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La Stampa Rassegna Stampa
15.05.2011 Tel Aviv città dell’arte giovane
Alain Elkann intervista Ermanno Tedeschi

Testata: La Stampa
Data: 15 maggio 2011
Pagina: 22
Autore: Alain Elkann
Titolo: «Tel Aviv città dell’arte giovane»

Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 15/05/2011, a pag. 22, l'intervista di Alain Elkann a Ermanno Tedeschi dal titolo "Tel Aviv città dell’arte giovane".


Ermanno Tedeschi, Alain Elkann

Ermanno Tedeschi, lei da dieci anni svolge l’attività di gallerista a Torino, Milano e Roma, e in tale veste ha sempre seguito da vicino gli artisti israeliani. Di che tipo di artisti si tratta?

«L’arte israeliana mi ha sempre interessato molto perché esprime lo stato d’animo delle persone che vivono in quel Paese. Quando qualche anno fa ho cominciato ad occuparmene, era un’arte molto dura che esprimeva lo stato di tensione degli artisti. E il primo che ho avvicinato rappresenta in qualche modo la storia dell’arte contemporanea israeliana. Si tratta di Menashe Kadishman».

È quello che dipinge le pecore?

«Negli anni’70 partecipò alla Biennale di Venezia con delle pecore vive. E in “Le vacanze intelligenti”, film interpretato da Alberto Sordi, lui e la moglie vanno alla Biennale, e lei ad un certo punto chiede al marito: “Ma che cosa sono queste pecore?”

Quali sono gli altri artisti di cui si occupa?

«Hila Karabelnikov, una giovane contemporanea “ultraortodossa” che realizza le sue opere con una tecnica di collage che privilegia il nastro adesivo colorato per rappresentare paesaggi e interni».

Nell’arte israeliana si avverte ancora la tensione dovuta alla situazione politica e religiosa?

«Oggi c’è molto tendenza alla ricerca. Tra i simboli contemporanei Michal Rovner e Sigalit Landau, che sarà l’israeliana presente alla Biennale di Venezia di quest’anno. Ci sono anche grandi fotografi come David Kasman, che ha scattato una serie di fotografie durante le feste del Purim, il Carnevale ebraico: il fratello dell’artista si è travestito da Uomo Ragno e viene rappresentato tra le persone che stanno pregando».

Come mai, in un momento così delicato per Israele e per il Medio Oriente, il 6 giugno aprirà una galleria d’arte nel quartiere Neve Tzedek di Tel Aviv che avrà il suo nome e quello della sua socia Jenny Hannuna?

«Ho sempre creduto che l’arte sia la migliore ambasciatrice per la pace e possa superare pregiudizi e abbattere barriere. Nelle mie gallerie ho lavorato con artisti provenienti da tutto il mondo e di religioni diverse che hanno sempre collaborato in totale armonia».

Lei però non è un filantropo, ma un mercante. Ci sono interessi economici in questa operazione?

«Ho sempre privilegiato l’aspetto culturalea quello commerciale. Non ho mai inseguito la moda, ma il mio istinto. A 18 anni comprai il mio primo quadro: era di Enrico De Paris, un pittore torinese allora sconosciuto che già allora rappresentava nei suoi quadri tanti mondi diversi».

Come mai aprirà la sua galleria a Tel Aviv con la mostra «World», curata da Luca Beatrice, e tra gli artisti esposti ci sarà proprio De Paris?

«Non è il solo: visto il titolo, vi parteciperanno, oltre ad altri italiani, un americano, un ungherese ed alcuni israeliani».

E c’è un filo rosso?

«Assolutamente sì: Israele non è isolato, ma una componente importante, seppur piccola, del panorama mondiale, un Paese dove convivono quasi cento diverse etnie di ebrei provenienti da tutto il mondo».

Gli artisti palestinesi hanno già partecipato alle sue mostre?

«Uno dei miei artisti, Tobia Ravà, ha realizzato lavori a quattro mani con un artista arabo. E in futuro a Tel Aviv inviteremo anche artisti palestinesi».

Che tipo di città è oggi Tel Aviv?

«Una metropoli vivacissima e piena di energia. È la città dei giovani che riempiono le strade e i locali fino a notte tarda, ma anche i tanti musei cittadini. Molti artisti, che hanno mercato in Italia anche per merito mio, vivono nella capitale».

Non ha mai pensato di inaugurare una galleria a New York, a Los Angeles o a Hong Kong?

«Volevo rendere il mio lavoro internazionale aprendo all’estero. Avevo praticamente deciso per New York quando una sera, seduto su una sedia davanti al Muro del Pianto, ho pensato che non esistesse città più “giusta” per creare un ponte tra Europa e Medio Oriente e, forse, anche verso gli Stati Uniti».

I recenti avvenimenti in Tunisia, Libia, Egitto e Siria stanno cambiando le cose anche per Israele?

«Sicuramente è una situazione molto delicata e di attesa, ma sono sicuro che Israele sopravviverà e troverà nel tempo una via di convivenza con i Paesi vicini».

Come va l’arte contemporanea in Italia?

«Seguo in prevalenza giovani o ex giovani che nel frattempo hanno trovato la loro strada anche all’estero. Ad esempio Valerio Berruti, che dopo essere stato presente all’ultima Biennale di Venezia sta partecipando a mostre museali in Sudafrica, Giappone ed ex Jugoslavia».

E lei come dividerà la sua vita?

«Dall’età di 14 anni ho sempre avvertito la necessità di andare almeno una volta all’anno in Israele. E questo mio desiderio di essere un italiano, ma anche un israeliano, si sta poco a poco concretizzando».

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