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La Stampa Rassegna Stampa
04.05.2011 Osama bin Laden morto: ora il rischio di attentati terroristici in Occidente
Cronache di Maurizio Molinari

Testata: La Stampa
Data: 04 maggio 2011
Pagina: 3
Autore: Maurizio Molinari
Titolo: «La notte di guerra alla Casa Bianca - La paura dell’America terroristi isolati in mezzo alla folla»

Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 04/05/2011, a pag. 3, l'articolo di Maurizio Molinari dal titolo "La paura dell’America: terroristi isolati in mezzo alla folla", a pag. 5, l'articolo di Maurizio Molinari dal titolo " La notte di guerra alla Casa Bianca ".
Ecco gli articoli:

"La paura dell’America: terroristi isolati in mezzo alla folla"


Maurizio Molinari

I team dei Marines per rispondere ad attacchi non convenzionali tornano dal Giappone, le città americane accrescono i dispositivi di sicurezza, le ambasciate all’estero si blindano e l’allarme terrorismo riguarda anche il territorio dei Paesi alleati, Italia inclusa: a 76 ore dall’eliminazione di Osama bin Laden gli Stati Uniti temono che stia per arrivare la rappresaglia di Al Qaeda, intenzionata a causare il più alto numero di vittime.

È Robert Gates, capo del Pentagono, ad ordinare alle squadre di emergenza dei Marines di tornare in fretta dal Giappone perché il rischio di contaminazione radioattiva a Fukushima oramai passa in secondo piano rispetto ai timore che Al Qaeda possa lanciare un attacco non convenzionale contro una grande città americana.

I dispositivi di rilevamento di sostanze radioattive, chimiche o batteriologiche sono stati rafforzati in tutte le metropoli degli Stati Uniti su disposizione di Janet Napolitano, ministro della Sicurezza Interna, mentre a New York è il sindaco Michael Bloomberg a parlare in tv alla cittadinanza spiegando che «siamo la città più protetta al mondo» e dunque ogni abitante può «continuare a fare la propria vita». Ma l’aumento delle misure di sicurezza è palpabile ovunque: più polizia, più elicotteri, più controlli alle entrate delle città e soprattutto l’aumento della sorveglianza sulle comunicazioni online da parte di Fbi, Cia e Nsa memori del fatto che i più recenti tentativi di attentati contro gli Stati Uniti - ultimo quello dello scorso maggio con un’autobomba a Times Square - sono stati preceduti da comunicazioni elettroniche originatesi in Yemen dalle cellule guidate da Anwar al-Awkali, l’imam nato in New Mexico che non fa mistero di voler superare le sanguinose gesta di Bin Laden. Per l’Fbi il nome di al-Awlaki evoca il rischio di cellule jihadistedormienti o «lupi solitari» sul territorio nazionali, a cui potrebbe essere stato ordinato in passato di avere piani pronti con causare un alto numero di vittime.

L’altro fronte di allarme è quello di ambasciate e consolati nel mondo: l’allerta firmata dal Segretario di Stato Hillary Clinton non esclude alcun Paese anche se le aree più a rischio sono Medio Oriente, Africa, Estremo Oriente ed Europa.

Nel Vecchio Continente il Pentagono ha emanato nuove disposizioni per i militari di stanza nelle basi della Nato coordinando ogni passo con i governi alleati. È per questo che in Italia il Dipartimento di Pubblica Sicurezza ha emesso una circolare nella quale si chiede di «innalzare al massimo» i livelli di sicurezza attorno agli «obiettivi sensibili» che non sono solo quelli riconducibili agli Stati Uniti ma includono anche «luoghi istituzionali e simboli della Cristianità» ovvero il Vaticano. Il testo della circolare fa esplicito riferimento alla possibilità di «azioni ritorsive di terroristi in Italia dopo l’uccisione di Bin Laden» in maniera analoga a quanto hanno fatto le equivalenti autorità degli altri maggiori Paesi europei. D’altra parte è lo stesso capo della Cia, Leon Panetta, che in una comunicazione ai dipendenti di Langley avverte sulla possibilità che «dopo il grave colpo subito Al Qaeda provi a vendicarsi». Nel tentativo di prevenire tale scenario l’intelligence elettronica sta cercando di sfruttare le informazioni trovate nel rifugio di Bin Laden per individuare i nuovi possibili leader di Al Qaeda, a cominciare dall’egiziano Ayman al-Zawahiri, in una corsa contro il tempo tesa a scompaginare gli eventuali piani di vendetta dei jihadisti.

"La notte di guerra alla Casa Bianca "


Barack Obama

Il blitz contro Osama bin Laden inizia quando due elicotteri Black Hawk con a bordo altrettanti team di Navy Seals decollano da Tarbela Ghazi, la base aerea pachistana poco a Nord di Islamabad adoperata dall’esercito americano per colpire i jihadisti in Waziristan. In Pakistan sono le 0.30 di lunedì e Bin Laden dorme al terzo piano della villa di Abbottabad, suo rifugio da sei anni. A Washington sono le 15.30 del pomeriggio di domenica e il presidente Barack Obama, camicia bianca e giubbotto di pelle scura, è seduto nella «Situation Room» della Casa Bianca per seguire su unmegaschermo ogni attimo di quanto sta avvenendo. I Black Hawk impiegano circa 30 minuti per coprire i 50 chilometri che separano Ghazi da Abbottabad. La residenza di proprietà di Sheik Abu Ahmed, corriere di Osama, si trova a 1,6 chilometri di distanza dall’Accademia militare pachistana. A notte fonda i Black Hawk arrivano in vista della residenza ma l’effetto sorpresa svanisce subito perché sul tetto dei due edifici separati le guardie del corpo di Bin Laden li avvistano e fanno fuoco, con fucili mitragliatori e lanciagranate.

l'incubo del fiasco

È questo l’attimo in cui la «Situation Room» piomba nel silenzio perché ad uno dei due elicotteri si bloccano del tutto i comandi in volo. Attorno a Obama nel sotterraneo della Casa Bianca vi sono il capo del Pentagono Bob Gates, il consigliere antiterrorismo John Brennan, il Segretario di Stato Hillary Clinton, il consigliere per la Sicurezza Tom Donilon, il capo di gabinettoWilliamDaley e il capo degli Stati Maggiori Congiunti, Mike Mullen. L’incubo che li accomuna è di un fiasco come quello che nel 1979 nel deserto iraniano vide fallire la missione per liberare gli ostaggi nell’ambasciata Usa a Teheran. Anche allora l’operazione era stata affidata ai Navy Seals. Se l’elicottero fosse caduto, causando la morte del primo team di incursori Obama avrebbe dovuto annullare l’operazione e rinunciare a «Geronimo», nome in codice di Bin Laden, oppure autorizzare il bombardamento pesante della residenza da parte dei jet ad alta quota, con l’inevitabile conseguenza di andare incontro a un pesante bilancio di vittime così come al rischio di avere difficoltà nell’identificazione di Osama bin Laden. È stato questo il frangente nel quale Obama si è trovato di fronte ad un bivio che devi avergli concretamente evocato lo spettro di diventare un nuovo Carter per l’opinione pubblica nazionale. Ma a risolvere gli attimi di crisi ci pensa il pilota del Black Hawk che riesce ad atterrare senza comandi nel giardino più spazioso della residenza, sotto il fuoco dei miliziani di Al Qaeda che fanno fuoco dai tetti. I Navy Seals scendono correndo e si dirigono verso l’edificio di tre piani, dove al piano terra incontrano i componenti di una famiglia che non è quella di Bin Laden; probabilmente si tratta dei parenti di Sheik Abu Ahmed. Li ammanettano con fili di plastica rinforzata e salgono al secondo piano. Intanto è atterrato anche il secondo Black Hawk, ed ora i Navy Seals in campo sono fra i 20 e i 25. L’operazione torna sui binari e nella «Situation Room» si tira un sospiro di sollievo perché con due dozzine di Navy Seals in campo, e sopra di loro la copertura di droni e jet dell’Air Force, l’unico dubbio che resta è se Osama bin Laden si trova davvero dove l’intelligence ha assicurato fino a poche ore prima. Questi sono gli attimi nei quali è il prestigio della Cia di Leon Panetta ad essere sulla linea del fuoco. Le prove elettroniche raccolte nei giorni precedenti sembrano evadere ogni possibile dubbio ma il rischio di un errore rimane.

In cerca di Geronimo

Mentre da Washington seguono in diretta ogni passo degli incursori nella tana di Bin Laden, il secondo teamva verso l’altro edificio, che ha un solo piano, e ammanetta chi vi si trova dentro. La missione di questo secondo team è di scongiurare la possibilità che dall’altro edificio esca un numero tale di miliziani armati da obbligare la prima squadra dei Navy Seals ad una diversione. Dal momento in cui il primo Black Hawk è miracolosamente atterrato sono passati 15 minuti. Sul megaschermo della «Situation Room» un video con tonalità diverse identifica movimenti dei singoli soldati americani, sull’elmetto di ognuno dei quali c’è una telecamera che consente al centro di comando e controllo - ed allo stesso presidente - di vedere cosa avviene in tempo reale. Lungo la scala che porta al secondo e terzo piano dell’edificio più alto i Navy Seals incontrano una protratta resistenza. I miliziani di Bin Laden sparanomentre gli incursori americani hanno fretta di trovare «Geronimo». Nel conflitto a fuoco i Kalashnikov hanno la peggio contro le armi speciali degli incursori, aiutati dai visori notturni, che sulle divise scure hanno cucito adesivi e simboli della polizia e dei pompieri di New York per rendere inequivocabile il messaggio che la giustizia sta arrivando. L’incontro con l’uomo più ricercato del mondo arriva quando a Washington sono passate le 16 da pochi minuti. È uno dei Navy Seals che grida «Geronimo» per far capire che l’obiettivo desiderato è a vista d’occhio. Nella «Situation Room» adesso c’è anche Dennis McDonough, vice Consigliere per la sicurezza, ed un pugno di altri consiglieri per la sicurezza, mentre a gestire il traffico di informazioni digitali in arrivo da Abbottabad è un alto ufficiale in divisa blu, coperto di mostrine che ne svelano la competenza nella gestione delle comunicazioni via satellite. L’unico che manca nella sala - non si vede nella foto diffusa a posteriori dalla Casa Bianca - è Leon Panetta, a conferma che è il capo della Cia a dirigere il blitz assieme a David Petraeus, il comandante dello scacchiere militare afghano-pachistano.

Ucciso in battaglia

Alle 16.05 ora di Washington, l’1.05 di lunedì in Pakistan, sono più Navy Seals ad essere nella stanza dove si trova Bin Laden, che tenta di nascondersi dietro una delle duemogli. La donna viene colpita da un proiettile alla caviglia e cade in terra, Osama bin Laden resta senza protezione e viene raggiunto da quella che gli incursori definiscono una «doppia trappola». Il primo proiettile colpisce un angolo del cranio dello sceicco del terrore, staccandogli un lembo di carne sopra l’occhio e il secondo lo raggiunge al petto, trafiggendolo. Sono stati forse due i Navy Seals a fare fuoco. Alle 16.10 ora di Washington il cadavere di «Geronimo » cade in terrama la certezza della morte arriva solo quando il soldato gli si avvicina e pronuncia nel minimicrofono sotto la maschera la frase «Geronimo E-KIA» ovvero Geronimo è un «enemy killed in action », un nemico ucciso in azione. Per Obama significa cogliere il successo che l’America inseguiva dall’11 settembre del 2001 ma sulla reazione avuta a caldo la Casa Biancamantiene il più stretto riserbo. Le foto della «Situation Room» diffuse si limitano a mostrare il presidente mentre parla al suo team oppure seduto a fianco dei collaboratori mentre osserva lo schermo, con alla destra Hillary Clinton che tradisce un gesto fra sorpresa e tensione. La missione non è ancora terminata. Dentro la palazzina si continua a sparare per alcuni minuti, volano ancora i proiettili, viene ucciso un figlio di Bin Laden, Khalid, che si aggiunge ad altri due adulti caduti nelle prime fasi del combattimento, al piano terra della palazzina più alta. Quando l’orologio della Casa Bianca segna le 16.10 tutto è silenzio, i Navy Seals prendono la salma del mandante degli attacchi dell’11 settembre e la portano lungo la scala fino al giardino dove ad attenderli c’è un Black Hawk che decolla quando in Pakistan è l’1 e 15 del mattino. Vola in direzione della nave da guerra Uss Carl Vinson che si trova in navigazione nelle acque settentrionali del Mare Arabico. Inizia la seconda fase dell’operazione, dove «Geronimo» non è più una minaccia alla sicurezza nazionale ma una salma la cui sorte tocca preoccupazioni di tipo politico: sono i memo preparati da Panetta a sottolineare l’impossibilità di una sepoltura in Yemen e Arabia Saudita - dove è rispettivamente nato e cresciuto - così come il rischio di trasformare qualsiasi tomba in un sacrario per i jihadisti. Il volo verso la nave da guerra nasce dalla scelta di Obama che la salma non verrà interrata in nessun angolo del Pianeta.

I prigionieri

I Navy Seals rimasti indietro contano i prigionieri, li consegnano alle forze di sicurezza pachistane nel frattempo sopravvenute in gran numero e fanno esplodere con degli ordigni il relitto del Black Hawk danneggiato, del quale rimane intatta solamente la coda. Il presidente è ancora nella «Situation Room» quando la salma di Osama bin Laden atterra sull’eliporto della Uss Carl Vinson, da dove viene trasportata nell’ospedale di bordo ed esaminata a lungo da un’equipe di specialisti della Cia, seguendo il protocollo autorizzato da Panetta. Al termine dei controlli giungono alla conclusione che ci sono il 95 per cento delle possibilità che si tratti davvero di Osama bin Laden. Decisiva è la confluenza fra il «riconoscimento facciale» e i risultati della prova del Dna. Ottenuta la conferma che «Geronimo-Bin Laen» è davveromorto, la salma viene fotografata per ottenere la prova inconfutabile della sua dipartita e poco dopo si dà inizio a quella che il portavoce della Casa Bianca Jay Carney definisce la «cerimonia funebre» basata sul rispetto dei dettami della legge islamica. Vede alcunimilitari americani lavare con gran cura il cadavere del super terrorista, avvolgerlo in un lenzuolo bianco e quindi affidare la salma al cappellano di bordo per una preghiera funebre che viene poi ripetuta in arabo da un traduttore. Solo al termine di tale cerimoniale, il corpo di Bin Laden avvolto nel lenzuolo viene gettato inmare e la Casa Bianca tiene a precisare che l’intera procedura è avvenuta in tempi stretti, anche in questo caso per confermare la sintonia con l’abitudine dei musulmani di far svolgere le esequie al più presto. La ricostruzione dei quarantaminuti che chiudono una caccia all’uomo durata 9 anni e 232 giorni è frutto delle notizie che vengono confermate dai portavoce del Pentagono ma fra lunedì emartedì alcuni dettagli vengono prima confermati e poi smentiti, facendo trapelare incertezze nella declassificazione e problemi politici. Anzitutto viene smentito il fatto che Bin Laden avrebbe «combattuto armi in mano». Se all’indomani del blitz è John Brennan ad assicurare che «era armato» facendo capire che ha sparato proteggendosi con il corpo dellamoglie, ieri Carney corregge il tiro. Precisa che «Bin Laden non era armato» e che la moglie non è stata uccisama «solamente ferita ad una caviglia». Ciò non toglie però che per il Pentagono Bin Laden avrebbe comunque «opposto resistenza » ostacolando la missione dei Navy Seals, probabilmente impartendo ordini alle guardie del corpo che continuavano a sparare.

I due volti del Pakistan

Poi vi sono le diverse versioni sui motivi che hanno causato lo stop ai comandi del primo elicottero: a caldo il Pentagono parla di un «problema tecnico ai comandi» quasi che si fosse trattato di un guasto, poi ieri precisa che forse è stata «l’alta temperatura » a provocare l’arresto e poiché era notte fonda il riferimento al «calore eccessivo» potrebbe essere legato al fatto che uno dei razzi sparati dai miliziani di Al Qaeda forse è riuscito a colpire il velivolo, in maniera analoga a quanto riuscì ai miliziani somali del generale Aidid nella battaglia di Mogadiscio arrivata sul grande schermo con «Black Hawk Down». Ma il tassello che più manca alla ricostruzione riguarda le comunicazioni intercorse fra i comandi di Washington e Islamabad. La tesi della Casa Bianca è che si è trattato di un’operazione tutta americana, confermata dal fatto che all’arrivo nella residenza i Navy Seals «non hanno trovato altri reparti militari» ma l’ambasciata Usa a Islamabad ringrazia il governo locale per la «collaborazione data» e con il passare delle ore appare evidente che gli alti gradi dell’esercito pachistano non potevano non sapere del decollo dei due elicotteri dalla base di Tarbela Ghazi così come dovevano ben sapere cosa stava avvenendo dentro la villa di Bin Laden se, proprio al termine del blitz, le forze di sicurezza locali sono arrivate puntuali per ricevere in consegna dai Navy Seals almeno diciotto persone, inclusi numerosi famigliari di Bin Laden. Dei quali da quel momento si è persa traccia. Il governo di Asif Ali Zardari da parte sua appare prigioniero di opposte dichiarazioni: da un lato vuole far capire che ha collaborato al blitz ma dall’altra tiene a smentire di essere mai stato a conoscenza che Bin Laden viveva tranquillamente a breve distanza da un’accademia militare, in un quartiere abitato in gran parte da famiglie delle forze armate. Ecco perché a 76 ore dalla morte di «Geronimo» restano ancoramolti gli interrogativi da chiarire.

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