stato ordinato e ben strutturato, che può persino permettersi di affrontare i problemi che li riguardano con attenzione e pazienza.
Mordechai Kedar fa parte del Centro Studi sul Medio Oriente e sull’Islam della Università Bar Ilan, Israele. Collabora a Informazione Corretta