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La Stampa Rassegna Stampa
22.05.2011 Egitto, violenze contro i copti. Il vescovo di Luxor nasconde la testa sotto la sabbia
Preferisce incolpare Mubarak e sostenere che non sia una guerra di religione

Testata: La Stampa
Data: 22 maggio 2011
Pagina: 15
Autore: Andrea Tornielli
Titolo: «Gli sgherri di Mubarak dietro le violenze ai copti»

Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 22/05/2011, a pag. 15, l'intervista di Andrea Tornielli a Joannes Zakaria, vescovo di Luxor, dal titolo "Gli sgherri di Mubarak dietro le violenze ai copti".


Joannes Zakaria

Il vescovo di Luxor Joannes Zakaria cerca di minimizzare la portata degli attacchi islamici contro i copti in Egitto. Quando Tornielli gli fa notare che la matrice islamica degli attentati è innegabile, Zakaria si arrampica sugli specchi, non può negare l'evidenza, ma cerca di scaricare la responsabilità su Mubarak. Prima sostiene che sono delle schegge impazzite pro Mubarak ad aver manovrato gli attentati, poi che si tratta di terroristi che erano statai banditi da Mubarak e che ora sono tornati in Egitto. Forse Zakaria farebbe meglio a riflettere sul fatto che i futuri governanti dell'Egitto, i Fratelli Musulmani, hanno lasciato la sharia nella costituzione. E' difficile credere che non sia guerra di religione, ma semplice politica.
Ecco l'intervista:

Gli attacchi contro i cristiani che si susseguono in Egitto sono fomentati da gruppi di seguaci di Mubarak o da estremisti islamici che arrivano dall’Arabia Saudita. Dietro c’è più politica che religione...». Joannes Zakaria, 61 anni, vescovo copto cattolico di Luxor, è una delle guide del piccolo gregge di egiziani in comunione con la Chiesa di Roma, appena 400 mila degli otto milioni di cristiani copti. Nei giorni scorsi un’altra chiesa è stata presa di mira e data alle fiamme da alcuni musulmani che uscivano dalla preghiera in moschea.
Quella che sta avvenendo in Egitto è una guerra di religione?
«Non credo proprio. I musulmani salafiti che si sono resi protagonisti degli attacchi sono fomentati da schegge dei vecchi servizi segreti di Mubarak, che prima li usavano per combattere i Fratelli musulmani e oggi li usano per creare un clima di tensione. Si tratta di azioni che hanno un fine politico, quello di aumentare le tensioni e far rimpiangere il regime precedente».
La matrice islamica di queste azioni contro i copti però è evidente...
«Bisogna considerare che oggi sia i salafiti, sia i Fratelli musulmani e gli integralisti del Jihad vogliono prendere le redini della rivolta, capeggiarla, guidarla. Mubarak aveva messo al bando gli estremisti. Dopo che il presidente è andato in esilio ed è stato riaperto l’aeroporto, sono tornati in Egitto circa tremila fondamentalisti egiziani che si erano rifugiati in Afghanistan, in Bosnia e anche in Iran».
Al momento della grande protesta popolare che ha fatto cadere Mubarak, cristiani e musulmani erano fianco a fianco. Che cosa è cambiato?
«È vero, cristiani e i musulmani stavano insieme. E sulla piazza Tahir, quando i musulmani pregavano, i cristiani si mettevano attorno a loro, per proteggerli. Ma, caduto Mubarak, adesso ogni gruppo cerca di appropriarsi della rivoluzione. In altri Paesi a maggioranza islamica è molto diffusa l’identificazione del cristianesimo con l’Occidente. In Egitto questo è più difficile, la nostra è una Chiesa antichissima, “copto” significa egiziano, eppure miseria e ignoranza facilitano le semplificazioni, anche da noi. Bisogna poi tener presente che i copti sono impegnati in una testimonianza molto attiva, sono presenti sulla scena pubblica».
Teme che con la democrazia vera si possa arrivare a un governo che imponga la sharia al Paese?
«Durante la rivolta in piazza gli egiziani hanno lottato per i loro diritti, anche la voce dei cristiani è stata importante. Avremo ancora difficoltà, ma confido nel fatto che molti intellettuali islamici hanno cominciato a riconoscere che l’imposizione della sharia è risultata fallimentare, in Sudan come dovunque. Certo, in Egitto il 90 per cento della popolazione è musulmana, noi cristiani siamo solo una minoranza. C’è il rischio che si diffonda sempre di più la mentalità secondo la quale il ritardo del progresso in Egitto sarebbe stato causato dalla mancata applicazione della legge islamica. Ma noi copti siamo anche la minoranza più consistente e ascoltata del mondo mediorientale. Nel nuovo Egitto cristiani e musulmani devono poter convivere con pari dignità e diritti».
Che cosa dovrebbero fare, secondo lei, i Paesi occidentali, per favorire il processo democratico?
«I vostri leader temono gli estremisti islamici, pensano agli interessi dei rispettivi Stati e al petrolio. Bisognerebbe però pensare anche alle popolazioni che vivono nella miseria, facile preda del fondamentalismo. Questi processi si contrastano costruendo scuole, ospedali e creando posti di lavoro».
Nella sua esperienza quotidiana, com’è il rapporto tra cristiani e musulmani oggi in Egitto?
«Come le piramidi: alla base, più larga, tutto è meno complicato, esistono rapporti di fraternità e di amicizia molto belli. I problemi cominciano man a mano che si sale al vertice, con le autorità. Ogni responsabile ha paura dell’altro. Manca la maturità, la capacità di dialogo, c’è molta ignoranza, e questo in ogni gruppo».

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