Il boia di Sobibor condannato a solo 5 anni per aver assassinato 28mila ebrei Cronaca di Enzo Piergianni
Testata: Libero Data: 13 maggio 2011 Pagina: 14 Autore: Enzo Piergianni Titolo: «Ha ucciso 28mila ebrei, lo condannano a 5 anni»
Riportiamo da LIBERO di oggi, 13/05/2011, a pag. 14, l'articolo di Enzo Piergianni dal titolo " Ha ucciso 28mila ebrei, lo condannano a 5 anni ".
Ivan Demjanjuk, boia di Sobibor
Cinque anni di pena per “concorso attivo” nello sterminio di 28.060 deportati, prevalentemente ebrei olandesi, nelle camere a gas di Sobibor tra marzo e settembre del 1943 nella Polonia occupata dalla Germania nazista. Questo il verdetto emesso ieri dalla Corte d’As - sise di Monaco di Baviera contro il 91enne apolide di origine ucraina Ivan Demjanjuk, estradato dagli Stati Uniti in Germania. Il verdetto è giunto 72 anni dopo l’orrore ed è inferiore di un anno alla richiesta dell’accu - sa. Fatti i conti, appena un giorno di reclusione per ogni 15 vittime, ma solo in teoria perché “Ivan il terribile” è malato e la Corte ha già decretato la sua scarcerazione. Demjanjuk ha seguito il processo su una sedia a rotelle o su una lettiga, assistito da medici e interprete ucraino. Non ha mai voluto parlare, ma si è sempre proclamato innocente attraverso i suoi avvocati. Anche ieri ha taciuto alla lettura della sentenza. Quello che è stato, secondo i giuristi, l’ultimo grande processo in Germania per i crimini nazisti, durato 18 mesi per 93 udienze, si è concluso senza fare assoluta chiarezza sulle colpe personali dell’imputato e riapre la vecchia polemica sulla parzialità della giustizia tedesca verso i criminali del Terzo Reich. La Corte ha ammesso di non potere attribuire a Demjanjuk delitti specifici, ma ha condiviso la tesi della pubblica accusa, secondo cui, siccome Sobibor era un ingranaggio creato esclusivamente per uccidere, chiunque vi prestava servizio si rendeva corresponsabile dell’Olocausto. Demjanjuk non tentò mai di opporsi o di fuggire. Due ore e mezzo è durata la requisitoria del pubblico ministro, contro i cinque giorni dell’arringa finale del difensore Ulrich Busch. Il quale ha negato l’esistenza di prove sulla presenza di Demjanjuk a Sobibor. E anche se vi fosse stato, non avrebbe potuto ribellarsi agli ordini dei capi tedeschi del lager perché era un semplice soldato dell’Armata Rossa fatto prigioniero dalla Wehrmacht nazista. «Demjanjuk è il più piccolo dei pesci piccoli» e non è cittadino tedesco, per cui – se - condo la difesa – è il capro espiatorio ideale per riabilitare davanti al mondo (200 i giornalisti stranieri accreditati al processo) la giustizia della Germania che per decenni ha fatto poco o nulla contro i “pesci grossi” del nazismo. Busch ha protestato perché “tonnellate” di materiale a discarico del suo assistito non sono state ammesse dalla Corte. In primo luogo il famigerato “Dossier 1627” custodito negli archivi del KGB che dimostrerebbe la falsità dei documenti manomessi dai sovietici che certificano il servizio di Demjanjuk a Sobibor. Proprio i dubbi sulla sua identità indussero nel 1993 l’Alta Corte d’Israele a revocare la condanna a morte che gli era stata inflitta dal tribunale di Gerusalemme. Fu rimpatriato negli Usa, ma una nuova inchiesta dell’Office of Special Investigations lo ha consegnato ai giudici tedeschi. Dopo la Germania, la prossima a chiederne l’estradizione sarebbe Madrid per un processo sulla morte nei lager di deportati spagnoli. Nessun magistrato tedesco disturba invece il cittadino tedesco Klaas Faber, 89 anni, terzo nell’elenco dei criminali nazisti più ricercati dal Centro Wiesenthal. Abita a Ingolstadt in Baviera. La sua condanna a morte in Olanda per l’uccisione di 22 ebrei durante l’occupazione tedesca è stata commutata nell’ergastolo, ma l’altro ieri le autorità bavaresi si sono rifiutate di estradarlo all’Aja.
Per inviare la propria opinione a Libero, cliccare sull'e-mail sottostante