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L'Opinione Rassegna Stampa
24.05.2011 Obama non convince il popolo pro-Israele
Analisi di Stefano Magni

Testata: L'Opinione
Data: 24 maggio 2011
Pagina: 12
Autore: Stefano Magni
Titolo: «Obama non convince il popolo pro-Israele»

Su L'OPINIONE di oggi, 24/05/2011, con il titolo " Obama non convince il popolo pro-Israele ", Stefano Magni commenta il discorso di Barack Obama all'assemblea AIPAC.
Ecco l'articolo:


 Come è possibile che, domenica scorsa, il presidente degli Usa, Barack Obama, parlando di fronte alla platea dell’Aipac (l’associazione pro-Israele americana) abbia raccolto un’accoglienza tiepida e qualche fischio... proprio all’indomani della vittoria sul terrorismo islamico? E’ una questione di cultura politica. Obama parla a nome di un pezzo di America progressista, laica e di sinistra, che vede nella politica di Israele un brutto ostacolo alla pace nel Medio Oriente. Ma lo dice a un pubblico che difende la sopravvivenza dello Stato ebraico e non suscita grandi entusiasmi. Spesso, troppo spesso, si pensa che l’America sia inscindibile da Israele per la sua “lobby ebraica”. E’ un errore. E deve averlo commesso anche Barack Obama: votato dal 78% degli ebrei d’America, ha sentito di aver carta bianca sul Medio Oriente, ha creduto di poter ridiscutere questo rapporto sessantennale, chiedendo sacrifici territoriali, unilaterali, al solo Stato ebraico. Al contrario, il rapporto tra Usa e Israele non è affatto inscindibile e gli ebrei d’oltre Oceano lo sanno: fino a Franklin Delano Roosevelt, poi ancora con “Ike” Eisenhower, la superpotenza americana era più incline verso il mondo arabo che non verso la nuova nazione sionista. La comunità ebraica teme che, un nuovo presidente in cerca di svolte storiche, possa decidere di abbandonare ancora Israele nelle fauci dei suoi nemici. Secondo: la comunità ebraica, appena 5 milioni di individui, non è il vero bastione dell’alleanza israeliano-americana. Chi, in America, fa pendere l’opinione pubblica dalla parte della piccola democrazia è la maggioranza cristiana evangelica, per motivi soprattutto religiosi: è Israele la terra del ritorno del Messia, dunque quella landa lontana va difesa, con le unghie e coi denti, dalle potenze musulmane che la vorrebbero distrutta. Più pragmaticamente, con argomenti laici, sono soprattutto i neoconservatori che vedono nella lotta per la sopravvivenza della piccola democrazia occidentale incastonata in un mare di dittature arabe l’unico modo per affermare i valori (e gli interessi) occidentali nel Medio Oriente. Dunque, Barack Obama ha parlato di fronte a una platea filo-Israeliana, considerando di avere alle spalle un appoggio ebraico che potrebbe non avere più, e ignorando il fatto che non è solo e non è tanto l’appoggio della comunità ebraica a determinare il consenso sulla politica americana mediorientale. Obama dice: per salvare la pace, Israele deve abbandonare territori e tornare ai confini del ‘67. Poi è costretto a rettificare: “ferme restando le nuove realtà demografiche”. Quindi senza costringere quel mezzo milione di ebrei che vivono in Cisgiordania a lasciar le loro case? Forse. Alla fine ne esce una gran confusione, dalla quale si capisce solo che Israele, Stato aggredito, deve fare sempre nuovi sacrifici. Ed è questo il messaggio che, comprensibilmente, non piace. Obama coglierà il messaggio? Forse no, perché non sono pochi i media che hanno riportato la sua accoglienza all’Aipac in toni trionfalistici, amplificando gli applausi e ignorando i fischi. Secondo: perché Russia, Onu e Unione Europea sostengono il piano di pace di Obama. Ed è questo allineamento di governi che interessa il presidente democratico. Non tanto quel che pensa l’opinione pubblica americana. Tanto meno quel che subiscono e subiranno i diretti interessati in Israele.

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