Riportiamo dal SOLE 24 ORE di oggi, 11/05/2011, a pag. 8, l'articolo di Mario Platero dal titolo "Dopo il gelo, Obama punta a ricucire con il Pakistan".
Il Pakistan questo sconosciuto: ci sono ormai da dieci giorni due approcci per decifrare il rapporto Pakistan-Usa nel post Osama bin Laden. C'è quello romantico che guarda indietro, che cerca congiure, tradimenti, rotture. C'è quello realista, che guarda in avanti e punta al recupero. Come ha detto Jay Carney, il portavoce della Casa Bianca, cercando di calmare gli spiriti, la relazione con il Pakistan è troppo importante per essere abbandonata: «Il Pakistan è stato importante per anni nella nostra lotta contro il terrorismo....sì, vogliamo parlare con le mogli di bin Laden (concessione ottenuta, ndr), abbiamo differenze ma crediamo sia molto importante mantenere una relazione cooperativa con il Pakistan perché questo è nell'interesse della nostra sicurezza nazionale».
La questione dunque è un'altra. I due approcci, quello romantico e dietrologco e quello realista, sono il primo in funzione del secondo. Le polemiche, la rabbia, le invettive che abbiamo ascoltato da pakistani scandalizzati per l'irruzione americana nel loro territorio nazionale e quelle degli americani per la smaccata ospitalità offerta a bin Laden, sono propedeutici alla creazione di un trampolino su cui rimbalzare per recuperare il rapporto con questa dinamica: si identificheranno dei responsabili in Pakistan che rassegneranno le dimissioni e gli Usa chiuderanno un occhio.
È in questa chiave che si deve interpretare la guerra di comunicazione fra Washington e Islamabad. Si fa a gara per vedere chi urla più forte. I pakistani strepitano e minacciano per la violazione del loro territorio? La Casa Bianca fa trapelare che lo stesso presidente Obama aveva chiesto più truppe per la missione per catturare o uccidere bin Laden, «nel caso ci fosse stato un possibile confronto armato con forze di polizia o truppe pakistane allertate dall'arrivo degli elicotteri americani», come ha riferito ieri il New York Times citando fonti della Casa Bianca. Il messaggio è chiaro: non si vuole solo tingere di azione il ruolo del presidente in tutta questa vicenda. Si vuole dire che Obama era pronto, se necessario, allo scontro a fuoco con i pakistani per perseguire gli interessi di sicurezza nazionale. Un nuovo minimo nelle relazioni? Non proprio. Le relazioni fra Pakistan e America sono glaciali da almeno otto mesi. Le polemiche a distanza diventano solo il corredo retorico di una partita che nessuno vuole chiudere con la rottura definitiva. Non che il rischio non ci sia naturalmente. Ma oggi a Washington si sta lavorando per il recupero.
Un paio di giorni fa ad esempio all'America Enterprise Institute si è avuto un dibattito fra i massimi esperti della regione Shuja Navaz, dell'Atlantic Council, Sadanand Dhume, Frederick Kagan, Danielle Pletka, Thomas Donelly dell'Aei hanno dibattuto sui toni negativi, sui nuovi minimi apparenti per concludere, come ha fatto Peter Hoekstra, l'ex presidente della commissione intelligence alla Camera che la morte di Osama resta il fatto centrale attorno a cui tutti danzano i loro rituali. E che la morte di bin Laden ha due conseguenze dirette. La prima: «Dovrebbe portare - dice Hoekstra - nuovo respiro alla relazione Usa-Pakistan»; la seconda: l'operazione militare dei Navy Seals ha certamente avuto l'effetto di intimidire servizi segreti e militari di molti Paesi canaglia o semicanaglia. «L'ultima cosa da fare - conclude Hoekstra - è argomentare per una rottura con il Pakistan».
Ma è lecito vedere fino a che punto si può spingere il negoziato a distanza in corso fra Washington e Islamabad. Gli americani hanno chiesto le dimissioni di Pasha il capo dei servizi segreti, sospettato di collusione. Ma gli stessi funzionari americani hanno lasciato una porta aperta, forse Pasha non sapeva: «Questo è il momento di usare il martello - ha detto Dhume – dobbiamo usare la questione Bin Laden che mette il Pakistan sulla difensiva per ottenere quante più concessioni possibile». C'è anche la questione afghana ovviamente, su cui come suggerisce invece Kagan «non si può abbassare la guardia, perché la misura del successo in Pakistan dipenderà dalla misura del successo in Afghanistan».
«Ci interessa davvero capire chi fra i pakistani sapesse di Bin Laden? – ci dice una fonte vicina alla Casa Bianca - Certo che ci interessa, ma ci interessa di più creare una base per rilanciare il dialogo. Il Pakistan è troppo importante per noi e noi siamo troppo importanti per il Pakistan. Lo sviluppo chiave è un altro: oggi i pakistani si sono accorti che sono una potenza nucleare vulnerabile. Questo dovrebbe farli riflettere».
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