Sul CORRIERE della SERA di oggi, 01/05/2011, a pag.44/45, a,cuni articoli sulla " Festa del Libro ebraico" che si terrà a Ferrara dal 7 al 9 maggio. Nella stessa città è in costruzione il MEIS ( Museo dell'Ebraismo Italiano e della Shoah).

Festa del Libro Ebraico Italiano
Ferrara, 7-9 maggio 2011
Info:
0532 419584
e-mail: info@meisweb.it
Per il programma completo delle iniziative, www.festalibroebraico.it
Severino Colombo: " Un mondo da scoprire "

Giorgio Bassani
«Un centro attivo, propositivo e di respiro internazionale. Altro che luogo passivo» . Nascerà su queste fondamenta il MEIS Museo Nazionale dell’Ebraismo Italiano e della Shoah di Ferrara —, parola di Riccardo Calimani che ne è presidente. Un museo per far comprendere che in Italia gli ebrei non sono stranieri ma «tra le civiltà più antiche: le prime testimonianze risalgono a due secoli prima del Cristianesimo» . Un luogo per raccontare l’originalità della storia ebraica italiana e «la ricchezza di una cultura minoritaria molto vivace e apprezzata» . Aggiunge Calimani: «Basti pensare che gli ebrei oggi in Italia sono solo 25 mila ma l’editoria che li riguarda è molto più florida, ogni giorno escono libri di autori o con temi legati all’ebraismo» . Il rimando all’editoria non è casuale visto che proprio il MEIS (con il supporto di Ferrara Fiere, il patrocinio di ministero per i Beni e le Attività Culturali, Regione, Provincia, Comune, Università, Unione delle Comunità Ebraiche Italiane e Unione Giovani Ebrei d’Italia e il sostegno di privati) promuove la «Festa del Libro Ebraico in Italia» , una finestra sul mondo ebraico come lo sarà un domani il museo stesso. La seconda edizione dell’iniziativa è in programma nella città emiliana dal 7 al 9 maggio: incontri, concerti, proiezioni, visite guidate, mostre e assaggi di cucina kosher a tutte le ore, dall’aperitivo allo spuntino notturno. In evidenza due eventi: la prima notte bianca ebraica, tra il 7 e L 8, che prevede tra l’altro la mostra «Una storia di carattere» , viaggio nell’Italia unita attraverso la stampa ebraica dal Risorgimento a oggi (al Salone d’Onore del Municipio; a cura della Fondazione Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea di Milano); la proiezione del «Il giardino dei Finzi Contini» , dal romanzo del ferrarese Giorgio Bassani, con la regia di Vittorio De Sica, alla presenza del figlio, il compositore Manuel De Sica, e dell’attore Lino Capolicchio, che interpretò nella pellicola Premio Oscar nel 1972 il ruolo del protagonista; e, infine, un tour by night della città estense che fa da sfondo al romanzo e fu in parte usata come set del film. L’altro evento clou è il focus dedicato al museo con la mostra a Palazzo dei Diamanti «MEIS. Architetture per un museo» , che prosegue oltre le date del festival, fino al 12 giugno. Riunisce i cinquantadue progetti che hanno partecipato al concorso bandito nel 2010 dalla Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici dell’Emilia Romagna; vincitore è risultato il progetto di Studio Arco Architettura di Bologna, che prevede un intervento misurato e flessibile sul complesso delle ex Carceri: «È di per sé significativo— osserva Calimani — che un luogo che fu di reclusione diventi ora un simbolo di apertura; un museo che è pure una porta di ingresso alla città» . Quartier generale della Festa è lo spazioso Chiostro di San Paolo, trasformato in vetrina della cultura ebraica con oltre 1500 titoli di editori piccoli e grandi. «Da Freud a Kafka: il mondo culturale europeo tra Otto e Novecento deve molto agli ebrei» aggiunge Calimani; presenti anche opere di scrittori israeliani contemporanei e di nomi della letteratura ebraica americana; il best seller di Hans Keilson «La morte dell’avversario» (Mondadori), appena uscito in Italia, e il «Dizionario storico dell’Inquisizione» , diretto da Adriano Prosperi. Sempre al chiostro sono attesi, il 9, Arnoldo Foà e Teddy Reno, che ripercorrono le loro storie di famiglie ebree, e Bruno Gambarotta che presenta il libro di Daniel Vogelmann «Le mie migliori barzellette ebraiche» (Giuntina). A dimostrazione che anche l’umorismo è un aspetto importante e profondo della cultura ebraica. «Ridere delle proprie sofferenze e dei propri difetti è un modo per sentirsi accettati» , precisa Vogelmann che anticipa due freddure: «Un ebreo telefona alla mamma. "Come stai?""Bene""Scusi ho sbagliato numero"» . Un ebreo in punto di morte sente l’odore della sua torta preferita. Chiede: "Posso averne una fetta?""No, è per dopo"»
Stefano Bucci: " Non solo il ricordo della Shoah, ma un grande laboratorio di idee"

La differenza, in fondo, è solo nelle intenzioni. Ma forse un po’ anche nelle circostanze: perché a Gerusalemme con lo Yad Vashem, a Berlino (nello spazio progettato da Daniel Libeskind) o al Jewish Museum di New York (forse il più emotivamente impressionante) si è voluto raccontare «solo» un singolo momento (per quanto tragico) della comunità ebraica. Mentre il Museo nazionale dell’Ebraismo italiano e della Shoah (Meis) di Ferrara (i 52 progetti che hanno partecipato al concorso saranno in mostra dall’ 8 al 12 maggio al Palazzo dei Diamanti) vuole invece essere, in primo luogo, la testimonianza di una presenza antichissima, quella appunto degli ebrei in Italia, in tutti i suoi momenti, dolorosi e no. Quindi, spiega Riccardo Calimani presidente del Meis «si è voluto puntare su una struttura laboratorio e non su qualcosa di statico, in modo da poter far conoscere tutti questi aspetti e tutti questi momenti» . Il bando di concorso bandito per il Meis parlava di «una proposta progettuale che doveva dimostrare di interpretare le istanze della modernità e quelle del recupero per mettersi al servizio di un Museo dinamico che dovrà testimoniare la storia e raccontare una cultura vivace» . E dunque un Museo (ottomila metri quadrati con sale per mostre, auditorium, biblioteca, caffetteria e ristorante, bookshop) «moderno, con forte vocazione multimediale e multifunzionale, interessante e gradevole da visitare» . Seguendo queste indicazioni, per il complesso delle ex Carceri di via Piangipane, la Giuria (composta da Roberto Bonfil, Guido Canali, Margherita Guccione, Carlo Magnani e presieduta da Carla Di Francesco, direttore regionale per i beni culturali e paesaggistici) ha scelto il progetto elaborato dallo Studio Arco Architettura di Bologna (con Scape, Michael Gruber, Kulapat Yantrasast): «Un parco urbano con cinque edifici libro, sulle cui pareti esterne saranno iscritti i passi chiave della Torah e degli altri volumi chiave dell’ebraismo» . Un progetto (che ha preceduto quelli di Ove Arup &partners, secondo, e quello della Politecnica Società Cooperativa, terzo) premiato «per la qualità della soluzione presentata che vede un intervento misurato e flessibile» . Aggettivi che rispecchiano alla perfezione le idee di Calimani. Che a proposito del vincitore (che si propone come una versione contemporanea del Palazzo dei Diamanti in cui «il vecchio e il nuovo, insieme, simboleggiano il passato e il futuro, un futuro senza più ignoranza e sospetti, fatto di amicizia, conoscenza e ricchezza comune» ) dice: «Quando l’ho visto mi sono sentito come un bambino davanti alla vetrina di una pasticceria. Ho pensato subito: lo voglio!» ). E che, nonostante le difficoltà di fissare tempi e modi di realizzazione, legate soprattutto ai fondi visto che la struttura costerà 30 milioni di euro (se si troveranno, i lavori inizieranno l’anno prossimo per concludersi nel 2015) manifesta un entusiasmo contagioso: «Mi piacerebbe che diventasse un polo di attrazione non solo italiano, ma addirittura europeo e mondiale proprio come il Guggenheim di Bilbao» . Cosa ci sarà in questo nuovo Meis? «Punteremo molto sulla collaborazione con altri musei, perché noi, a differenza ad esempio di quello di Parigi, non possiamo contare su nostra collezione. E ogni contributo ben accetto. Perché, non dimentichiamocelo, il Meis sarà un museo di tutti»
Paolo Salom: " Piccoli oggetti, scritti personali. Per aiutare la memoria "


Yad Vashem, Gerusalemme Piero Angela, fra i testimonial
La parola, mattone fondamentale della memoria. E la memoria, centro nodale di ogni esistenza. Da preservare prima che sia troppo tardi. Perché le generazioni future possano leggere, vedere, capire. Per questo da gennaio è in corso l’iniziativa «Storia di famiglie -Raccolta di documenti e materiali sulla Shoah» , che ha proprio lo scopo di salvare dall’oblio— prima che l’ultimo testimone sia scomparso — la memoria dell’Evento che ha contraddistinto il Novecento: la distruzione degli ebrei d’Europa, con attenzione particolare al capitolo italiano. Nelle case, da settimane sono entrati, attraverso gli schermi della tv, gli spot con cui alcuni testimonial — Giovanni Maria Flick, Alain Elkann, Piero Angela, Massimo Ranieri — invitano «chiunque possegga reperti sull’Olocausto a raccoglierli e consegnarli» a una prefettura, perché possano poi essere esaminati e catalogati. «L’intento — spiega Michele Sarfatti, direttore del Centro di documentazione ebraica contemporanea (Cdec), uno degli enti promotori — è quello di salvare non soltanto gli scritti ma anche le fotografie, gli oggetti di uso quotidiano, gli abiti degli ebrei che, in Italia, finirono nell’ingranaggio mortale della persecuzione nazifascista» . Sarfatti spiega che l’idea, nata l’anno scorso nel corso di una riunione dei responsabili del Museo dello Shoah di Roma, è stata fatta propria e sostenuta dalla «Presidenza del Consiglio, vari ministeri ed enti italiani» . Con la collaborazione di Poste italiane, tutti i «pacchi» recapitati presso le prefetture verranno smistati all’Archivio centrale di Stato. «E lì, una commissione di esperti via via esaminerà il materiale per decidere quale potrà essere la sede più adatta ad ospitarlo: dal Memoriale Binario 21 a Milano alla Fondazione Museo della Shoah di Roma o la Fondazione Nazionale dell’Ebraismo Italiano e della Shoah di Ferrara» . Insomma, un progetto che sembra ricalcare quello del regista americano Steven Spielberg, che ha raccolto migliaia di ore di interviste e filmati sui sopravvissuti alle persecuzioni. «In realtà — precisa Sarfatti, che fa parte anche del comitato scientifico del Meis, il Museo nazionale dell’ebraismo Italiano e della Shoah di Ferrara — noi cerchiamo, certo, anche immagini. Ma il nostro progetto si affida più all’idea di oggetti comuni, ricordi personali, aspetti anche secondari che però possano aiutarci a ricostruire a far rivivere esistenze che altrimenti sarebbero destinate a sparire per sempre. Quanti italiani che magari si sono trovati a incrociare la strada di una famiglia ebrea, di un perseguitato in fuga, e hanno fatto il possibile per aiutare chi era in difficoltà, si sono poi ritrovati in cantina valigie o scatole abbandonate perché troppo pesanti? Ecco, invitiamo chi avesse questi oggetti, privi di un valore monetario ma importantissimi dal punto di vista storico, a consegnarli salvandoli dall’abbandono» . David Bidussa, storico delle idee, autore del saggio Dopo l’ultimo testimone (Einaudi, 2009), un lavoro tutto incentrato proprio sulla problematica del ricordo, mette l’accento sull’importanza della «classificazione di questi oggetti-reperti» : «Non sarà sufficiente raccoglierli e metterli in un museo — spiega—. Sarà indispensabile evidenziare il significato che avevano per i loro possessori, anime perse per sempre: perché solo così aiuteranno tutti noi a ricostruire, almeno nella nostra immaginazione, un mondo che non esiste più»
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