Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 11/05/2011, a pag. 47, la risposta di Sergio Romano a un lettore dal titolo " Il passato dell'Austria: ascesa e declino di Waldheim ".
Kurt Waldheim Sergio Romano
Sergio Romano riassume la vicenda di Kurt Waldheim, dai suoi successi diplomatici e la sua carriera all'Onu, alla scoperta del suo passato nella Wehrmacht, alle accuse di Simon Wiesenthal, tutto in maniera piuttosto asettica. Per maggiori informazioni sul suo ruolo nello sterminio degli ebrei, invitiamo a leggere l'articolo di Fiamma Nirenstein dal titolo 'Quando smascherai il passato di Waldheim', cliccando sul link sottostante:
http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=9&sez=120&id=20869
Ecco lettera e risposta:
Nella risposta a un lettore sulla sorte dell’Austria dopo la seconda guerra mondiale lei fa riferimento a Kurt Waldheim e a controverse operazioni che avrebbe eseguito nei Balcani. Non sono mai riuscito a capire quali siano state le colpe di Waldheim, personaggio del quale si è parlato e scritto a lungo. So solo che la sua elezione a presidente della Repubblica austriaca è stata contestata, ma non la sua nomina all’Onu di cui fu segretario generale dal 1972 al 1981; il che significa che nessuno aveva avuto niente da ridire sull’opportunità dell’incarico. Verrebbe il sospetto che qualche decisione dell’Onu negli anni del suo segretariato lo abbia reso successivamente inviso.
Antonio Fadda
antoniofadda2@virgilio.it
Caro Fadda,
W aldheim fu anzitutto un brillante e ambizioso diplomatico austriaco, con un piede nel ministero degli Esteri e l’altro nella vita politica del suo Paese. Sostenuto dal partito popolare, in cui suo padre aveva militato prima dell’annessione alla Germania, fu ministro degli Esteri per due anni, dal 1968 al 1970, e da lì cercò di balzare alla presidenza della Repubblica nelle elezioni del 1971. Mancò il bersaglio, ma ne colse un altro, ancora più prestigioso, quando divenne segretario generale dell’Onu nel dicembre 1971. Fu scelto per le sue doti di buon negoziatore, ma anche e soprattutto perché negli anni della guerra fredda la scelta poteva cadere soltanto sul cittadino di un Paese che non appartenesse né a un campo né all’altro. Waldheim fu certamente neutrale, ma con una certa inclinazione, secondo gli americani, a soddisfare le richieste sovietiche piuttosto che quelle dell’Occidente. Quando il governo cileno di Pinochet, dopo il golpe del 1973, imprigionò il segretario del partito comunista Luis Corvalán, Waldheim, sollecitato dalla rappresentanza dell’Urss, inviò un appello a Santiago per la sua vita. Qualcuno osservò che le Nazioni Unite, in altre circostanze, non avevano fatto altrettanto. Quell’episodio e la nomina di alti funzionari sovietici a importanti incarichi dell’Onu crearono a Washington parecchi malumori che sarebbero usciti qualche anno dopo dai cassetti della memoria. Al termine del suo secondo mandato internazionale Waldheim, tornato in patria, decise di tentare nuovamente la strada della presidenza. Fu quello il momento in cui cominciarono ad apparire notizie e fotografie sul servizio che il giovane Waldheim aveva prestato in Bosnia come ufficiale interprete della Wehrmacht durante una delle fasi più dure della politica tedesca contro gli ebrei e i partigiani di Tito. Waldheim replicò che si era limitato a svolgere soltanto un lavoro amministrativo, senza partecipare ad alcuna operazione, e che non poteva disobbedire, nella sua veste di ufficiale, senza rischiare la vita. Vinse le elezioni e un comitato internazionale di storici, costituito dal governo austriaco, giunse alla conclusione che il suo rango e la sua posizione, durante la guerra, non gli avrebbero consentito interventi efficaci. Ma Simon Wiesenthal, creatore del Centro di documentazione ebraica e cacciatore di nazisti, dichiarò di non credere alle parole di Waldheim. In altri tempi il caso, dopo qualche settimana, sarebbe scomparso dalle prime pagine dei giornali. Dopotutto, come ricorda Tony Judt nel suo grande libro sul «dopoguerra» (Mondadori 2007), un cancelliere tedesco (Kurt Kiesinger) e un presidente della Repubblica federale (Heinrich Lübke) erano stati membri del partito nazista. Ma la situazione stava cambiando anche in Germania dove la proiezione, nel 1979, di un film televisivo americano in quattro puntate sul genocidio ebraico («Olocausto» ) era stato visto da 20 milioni di spettatori. Il clima intorno a Waldheim divenne gelido e gli Stati Uniti, all’epoca della presidenza Reagan, lo dichiararono «persona non grata» . Davano una risposta alle sollecitazioni delle comunità ebraiche e saldavano al tempo stesso un vecchio conto con l’ex segretario generale dell’Onu. Da allora e sino alla fine della sua vita Waldheim fu, al di fuori del suo Paese, una sorta di appestato. Fece un’eccezione Giovanni Paolo II quando lo insignì nel 1994 dell’Ordine di Pio IX.
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