Afghanistan: come neutralizzare al Qaeda? Stati Uniti tentati di trattare coi talebani per anticipare il ritiro
Testata: Il Foglio Data: 13 maggio 2011 Pagina: 1 Autore: Redazione del Foglio Titolo: «Con i talebani scatenati Obama deve decidere in fretta il destino di Kabul»
Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 13/05/2011, in prima pagina, l'articolo dal titolo " Con i talebani scatenati Obama deve decidere in fretta il destino di Kabul".
Afghanistan
New York. I talebani chiamano “Badr” la grande rappresaglia contro le forze della coalizione in Afghanistan, in onore di quella volta in cui le truppe comandate dal profeta hanno teso un’imboscata a una carovana di meccani. Da quella prima battaglia islamica ne sarebbero venute molte altre, fino ad arrivare alle aree di confine fra l’Afghanistan e il Pakistan, dove il primo maggio i guerriglieri talebani hanno aperto un’edizione speciale della stagione primaverile di combattimenti e attentati, un classico del repertorio terroristico aggiornato per il dopo Bin Laden. Mercoledì un centinaio di talebani ha assaltato un villaggio nella provincia di Jawzjan, nel nord, perché i cittadini avevano deciso di aderire al programma che il governo promuove per ribellarsi ai talebani. Nonostante le perdite, l’esercito afghano è riuscito a respingere l’attacco. Lo scorso fine settimana si è combattuto a Kandahar, la roccaforte dei pashtun. Anche lì si sono presentati un centinaio di guerriglieri talebani, respinti dopo due giorni di guerriglia. E’ però nella remota valle del Nuristan, avamposto naturale sul confine con il Pakistan, che i talebani stanno facendo le azioni più potenti e coreografiche. Martedì un gruppo di dimensioni insolite (dai 200 ai 400 operativi, secondo la polizia locale) ha organizzato attacchi coordinati nella provincia, arrivando allo scontro in diversi punti con l’esercito di Kabul. Il capo della polizia, Shams ul Rahman Zahid, ha detto che erano “armati pesantemente” e soprattutto che “non erano soltanto talebani, ma anche arabi, pachistani e ceceni”. Una volta i guerriglieri che si muovevano nel Nuristan incontravano la resistenza dei marine o delle forze occidentali, ma tutti ormai hanno lasciato quella provincia remota – troppi costi e troppi rischi in quegli avamposti – sotto la protezione del friabile esercito afghano. La valle è diventata una specie di passaggio sicuro per i talebani e per i loro alleati stranieri – cioè al Qaida – che prima di questo episodio raramente avevano ingaggiato battaglia con le divise di Kabul in quella porzione di territorio afghano. Il Nuristan è il simbolo di quello che i soldati americani avevano conquistato con sacrificio e che a un certo punto hanno ceduto di diritto agli alleati afghani, di fatto ai guerriglieri talebani. La nuova “Badr” aggrava i dilemmi strategici dell’Amministrazione americana: come ci si comporta dopo la morte di Bin Laden? Accelerare il ritiro delle truppe che inizia quest’estate? Concentrarsi soltanto sui raid dei droni mentre i diplomatici convincono i talebani più blandi ad abbandonare le armi? Rimanere in Afghanistan e provare a vincere la guerra? Gli strateghi della Casa Bianca stanno discutendo in questi giorni la gestione delle forze in Afghanistan (il ritiro delle prime truppe dovrebbe iniziare in estate, ma Obama ha confermato una presenza significativa fino al 2014) e sull’orizzonte ideale dell’impegno. “E’ ancora presto per una decisione precisa”, dice al Foglio Brian Katulis, analista del Center for American Progress, think tank obamiano, “ma sicuramente si stanno scontrando alcune linee nell’Amministrazione”. Ad esempio? “Quella di chi vuole trovare un accordo con i talebani e dedicarsi a operazioni di controterrorismo per distruggere al Qaida, separando i due scenari”, dice Katulis, spiegando di fatto i tratti della dottrina del vicepresidente Joe Biden: meno occupazione militare, più droni e incursioni. Questo approccio “light” alla guerra afghana potrebbe guadagnare forza dopo la morte di Bin Laden, che secondo alcuni spezza il legame fra al Qaida e i talebani, cioè il gruppo da distruggere e quello che si può (forse) riconciliare. “La missione di chi rimane” Il generale David Petraeus ha detto che l’alleanza fra i due mondi era più “un rapporto personale fra Bin Laden e il Mullah Omar che un’alleanza operativa” e la nomina dello stesso Petraeus alla Cia è da leggere come la volontà di puntare su un’intelligence potenziata contro gli irriducibili di al Qaida, mentre i civili di Obama trattano le condizioni di un accordo con i talebani. “La nomina di Ryan Crocker a Kabul è importante, perché è il preferito di Karzai”, dice Katulis parlando dell’ambasciatore di Obama, “ma anche per il successore di Holbrooke, Marc Grossman, la ‘reconciliation’ è la priorità assoluta”. E’ in questi interstizi strategici che s’insinua l’eterno dibattito sul ritiro: da giorni gira la voce che Obama richiamerà 10 mila soldati quest’estate, e alcuni analisti dicono che quel numero sia appena la versione leggera di un disimpegno più ampio. Ma, come dice Katulis, “la cosa più importante non è il numero di soldati che porti a casa, ma lo scopo della missione di chi rimane”.
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