Essere contro l'antisemitismo oggi significa essere per Israele
Oggi (27 Nissan secondo il calendario ebraico) gli ebrei celebrano "Yom HaZikaron laShoah ve-laG'vurah" il "giorno del ricordo della Shoà e dell'eroismo" (della Resistenza). Casualmente quest'anno la data, secondo il calendario occidentale, coincide esattamente con quella dell'inizio della rivolta del ghetto di Varsavia, che Israele ha scelto di ricordare accanto al genocidio. Nell'accostamento fra Shoà e Resistenza (come pure nella definizione di Shoà/Distruzione e non di "Olocausto", come spesso si dice ancora in Europa), vi è molto dello spirito con cui il mondo ebraico vuole conservare il ricordo di quella sua terribile prova. Mi sembra importante riflettere oggi su questo ricordo.
Dal punto di vista ebraico, la Shoà va collocata in una lunga serie di stragi e di persecuzioni che hanno investito il mondo ebraico nella sua storia: da quelle ricordate nella Bibbia dell'Egitto e della Persia, alle stragi romane, alle persecuzioni e cacciate cristiane e musulmane in Spagna e in Polonia, nelle comunità renane e in Marocco, per opere dell'Inquisizione e degli integralisti islamici, dei Tartari e dei crociati. La differenza è quantitativa – la distruzione di quasi metà del popolo ebraico -, ma anche qualitativa – la decisione della "soluzione finale del problema ebraico", cioè il tentativo di distruggere completamente gli ebrei, senza consentir loro la via d'uscita della conversione e dell'assimilazione, che era rimasta aperta nella maggior parte degli altri casi. La differenza sta anche nella risposta ebraica, che non è stata il puro e semplice tentativo di sopravvivere, di nascondersi, di evadere dalla minaccia, ma la scelta di resistere.
In parte questa risposta è stata costituita dagli episodi di reazione armata ai nazisti e di partecipazione alla Resistenza europea, che sono stati più numerosi e importanti di quanto normalmente non si ricordi. In parte, come accade talvolta nella storia, è stata una risposta preventiva, costituita dall'immigrazione in Israele e dalle lotte per costruire lo stato. E' bene chiarire questo punto: Israele non è stato regalato per "compensare" gli ebrei per la Shoà, come dicono gli antisionisti. La presenza ebraica in quei luoghi non si era mai interrotta e nei primi censimenti moderni a metà dell'Ottocento Gerusalemme è già una città a maggioranza ebraica. L'immigrazione dall'Europa si sviluppa a partire dagli anni Ottanta dell'Ottocento ("la prima alià) e prende slancio nel primo decennio del secolo scorso ("la seconda alià"), dunque ben prima del nazismo. Ma essa si spiega con la percezione via via più lucida e diffusa che lo stato moderno, così come si andava costruendo anche in Europa orientale, non sopportava una popolazione diversa per costumi per lingua e per religione com'erano gli ebrei e che anche le promesse dell'assimilazione sancite nell'Europa occidentale a partire dalla rivoluzione francese, erano inaffidabili. Non a caso la presa di coscienza e il grande lavoro di istituzionalizzazione del sionismo da parte di Herzl parte dal processo Dreyfus. Il nazismo è stato anche la radicalizzazione di queste posizioni che erano già presenti largamente nella società europea, da destra a sinistra, dalla reazione cattolica al rivoluzionarismo socialista. Dunque, se non la fondazione dello stato di Israele, quella dello "yishuv" l'insediamento ebraico che lo preparò è una specie di reazione preventiva, senza la quale poco resterebbe oggi di ebraico nel mondo.
Come la Shoà fu preparata dall'antisemitismo precedente, così oggi essa rischia di continuare. Nell'Europa fra Ottocento e Novecento si diceva agli ebrei di non "inquinare" più le nazioni, di andarsene a casa loro, intendendo con questo la loro terra biblica; oggi si dice loro di andare a casa, via dal Medio Oriente, intendendo con questo l'Europa. Gli ebrei europei (e anche quelli che abitavano nel mondo islamico) sono stati accusati di ogni crimine, dal mangiare i bambini allo sfruttare i poveri, dal negare Dio al rovinare gli Stati. Oggi Israele è accusato di ogni crimine, dall'uccidere i bambini (magari per usarne gli organi) allo sfruttare i poveri (colonialismo), dal negare Dio (Allah) al rovinare gli stati circostanti. E il resto nol dico – come canta Leporello.
Dunque la Shoà non è finita, almeno potenzialmente. Non si tratta solo di coloro che a voce alta chiedono la distruzione di Israele e dei suoi abitanti, come Ahmadinedjad e Bin Laden, la cui uccisione in questo giorno è una sorta di giustizia poetica. Ma tutto il mondo arabo e musulmano si prepara da sessant'anni almeno a una vendetta delle dimensioni della Shoà: nel 1948 Il segretario generale della Lega Araba 'Abd al-Rahmān 'Azzām Pascià annunciò "una guerra di sterminio e di massacro della quale si parlerà come dei massacri dei Mongoli e delle Crociate" (http://it.wikipedia.org/wiki/Storia_di_Israele#La_Guerra_arabo-israeliana_del_1948). E quando ha potuto, da allora in poi, ha ucciso gli ebrei, in massa o a piccoli gruppi, alle olimpiadi, sugli aerei, negli autobus, a casa loro. Non c'è ancora la dimensione industriale della Shoà, ma anche quella tedesca iniziò in maniera artigianale. Molte cose fanno pensare che un possibile incrocio di eventi (la rivolta egiziana, l'unificazione palestinese e il consenso ottenuto dalla proposta del riconoscimento del suo stato, l'atomica iraniana, la guida incerta degli Usa, la resa europea all'Islam) aprano nei prossimi mesi una pericolosa finestra di opportunità per questi piani.
Dunque, in questa giornata del ricordo, bisogna certo inchinarsi alla memoria delle vittime, ricordare la loro sorte, non dimenticare i loro volonterosi carnefici, chi assistette senza turbarsi troppo o voltandosi da un'altra parte e chi invece rischiò per salvare le vittime. Ma bisogna soprattutto accogliere l'invito alla ghevurà, alla forza, alla resistenza. E ribadire che essere contro l'antisemitismo oggi significa essere per Israele, senza dubbi o riserve ipocrite; che la memoria delle vittime della Shoà si onora al meglio lavorando per impedire una nuova ripetizione della serie infinita delle persecuzioni e dunque per rafforzare Israele, il bastione che difende oggi gli ebrei e che oggi contiene la maggioranza del popolo ebraico.
Ugo Volli