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Giorgia Greco
Libri & Recensioni
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Israel Singer, I fratelli Ashkenazi 02/05/2011

I fratelli Ashkenazi                                     Israel Singer
Traduzione di Bruno Fonzi
Bollati Boringhieri                                      Euro 19,50


Abraham Hirsch Ashkenazi portava con sé un calice d'argento per la Pasqua, un regalo sontuoso «da tenersi sul tavolo durante le cerimonie, riempito del vino per il profeta Elia». Ci teneva a fare bella figura, e poi questa volta aveva una buona ragione per non presentarsi a mani vuote. Qualche mese prima, alla notizia che la moglie aspettava un bambino, il maestro se n'era uscito con una profezia inquietante: «Abraham Hirsch, i tuoi figli saranno ricchi». Anziché rallegrarsi, Abraham s'era confuso. «Rabbi – aveva risposto atterrito – io voglio che i miei figli diventino ebrei timorati». E così, per chiarire una volta per tutte quella faccenda della ricchezza, e per chiedere al saggio chasidico di Vorka una benedizione per il figlio che stava per nascere, Abraham s'era messo nuovamente in viaggio, sebbene le strade fossero infestate dai ribelli e dai cosacchi, e la moglie, ormai sul punto di partorire, lo scongiurasse di non lasciarla sola, proprio alla vigilia di Pasqua.
Il viaggio di Abraham, con cui si apre la grande saga di Israel Singer su I fratelli Ashkenazi, ha un che di biblico. È un viaggio rabbioso, compiuto per scacciare un presentimento e per allontanare un fato oscuro. Al contrario di quanto avviene nel Genesi, dove la partenza di Abramo da Ur dei Caldei segna l'inizio di una laboriosa conquista di consapevolezza morale e religiosa, l'itinerario di Abraham Ashkenazi è l'avvio di un vortice di febbrile ambizione. Quando ritorna a casa, senza aver ottenuto alcun sollievo dal maestro, Abraham trova non uno ma due figli maschi. Diversissimi tra loro: uno tutta forza e gioia di vivere, l'altro introverso, intelligente, con «occhi scattanti e leggermente folli». Per oltre settecento pagine, Singer – cantore yiddish del giudaismo dell'Europa orientale – inscena un sabba di rivalità e competizione tra i due fratelli, che crescono e si fanno strada nel mondo, diventando sempre più ricchi e – come si aspettava il padre – irrimediabilmente estranei alla tradizione avita. Sullo sfondo, lo sviluppo caotico della città di Lodz, in cui la vicenda è ambientata, le lotte operaie, la rivoluzione d'Ottobre e i moti antisemiti. Scritto nel 1936, il romanzo è un bilancio impietoso dell'ascesa della borghesia ebraica nel primo Novecento. Ma è anche un vaticinio sulla sorte che di lì a poco si sarebbe abbattuta sull'ebraismo di quelle terre.

Giulio Busi
Il Sole 24 Ore


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