Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 17/05/2011, a pag. 33, l'intervista di Francesco Battistini a Ehud Barak dal titolo " Difenderemo i nostri confini ". Dal SOLE 24 ORE, a pag. 17, l'articolo di Ugo Tramballi dal titolo " Nel nuovo Medio Oriente Israele si scopre più debole ", preceduto dal nostro commento.
Ecco i pezzi:
CORRIERE della SERA - Francesco Battistini : " Difenderemo i nostri confini "
Ehud Barak
Giornataccia. Fra un libro su Einstein e una vecchia foto con Clinton, Ehud Barak ha sul tavolo il rapporto sui morti di domenica, al confine con la Siria e il Libano. Il ministro dela Difesa israeliano striglia al telefono un collaboratore: «Ricorda quel dossier sulla politica libanese!...» . Arriva un caffè arabo, ma non lo beve: «E'stato un attacco provocatorio. Abbiamo reagito come ogni Stato sovrano: solo che i nostri vicini sono un po'diversi da quelli dell'Italia» . S'è sparato parecchio... «Lo rifaremmo. L'esercito ha l'ordine di tenere chiusi quei confini. Non c'interessa avere morti, i palestinesi hanno già i loro leader che li uccidono: 800 in Siria, e non c'era neanche una pallottola israeliana. I palestinesi hanno cambiato strategia: basta kamikaze, ora fanno i Gandhi. Ma la responsabilità è di chi incita a queste manifestazioni, le impronte sono dell'Iran. E in Libano, la maggior parte di vittime l'hanno fatta i soldati libanesi, che non sono riusciti a fermare la gente» . Difficile credere che la Siria non c'entri: quella folla era una mossa disperata di Assad? «Stiamo assistendo a un terremoto. Queste autocrazie sono finite. Sopravvivranno forse le monarchie, che discendono dal Profeta e sono simboli religiosi. Ma Assad ha perso legittimazione, spiazzato dai media. Suo padre uccise 20 mila persone, trent'anni fa, ma non ci furono testimoni. Ora sai tutto in tempo reale. E'quel che ha spinto l'Italia a intervenire in Libia: un leader che uccideva la sua gente. In Siria, nessuno ora pensa d'intervenire, ma non può durare a lungo» . Per Israele, le rivolte arabe sono un pericolo o un'occasione? «Nel futuro immediato, il caos. A lungo termine, forse qualcosa di buono. Dalla fine dell'Impero ottomano, non s'è visto nulla del genere. In molti Paesi, l'esercito è diventato il pilastro della democrazia, perché la società araba non è pronta a una democrazia: non puoi aspettarti che emerga un Havel o un Walesa. E'emozionante che la gente alzi la testa, fra una generazione s'arriverà a un miglioramento. Ma intanto? Arrivano i Fratelli musulmani. O Stati caotici come il Libano» . In Egitto però c'è il feldmaresciallo Tantawi, suo vecchio amico... «E'una persona responsabile. L'esercito egiziano è simile a quello israeliano: amato dalla gente. Un giovane, sveglio ma povero, inizia l'accademia militare e vi trova l'unica meritocrazia egiziana. Questo prestigio aiuterà Tantawi. Che farà di tutto per mantenere la Costituzione e la pace con Israele. Al voto di settembre, però, i fondamentalisti potranno essere il 40%. E nel momento della verità, potremmo trovarci soli» . Come mai l'Iran sembra sparito dall'agenda internazionale? Un ex capo del Mossad ha detto che la minaccia nucleare non è poi così immediata... «L'Iran rimane l'elemento di maggiore disturbo. Queste rivoluzioni per ora non l'hanno colpito, ma prego ogni giorno che le fiamme della primavera araba l'avvolgano. Un anno e mezzo fa la morte di quella ragazza, Neda, ha creato un dissenso degli ayatollah moderati, difficilmente recuperabile. Ora c'è un'altra rottura, fra Ahmadinejad e Khamenei, ma penso verrà ricomposta. Il loro vantaggio è che il mondo guarda alla Libia, il loro nemico Mubarak è scomparso. Ma fra qualche mese, loro torneranno a essere "il problema": vogliono la capacità nucleare, egemonizzare il Golfo. Ci hanno già provato in Iraq, ci stanno provando in Afghanistan. Lo faranno in Pakistan» . Come cambia il terrorismo internazionale dopo Bin Laden? «Al Qaeda non è la Fiat, non programma in serie la sua produzione: è una rete d'appoggio multinazionale per il crimine che ricicla soldi, traffica droga, lascia che ognuno vi trovi le strutture per colpire quando meglio crede. Bin Laden garantiva questo, ucciderlo è stato un gran colpo. Obama ha ottenuto un grande credito internazionale: che cosa sarebbe accaduto, se avesse fallito come Carter nella crisi degli ostaggi? La sua vittoria è l'aver fatto capire a molti Paesi che gli Usa non sono un bancomat inesauribile. E che non sempre fanno i duri coi leader moderati e i moderati coi leader duri» . Ora Obama rifarà un discorso all’Islam... «Quando lo fece dal Cairo, due anni fa, molta gente non lo capì: Mubarak non era nemmeno in quella sala... Perché parlò sopra la testa dei leader. Direttamente ai giovani e alle donne. Dando la speranza che l'America non fosse solo una minaccia. Sono sicuro che Obama, quando sta da solo in una stanza, pensa d'avere anticipato la primavera araba. Ed è vero» . E la primavera palestinese? Il nuovo accordo Fatah-Hamas non è un'occasione? «Quel patto dipende dalla Siria, sede di Hamas. Assad sospetta che i fondamentalisti abbiano creato instabilità, così loro stanno pensando di spostarsi in Egitto, dove c'è una leadership più aperta. Il Cairo incoraggia questa riconciliazione, ma non ci crede nessuno: le due parti sono troppo lontane. Abu Mazen ha firmato perché la gente lo voleva e perché questo l'aiuterà in settembre, all'assemblea Onu, quando vorrà appoggi al nuovo Stato. Però non si fa così, una pace: le contraddizioni esploderanno. Chiedo che l'Europa faccia pressioni perché Hamas accetti le regole del Quartetto. Se l'Europa fosse chiara su queste cose, Abu Mazen sarebbe in un angolo e non andrebbe in giro a chiedere ambasciate che sono solo make up. Queste precondizioni non sono un pro forma. Dev'essere Abu Mazen a esprimersi con chiarezza. Invece leggo che piange "i martiri"di domenica: ogni volta che i palestinesi santificano chi viola le leggi, non fanno un buon servizio alla loro causa» . Ma un governo Fatah-Hamas non può aiutare il rilascio del soldato Gilad Shalit, ostaggio da cinque anni? «Forse si può rivedere la cornice della trattativa. Ma se Hamas farà parte del governo palestinese, non negozieremo mai. Sarebbe ridicolo: vogliono distruggerci!» . Sta per salpare una nuova flotta di pacifisti Free Gaza. L'anno scorso finì con dieci morti. Stavolta? «E'una provocazione a uso dei media, ma non vogliamo rispondere come l'anno scorso: chiediamo ai Paesi da cui partiranno gli attivisti, tra questi l'Italia, di convincerli a rinunciare. A Gaza non c'è emergenza umanitaria: se vuoi portare un aiuto che non sia un razzo, lo puoi fare. Appoggiamo centinaia di progetti umanitari. Noi ce l'abbiamo con Hamas, non con Gaza: ci vive gente come noi, che potrebbe vivere meglio. Il blocco serve a fermare i traffici illegali» . Un giornale ha scritto che lei è il politico israeliano meno popolare: c'entra il fatto d'avere mollato la sinistra laburista per stare al governo con la destra di Netanyahu? «Mi danno del traditore. Ma perfino Ben Gurion lasciò il partito che aveva fondato. La sinistra ha la specialità di bruciare tutto nei litigi interni. L'ho votata per una vita. Ma a un certo punto c'è il problema della sicurezza e di un'estrema sinistra che non può ignorarlo. Dobbiamo capire che Israele non ha una seconda chance. Siamo una villa in una giungla. Come lei non può scegliersi i parenti, noi non possiamo sceglierci i vicini. E allora penso sia più serio il mio nuovo partito, "Indipendenza". Che è grande come un'orchestra da camera. Ma ha un'idea chiara: quel che è giusto per Israele, è giusto per noi» .
Il SOLE 24 ORE - Ugo Tramballi : " Nel nuovo Medio Oriente Israele si scopre più debole "
Ugo Tramballi
L'analisi di Tramballi sui rapporti tra mondo arabo e Israele è troppo ottimistica : " Il mondo arabo ha assimilato l'esistenza di Israele, anche se non lo ama: il problema è costruire uno Stato palestinese, non distruggere quello israeliano ". Non si tratta di 'non amare' Israele, ma di non accettarlo e, in diversi casi, non riconoscerlo. L'obiettivo primario degli Stati arabi non è lo Stato palestinese, ma la cancellazione di quello israeliano, come dimostra la loro politica dal 1948 ad oggi.
Ecco l'articolo:
Prima degli accordi di Camp David con l'Egitto, nel 1979, le spese militari israeliane erano il 23% del Pil. Da allora non hanno mai più superato il 7. Il dividendo della pace è stato uno dei fattori essenziali del miracolo economico israeliano dell'ultimo ventennio. È dunque positivo che una delle prime decisioni del nuovo Egitto fosse stato confermare quegli accordi.
Pacta sunt servanda è un principio fondamentale della civiltà. Per quanto sia una pace fredda, quella fra Israele ed Egitto è una pace. Gli israeliani importano 300 milioni di dollari in gas naturale, il 40% del loro fabbisogno. Era previsto che entro il 2015 le importazioni dovessero arrivare a un miliardo. La stessa cifra che, sotto forma di tessile e altri prodotti, l'Egitto già esporta ogni anno negli Stati Uniti attraverso le zone industriali condivise con Israele. Il mondo arabo ha assimilato l'esistenza di Israele, anche se non lo ama: il problema è costruire uno Stato palestinese, non distruggere quello israeliano.
Fine delle buone notizie per Israele. Chiunque governerà in Egitto dopo le elezioni dovrà tenere conto del comune sentire della gente. I segnali sono già evidenti. Ci sono stati due attentati al gasdotto di El Arish e, chiunque sia il responsabile, al Cairo hanno fatto sapere che non sarà più venduta a Israele energia al vecchio prezzo politico. Continuare a farlo sarebbe impopolare. Pochi giorni fa il nuovo ministro degli Esteri Nabil El-Arabi, prossimo segretario generale della Lega Araba, ha annunciato che la frontiera di Rafah riaprirà, rompendo l'assedio israeliano della Striscia. L'attiva diplomazia per riportare al dialogo i palestinesi di Gaza e di Hamas, è un altro segnale contro Israele.
Il riconoscimento dei trattati preesistenti era in fondo il minimo, la geopolitica mediorientale sta cambiando comunque. Hafez Assad ha dominato la Siria per 30 anni, Hussein la Giordania per 40 come Yasser Arafat l'universo palestinese. Ma quando sono morti, i successori erano figli o sodali che perseguivano le stesse politiche. Gli incidenti di domenica sul Golan sono stati provocati da Bashar Assad, nel tentativo di sviare verso Israele la pressione sul suo regime dispotico: ma non ci riuscirà e al tempo stesso la questione palestinese tornerà comunque ad essere centrale per le opinioni pubbliche arabe. È finita la stagione in cui le politiche si facevano «come se l'opinione pubblica araba non contasse», dice James Zogby. «Non sarà più possibile agire dando per certo che le politiche siano imposte e ciecamente accettate. Non più si potrà considerare solo il dibattito interno israeliano o le conseguenze dei nostri calcoli sull'opinione israeliana». Influente sondaggista negli Stati Uniti, Zogby come persona è il simbolo di un altro cambiamento collaterale ma non di poco conto. È un arabo d'America, appartiene alla comunità che cresce in moderazione, numero, integrazione, condizioni economiche e influenza politica. Mentre quella ebraica si laicizza e si assimila.
Il primo risultato dell'uscita di scena di Mubarak è che Israele non può più programmare un attacco militare ai siti nucleari iraniani. Senza l'acquiescenza egiziana, viene meno un'importante forma di pressione sulle ambizioni di Teheran nella regione. E cosa accadrà quando il nuovo Governo democratico del Cairo riaprirà i commerci con Gaza, importando tutti quei materiali necessari alla ricostruzione bloccati da Israele? Per tastare i nuovi territori di questa regione che cambia e pressato dalla crisi dell'alleato necessario, il regime siriano, Hezbollah potrebbe decidere di provocare Israele. Come nel 2006. Hassan Nasrallah, il capo del movimento sciita libanese, potrebbe maturare la convinzione pericolosa che la forza militare israeliana abbia ora dei limiti politici e dunque sia più debole.
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