lunedi` 25 novembre 2024
CHI SIAMO SUGGERIMENTI IMMAGINI RASSEGNA STAMPA RUBRICHE STORIA
I numeri telefonici delle redazioni
dei principali telegiornali italiani.
Stampa articolo
Ingrandisci articolo
Clicca su e-mail per inviare a chi vuoi la pagina che hai appena letto
Caro/a abbonato/a,
CLICCA QUI per vedere
la HOME PAGE

vai alla pagina twitter
CLICCA QUI per vedere il VIDEO

Lo dice anche il principe saudita Bin Salman: Khamenei è il nuovo Hitler


Clicca qui






La Stampa Rassegna Stampa
15.05.2011 Iran, continua la lotta fra Khamenei e Ahmadinejad
cronaca di Claudio Gallo

Testata: La Stampa
Data: 15 maggio 2011
Pagina: 13
Autore: Claudio Gallo
Titolo: «Khamenei-Ahmadinejad, la guerra segreta che scuote l’Iran»

Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 15/05/2011, a pag. 13, l'articolo di Claudio Gallo dal titolo " Khamenei-Ahmadinejad, la guerra segreta che scuote l’Iran".


Khamenei con Ahmadinejad

Ahmadinejad contro il Parlamento, Khamenei contro Ahmadinejad, millenaristi contro ortodossi, letteralisti contro esoteristi, poliziotti contro negromanti. Il confronto in corso nelle stanze segrete del regime iraniano incanta i media con i suoi aspetti più folkloristici. Per capirci qualcosa, si deve procedere a tentoni fino ad arrivare al nucleo dello scontro: una materialissima lotta di potere che deciderà la futura direzione della Rivoluzione islamica voluta dall’Imam Khomeini nel 1979.

L’ultimo atto, ieri, ha visto Ahmadinejad licenziare tre ministri: del Petrolio, del Benessere sociale e dell’Industria. Una mossa annunciata che il presidente del Parlamento Ali Larijani aveva intimato di evitare, «perché la nomina e l’assetto del governo sono una prerogativa parlamentare». Il presidente ha tirato diritto, il suo obiettivo è la riduzione del numero dei ministeri da 21 a 17. Meno ministri, più controllo. La Guida Suprema si trova un’altra grana sulla scrivania, ora sarà costretta a prendere una decisione che in ogni caso allargherà la frattura all’interno delle istituzioni.

La guerra sotterranea dentro il regime è venuta a galla recentemente, quando il presidente ha silurato il ministro dell’Intelligence Moslehi. Quasi un'insubordinazione nei confronti della Guida Suprema, che tradizionalmente sceglie i vertici dei servizi. Khamenei è dovuto intervenire per dire che il ministro sarebbe rimasto al suo posto. Ahmadinejad, furibondo, ha fatto i capricci per una decina di giorni disertando gli impegni istituzionali. Poi è tornato a testa bassa, come se nulla fosse accaduto. L’analista irano-israeliano Meir Javedanfar ha scommesso sulle sue prossime dimissioni.

Ma perché Khamenei ha salvato la testa del ministro? Qui entra in gioco un protagonista di primaria importanza: Esfandiar Rahim-Mashaei. Cinquant’anni, consuocero di Ahmadinejad, capo dello staff presidenziale, ministro degli Esteri ombra. Il suggeritore nella buca, forse. Secondo i piani del circolo, è destinato a diventare presidente nel 2013. Mashaei è l’uomo più odiato dagli ambienti clericali conservatori per una serie di prese di posizione eterodosse. Ha dovuto dimettersi da vice presidente per aver detto di non odiare il popolo israeliano, è stato attaccato per aver proposto un modello politico nazionalista persiano a scapito di quello islamico, è stato accusato di aver incontrato emissari americani. Gli rinfacciano di essere l’amante di una celebre attrice. All’indomani del duello tra Ahmadinejad e Khamenei, diversi suoi uomini sono stati arrestati, tra cui Abbas Ghaffari, che il sito «Ayandeh» ha descritto come «individuo dalle speciali abilità metafisiche, in connessione con mondi sconosciuti», facendolo subito diventare sul Web «l’esorcista presidenziale».

Agli occhi di Ahmadinejad, la colpa di Moslehi, il ministro dell’Intelligence, sarebbe di aver intralciato Mashaei nella sua corsa verso la presidenza. Il regime è solito selezionare i candidati alle elezioni orientando il risultato delle urne. Il vaglio dei futuri deputati spetta al Consiglio dei Guardiani ma anche il ministero dell’Intelligence può dire la sua. Inoltre i suoi file riservati sono un’arma ambita in tempi di guerra di potere. Quando Ahmadinejad ha capito che il Consiglio non era disposto ad aiutarlo a fermare i rivali conservatori di Mashaei (i riformisti sono ormai spariti), ha cercato di mettere le mani sull’Intelligence. Il procedimento è collaudato: nominare un vice che poi prenda il posto del capo. Ma il grigio Moslehi aveva capito che quel vice invadente, Hossein Abdollahian, era lì per oscurarlo e lo ha cacciato.

Il braccio di ferro potrebbe nascondere in realtà una partita molto più ampia: un conflitto dottrinale e generazionale. Dice l’iranologo francese Michel Makinsky: «L’obiettivo di Ahmadinejad è da tempo quello di rimpiazzare il vecchio potere clericale con una generazione più giovane di laici, presi dai ranghi dei pasdaran, dei basiji e simili. È un progetto che include tutte le dimensioni: dalla religione all’economia. Questi giovani vogliono tutta la torta e non solo la ciliegina». Altri analisti tuttavia danno meno credito al presidente e lo giudicano soltanto un populista opportunista che non ha la statura per contrapporsi al potere supremo.

Gli ayatollah conservatori accusano la coppia Ahmadinejad-Mashaei di voler minare il «Velayat e Faqih», la «tutela del giureconsulto», il principio costituzionale per cui l’autorità dello Stato viene da Dio attraverso la Guida Suprema: l’architrave del regime clericale. Il presidente e il suo consigliere sono millenaristi ferventi: credono che il mondo stia per finire con l’imminente venuta del Mahdi, il Messia sciita. L’avvento del Mahdi è parte integrante dell’ortodossia ma l’insistenza sulla sua vicina apparizione appartiene a frange estremiste. È il caso della setta degli Hojjatieh, nata nel 1953 per combattere il culto «eretico» dei Bahai. Nelle sue memorie, l’ex presidente Rafsanjani racconta che gli Hojjatieh non volevano combattere lo Shah perché per loro solo il Mahdi poteva guidare una Repubblica islamica. Per alcuni gli adepti credono che l’avvento del Messia possa essere propiziato da azioni distruttive che accelerino la fine dei tempi. Khomeini impose lo scioglimento della setta nel 1983 ma si dice che i suoi aderenti sarebbero rimasti attivi. In campo conservatore si sussurra che Ahmadinejad e Mashaei siano Hojjatieh, che vogliano sovvertire la Costituzione. L’establishment religioso fa quadrato intorno alla Guida Suprema e anche i decisivi Pasdaran danno segni di voler scaricare Ahmadinejad che rischia come minimo di diventare «un’anatra zoppa».

Ma sarebbe sbagliato fissarsi solo sulla lotta di potere, se si allarga il campo si vedrà un paese schiacciato dalla repressione e piegato dalla crisi economica, nonostante gli aumenti dei proventi del petrolio. Gli stipendi bassi non bastano più per i rincari di acqua, luce, gas e benzina. Molti hanno smesso di pagare le bollette. Tra rabbia sociale e lotte di fazioni, l’Iran delle centrali atomiche e degli archetipi religiosi rischia di dover affrontare la crisi interna più grave dalla sua nascita.

Per inviare la propria opinione alla Stampa, cliccare sull'e-mail sottostante


lettere@lastampa.it

Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui

www.jerusalemonline.com
SCRIVI A IC RISPONDE DEBORAH FAIT