Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 09/05/2011, a pag. 15, l'articolo di Andrea Nicastro dal titolo " Bambino ucciso a calci dai soldati del regime".

Aveva 12 anni come riferisce un testimone. O forse 11, come affermano dall’ospedale. Qassem Zouheir al Ahmad sarebbe comunque la più giovane vittima della repressione siriana. Pestato a sangue durante una manifestazione illegale dall’esercito di Damasco. Calpestato, spinto o bastonato. Non è chiaro come sia stato ucciso. Lo hanno raccontato degli anonimi testimoni agli attivisti dell’opposizione siriana che raccolgono e diffondono via Internet tutte le voci che riescono ad uscire dal Paese nonostante i controlli del regime. Sarebbe successo ieri a Homs, cittadina in gran parte sunnita, vicino al confine con il Libano. Se nessuno, come sembra, ha ripreso almeno con un telefonino gli ultimi minuti del piccolo Qassem, probabilmente fra qualche giorno pochi si ricorderanno di lui. Qassem non sarà il «Neda» siriano. Al tempo di YouTube le parole non bastano: Neda, l’iraniana colpita al cuore durante un corteo a Teheran nel 2009, divenne il simbolo dell’onda verde perché i suoi occhi annegarono nel sangue davanti a un obbiettivo. Qassem, invece, rischia di diventare solo un numero. In sette settimane di proteste, sono ormai quasi 600 le vittime civili, secondo le associazioni per i diritti umani anti regime. A questi vanno aggiunti almeno un centinaio tra poliziotti e militari. I funerali dei manifestanti devono essere condotti in privato, pena ulteriori violenze. Al contrario la sepoltura degli agenti di sicurezza diventa occasione per le tv di Stato di ripetere la versione preferita dal presidente Bashar Assad: la Siria è sotto l’attacco di potenze straniere (Usa, Israele e Paesi arabi sunniti assieme) che pagano agitatori seguaci di un islamismo fanatico simile a quello di Al Qaeda. Le tv hanno mostrato ieri dei «testimoni» pentiti, presunti collaboratori dei gruppi attivi su Facebook e YouTube. Davanti alle telecamere dicevano di aver ricevuto denaro per «mentire» e armi dalle moschee sunnite. Un modo, secondo gli analisti, per spaventare le minoranze cristiane e alawite e arruolarle nelle fila del regime. Gli oppositori descrivono una realtà differente. Attacchi su quartieri e città che sono sì sunniti, ma anche disarmati e pacifici. Ad Homs, dove è morto il piccolo Qassem, ad esempio, lo stadio sarebbe stato trasformato in carcere e centro di tortura. Migliaia gli arresti in tutto il Paese. I prigionieri politici sarebbero ormai 8 mila. Tra loro un altro bimbo, di 10 anni, nella città di Banias, imprigionato «per ricattare la famiglia» . Di lui non si sa neppure il nome.
Per inviare la propria opinione al Corriere della Sera, cliccare sull'e-mail sottostante