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Informazione Corretta Rassegna Stampa
13.05.2011 Accordo Hamas-Fatah, cos’altro serve per preoccuparsi dell’avvenire?
analisi di Federico Steinhaus

Testata: Informazione Corretta
Data: 13 maggio 2011
Pagina: 1
Autore: Federico Steinhaus
Titolo: «Accordo Hamas-Fatah, cos’altro serve per preoccuparsi dell’avvenire?»

Accordo Hamas-Fatah, cos’altro serve per preoccuparsi dell’avvenire?
di Federico Steinhaus


Federico Steinhaus

(nell'immagine a destra, il logo dell’Unione degli scrittori  palestinesi, cancellato Israele)

Se all’ovest non c’è nulla di nuovo, per parafrasare Erich Maria Remarque, al sud-est sicuramente le novità non mancano. Nella presunzione che tutti i lettori siano aggiornati sulle notizie di cronaca ed i relativi commenti, potranno bastare alcune analisi di varia provenienza, in particolare da MEMRI e PMW.

Partiamo dall’accordo fra Hamas e Fatah per una gestione comune della Palestina arabo-palestinese (la Palestina, nell’accezione usata dai tempi dei Romani e fino alla fine della prima guerra mondiale, include molte altre realtà, arabe ed ebraiche; la Palestina araba stessa include tutta la Giordania, parte del Libano, della Siria, dell’Egitto di oggi).

Hamas accetta di riconoscere i confini del 1967, ma rifiuta di riconoscere Israele per non compromettere la distruzione dell’ “entità sionista” in futuro. Dunque, quali confini, e con chi? I confini del 1 giugno 1967 o quelli successivi alla fine della guerra dei sei giorni? E chi sta dall’altra parte del confine, i marziani? E Gerusalemme da quale parte del confine starebbe?  Noi vediamo, quasi quotidianamente, la consueta esaltazione dei martiri (leggasi: terroristi suicidi) da parte dei politici, dei media e delle istituzioni scolastiche della Cisgiordania (governata da Fatah), mentre sull’altro versante Hamas rimpiange Bin Laden. Pertanto, la loro alleanza avrà il solo scopo di evitare che si ammazzino a vicenda, ma non potrà avere ripercussioni positive sul processo di pacificazione con Israele.

La proclamazione unilaterale dello stato palestinese minacciata per settembre, che avvenga con o senza il consenso dell’ONU, sarebbe da questo punto di vista una implicita dichiarazione di guerra, in quanto dovrebbe inevitabilmente prevedere sottrazioni di territorio ad Israele (Gerusalemme, presumibilmente tutta e non solo la metà araba) e marcatura di confini che limiterebbero la libertà di movimento degli israeliani. Che Francia e Gran Bretagna abbiano già ora annunciato la loro benevola approvazione dell’iniziativa non induce ad essere ottimisti anche sul futuro ruolo del “Quartetto”, che del resto fino ad ora non ha di certo brillato per attivismo.

Una garanzia di stabilità era rappresentata dall’Egitto, ma anche questa è venuta a mancare; da settembre, il “nuovo” Egitto riprenderà la piene relazioni diplomatiche con l’Iran e,forse, denuncerà il trattato di pace con Israele o ne chiederà sostanziali emendamenti. In Siria, se cadrà il regime (la moglie di Assad è appena andata/fuggita in Inghilterra coi figli) , è probabile che il ponte territoriale e politico fra gli estremisti sciiti iraniani e libanesi (Hezbollah) si rinsaldi ulteriormente. Bahrein e Yemen vacillano sotto i colpi degli sciiti.

In questo futuro califfato islamico-sciita agognato da troppi personaggi quanto meno equivoci, la Palestina ha un ruolo centrale, nella sua contrapposizione ad Israele. Di recente l’UNRWA, organismo delle Nazioni Unite, ha deciso di introdurre a Gaza l’insegnamento della Shoah fra le materie incluse nei corsi scolastici per i diritti umani, ma subito l’organizzazione dei lavoratori ed insegnanti dell’UNRWA, sostenuta con vigore dai media palestinesi, ha respinto questa ipotesi rifiutandosi di “confondere le idee” dei giovani palestinesi con teorie “controverse”. Del resto, una recente indagine demoscopica condotta da un istituto israeliano insieme ad uno palestinese ha dimostrato che il 32% dei palestinesi appoggia l’assassinio dei 5 membri della famiglia di Itamar (tre bambini ed i loro genitori), e l’Unione degli scrittori  palestinesi ha adottato un logo nel quale si vede l’intera Palestina (senza Israele, come al solito) sormontata da una penna d’oca e da un mitragliatore. Viva dunque la letteratura palestinese, vera arte applicata! Special guest al Salone del Libro di Torino, certamente susciterà meno polemiche di quelle che circondarono la presenza degli israeliani, notoriamente pacifisti... . La televisione palestinese per parte sua ha trasmesso un documentario dedicato ai giovani, nel quale si auspica che presto i palestinesi possano tornare nelle loro città (Tel Aviv, Haifa, eccetera, senza escludere altri luoghi come Masada).

Cos’altro serve per preoccuparsi dell’avvenire?


http://www.informazionecorretta.it/main.php?sez=90

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