Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein".
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)
Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine.
La Turchia sempre meno presente sulla scena politica mediorientale, perchè? Analisi di Antonio Ferrari
Testata: Corriere della Sera Data: 06 maggio 2011 Pagina: 56 Autore: Antonio Ferrari Titolo: «La Turchia batte in ritirata aspettando Siria, Libia e palestinesi»
Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 06/05/2011, a pag. 56, l'articolo di Antonio Ferrari dal titolo "La Turchia batte in ritirata aspettando Siria, Libia e palestinesi".
Recep Erdogan
La Turchia rifiutava l’idea di essere un «modello» per il mondo arabo, preferendo considerarsi una fonte di ispirazione. Però il premier Recep Tayyip Erdogan, che frequenta l’ambizione come se fosse il più prezioso consigliere, aveva immaginato di diventare il confessore-ispiratore di tutti i leader regionali del mondo musulmano. Il presidente egiziano Mubarak ne era geloso perché entrambi condividevano l’alleanza (e gli aiuti in dollari) degli Stati Uniti. Gheddafi lo ascoltava. Al siriano Bashar el Assad, trattato con gli affettuosi rimbrotti di un fratello maggiore, aveva consigliato di avviare subito un robusto piano di riforme per evitare d’essere travolto dalle proteste popolari. Era quasi un invito «coatto» ad agire in fretta. Con i palestinesi il rapporto era specialissimo: a Gaza, a Hebron, e persino a Ramallah era il leader straniero più popolare. La bandiera turca sventolava accanto a quella palestinese. Tanta fama era collegata naturalmente all’asprezza di Erdogan, manifestata e reiterata, nei confronti di Israele, con il quale Ankara ha sempre un accordo di cooperazione, sostenuto dai militari di entrambe le parti. Si era vicini alla realizzazione di quella «profondità strategica» teorizzata dal ministro degli Esteri turco Davutoglu, convinto sostenitore di un’attenzione concentrata sul mondo musulmano, forse a scapito (ma il ministro smentisce) della volontà di proseguire il cammino di Ankara verso la Ue. Ora però qualcosa si è rotto e la superattiva Turchia sta prendendosi una pausa. È ovviamente soddisfatta dell’accordo tra Fatah e Hamas, si è raffreddata con Gheddafi. È diventata più ruvida anche con Assad. Ankara teme un’ondata di profughi dal confinante Paese arabo, e teme soprattutto che dalla Siria possa risvegliarsi il progetto autonomista curdo, cioè del popolo presente in quattro Paesi (Iraq, Iran e appunto Siria e Turchia) che non ha mai rinunciato all’idea di avere un proprio Stato. Ecco perché la Turchia, dopo tanto movimentismo, si è abilmente ritirata dal palcoscenico regionale. Per ora, almeno.
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