Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 03/05/2011, a pag. 2, la cronaca di Maurizio Molinari dal titolo "L’America ritrova la grinta: giustizia fatta".
Maurizio Molinari
Volti, gesti e parole della notte in cui l’America scopre di aver eliminato Osama bin Laden descrivono la convergenza fra il sentimento popolare e il blitz reso possibile dalla stretta collaborazione fra agenti della Cia, satelliti della Nsa e il commando dei Navy Seals. Attorno alla Liberty Tower in costruzione lì dove vennero abbattute le Torri Gemelle, le famiglie si accampano sventolando e vestendosi in bandiere a stelle e strisce perché, come dice Dianne, madre di due bambini di 9 e 11 anni, «un momento come questo non si apprende in nessun libro di storia».
Orgoglio e bandiere A Times Square la folla in attesa di notizie dai megaschermi intona spontaneamente l’inno nazionale appena vede passare un camion rosso dei pompieri, che restano nell’animo collettivo gli eroi dei soccorsi dell’11 settembre. Davanti ai cancelli di Pennsylvania Avenue a Washington il grido ritmato di «U-s-a, U-s-a, U-s-a» è lo stesso che risuona al centro di Boston come anche fra i tavoli di Arabica Café di Dearborn, roccaforte della comunità araboamericana in Michigan. L’improvviso apparire di una moltitudine di bandiere nazionali di ogni dimensione, affisse sulle insegne stradali di Times Square come sugli alberi di Lafayette Park a Washington, ricorda la reazione agli attacchi di dieci anni fa. Ma se allora, di fronte a quasi tremila esseri umani ridotti in cenere, era la frase «United we stand» - siamo uniti - a descrivere il uomini che hanno reso possibile la consentimento della nazione aggredita a versione delle modalità della guerra sorpresa dal più efferato attacco con- ereditata da George W. Bush. Assieme tro il proprio territorio continentale, a Bob Gates, capo del Pentagono, Leon adesso le magliette stampate in fretta Panetta, direttore della Cia, e David con la scritta «Obama got Osama» Petraeus, comandante delle truppe in (Obama ha preso Osama) e i cartelli Afghanistan, ha stravolto l’assetto di beffardi sui punteggi sportivi svelano combattimento contro la Jihad global’orgoglio provato da tanti nell’ascolta- le. I cambiamenti apportati sono stati re la frase che Barack Obama pronun- tre. Primo: la zona di principale operacia dalla East Room della Casa Bianca zioni contro Al Qaeda è stata modificapochi minuti prima di mezzanotte: ta sin dal febbraio 2009, aggiungendo «L’eliminazione di Bin Laden ci ram- all’Afghanistan il Pakistan, come Obamenta cosa gli americani riescono a fa- ma aveva suggerito sin dalla campare quando decidono di farcela». Come dire, chi aveva già dato l’America in declino deve ricredersi, restiamo la nazione dei «comeback kids», capaci sempre di rinascere.
Cambio di strategia È il Presidente afroamericano l’eroe in cui la nazione si riconosce perché, come dicono i giovani festanti a Times Square, «he got him», è stato lui a eliminare lo sceicco del terrore. Se un leader da mesi in calo di popolarità, reduce dalla cocente sconfitta elettorale dei democratici a midterm, assediato dalla disoccupazione attorno al 9 per cento e obbligato a una raffica di rimpasti dalle defezioni subite, si è trasformato in una notte nel volto del riscatto dall’umiliazione dell’11 settembre, è grazie ad una scelta da lui compiuta nel gennaio 2009: modificare la tattica militare contro Al Qaeda al fine di riuscire a «decapitare la testa del serpente», secondo la definizione preferita di John Brennan, consigliere antiterrorismo della Casa Bianca.
Proprio Brennan è uno dei quattro gna elettorale del 2008. Secondo: il compito di incalzare i leader di Al Qaeda è stato assegnato ai droni della Cia di Panetta assieme alle truppe speciali di Petraeus, sostituendo così i reparti tradizionali dell’esercito, con la stessa tattica che aveva permesso proprio a Petraeus nel triangolo sunnita-iracheno di eliminare i figli di Saddam e Abu Musab Al Zarqawi, leader di Al Qaeda in Mesopotamia. Terzo: l’intero Pakistan è diventato un teatro di operazioni con la Cia a tenere le redini di droni, agenti e satelliti impiegati «nell’ombra» al fine di non pregiudicare i rapporti politici con uno dei più stretti alleati degli Stati Uniti.
I vantaggi di agire nell’ombra Se l’invio dei rinforzi in Afghanistan è servito per aumentare la pressione sui taleban, è stato il massiccio impegno della «Cia paramilitare» - come oramai viene comunemente definita nei centri studi di Washington - a trasformare Panetta nell’uomo a cui Obama ha affidato il compito di «smantellare, sconfiggere e distruggere Al Qaeda». Il presidente si era mostrato talmente sicuro di aver indovinato la tattica contro Al Qaeda da aver nominato nei giorni scorsi Panetta al Pentagono e Petraeus alla Cia e ora l’eliminazione di Bin Laden svela che dietro tanta determinazione c’era la genesi di un’operazione iniziata nell’agosto del 2010 quando venne per la prima volta identificata la villa di tre piani dove il fondatore di Al Qaeda aveva trovato rifugio con alcuni familiari.
Barack Hussein Obama esce così dall’eliminazione di Osama bin Laden nelle vesti di comandante in capo di un conflitto diverso rispetto a quello condotto dal predecessore George W. Bush: se il nemico resta lo stesso, la determinazione a prevalere è immutata e i detenuti di Guantanamo rimangono una preziosa fonte di informazioni, al posto degli eserciti di occupazione che operano in diretta tv vi sono droni, agenti e truppe speciali che agiscono in segreto. Con il duplice risultato di scongiurare un clima da guerra permanente in patria e di privare il nemico jihadista di immagini utili per la sua propaganda. A rendere ancora più evidente tale nuova veste del presidente c’è il ruolo da lui svolto in prima linea: i cinque briefing sul blitz, l’ordine ai Navy Seals di eliminare Bin Laden, la presenza nell’«operation room» per seguire ogni attimo dell’attacco e la decisione di salutare il risultato parlando di «giorno in cui la giustizia si è compiuta», ma avvertendo che «la guerra contro Al Qaeda continua».
I complimenti di Dick Cheney Se Leon Panetta scrive per email agli impiegati della Cia che «Bin Laden è morto, ma Al Qaeda no» e Hillary Clinton dice dal Dipartimento di Stato che «bisogna restare in allerta contro possibili attacchi», è perché la Casa Bianca vuole evitare che non solo l’America ma anche gli alleati abbassino la guardia nei confronti dei nuovi leader jihadisti, dal Waziristan allo Yemen, che ambiscono a succedere a Osama e potrebbero entrare presto in concorrenza fra loro a colpi di sanguinosi attentati. Sarà proprio la reazione della nuova Al Qaeda all’uccisione di Bin Laden uno degli elementi in base ai quali Obama deciderà le dimensioni del ritiro delle truppe dall’Afghanistan quest’estate.
Ma ciò che più conta oggi per il presidente è vestire i panni di leader bipartisan nel garantire la sicurezza nazionale. È per questo che cita Bush nel discorso dall’East Room, fa sapere di aver parlato con lui - e con Bill Clinton sul blitz e i portavoce della Casa Bianca sottolineano il comune impegno dei due presidenti «che hanno reagito all’11 settembre». Consegnando le Medal of honors ad alcuni dei soldati reduci dall’Afghanistan, Obama adopera un linguaggio che appare mutuato dal predecessore perché dice «giustizia è fatta, il mondo è un luogo più sicuro ed è un giorno migliore per tutti», parlando non solo da comandante in capo delle forze americane, ma da leader dell’intero mondo libero. E’ un approccio che punta a strappare ai repubblicani la palma della sicurezza nazionale al fine di mettere in cassaforte la rielezione nel 2012. Ecco perché il risultato politico che conta di più a Washington è il plauso dell’ex vicepresidente Dick Cheney, finora suo feroce critico sui temi dell’intelligence, che gli ha reso omaggio parlando di «straordinaria vittoria dell’America».
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