Fino all’ultimo siriano
di Mordechai Kedar
(traduzione di Angelo Pezzana)
I segnali che arrivano dalla Siria indicano che entrambe le parti, il regime e l’opposizione, hanno raggiunto un punto di disperazione tale da non poter rinunziare alle loro posizioni, non importa il prezzo che dovranno pagare. Dal punto di vista dei manifestanti, il limite delle richieste cresce man mano che aumentano le vittime: quando la protesta ebbe inizio, la richiesta era la fine della legge d’emergenza, ma ora il regime viene giudicato il vero nemico del popolo e se ne chiede la caduta. Distruggere i monumenti degli Assad- padre e figlio – insieme ai loro ritratti è diventato routine, e la gente lo fa con grande entusiasmo.
Intanto il bagno di sangue si allarga, le cento vittime di oggi sono i cento funerali di domani, ciscuno a rappresentare i morti che verranno,e così sarà dopo,con la partecipazione più forte man mano che la violenza del regime diventa più pesante.
La paura ha abbandonato entrambe le parti: la gente non teme più di scendere nelle strade e il governo senza alcun ritegno spara sulla folla. Fra le fila del regime sono sempre più frequenti coloro che se ne vanno: il Muftì di Siria si è dimesso tre settimane fa; membri del Parlamento hanno rassegnato le dimissioni in diretta su Al-Jazeera la scorsa settimana, il direttore di uno dei giornali più influenti è stato licenziato dopo che aveva criticato con cautela il governo, ufficiali dell’esercito hanno restituito la divisa in segno di protesta, soldati hanno abbandonato la loro compagnia senza restituire le armi, personaggi pubblici di rango hanno espresso in pubblico disapprovazione verso le forze di sicurezza dopo che avevano ricevuto l’ordine di sparare sulla folla.
Man mano che diminuiscono gli alleati di Bashar, più cresce la crudeltà e il senso di accerchiamento. Non combattono più per difendere il regime ma per salvare la propria pelle. Il sangue delle vittime viene lavato con quello dei combattenti in uniforme di Assad. I fedeli al regime si preparano a combattere fino all’ultimo uomo.
La città di Hama è il simbolo della rivolta del 1982 da parte dei Fratelli musulmani , che fu crudelmente soffocata con migliaia di vittime. L’invio di truppe a Dar’a è stato il segnale della rivolta del 2011. La domanda è quante migliaia di persone devono venire uccise in Siria prima che ci sia un intervento come in Libia.
Al governo d’Israele suggerisco di paracadutare medicinali sulle città siriane tramite droni anonimi, sarebbe un eccellente investimento per il futuro.
Scenari futuri possibili
1) Salvaguardia dello stato siriano con una nuova leadership
E’ possibile che ad un certo punto le alte sfere dell’esercito siriano o i capi di qualche agenzia di intelligence, capiscano che è meglio fare qualche compromesso per salvare il salvabile. Per esempio arrestando Bashar Assad con il fratello Maher e altri parenti della famiglia Makhlouf, quella della madre. Seguirà un rapido processo, nel quale verranno trattati come si aspettano i rivoltosi, il tutto per garantire l’ordine sociale. Verrànno annunciati cambiamenti nella costituzione e riforme economiche, con l’annuncio di elezioni in tempi successivi. Uno scenario simile a quello egiziano.
Se chi prenderà queste decisioni sarà un appartenente alla tribù degli Alawi , è ovvio che il popolo non lo accetterà e continuerà la protesta. Se sarà un sunnita, c’è la speranza che ci sarà un’attesa per vedere come si svilupperà la situazione, soprattutto se ci sarà una diminuzione della corruzione economica e uno stop del bagno di sangue che ha colpito i dimostgranti. L’aspetto più significativo di questo scenario è la sopravvivenza della macchina dello stato, che continui a funzionare e ad amministrare lo stato. Negli anni che verranno, ci saranno poi i cambiamenti, e chi aveva preso parte al passato regime sarà gradualmente sostituito.
Se la velocità delle riforme non soddisferà le masse, ci sarà un ritorno nelle strade, con una opposizione al regime che impedirà di governare. I dimostranti sanno di poter contare e non cederanno a compromessi, soprattutto dopo tanti morti in nome della libertà.
2) Il regime si spacca
Il governo va in frantumi se e quando fra le forze di sicurezza – esercito e intelligence – esplodono i conflitti, con il cambio di lealtà dal regime ai rivoltosi, come era accaduto in Libia e Yemen. Se le cose andranno come in Libia, scoppierà una guerra tra chi nell’esercito sta dalla parte dei ribelli e chi rimane dalla parte del regime. Se succederà come in Yemen, l’esercito si sentirà come paralizzato fra due lealtà. La Siria potrà dividersi in due parti che rifletteranno la divisione geografica delle forze in campo, con una possibile guerra fra le due parti come in Libia. Questo scenario creerà una situazione instabile poichè ognuna delle due parti continuerà ad essere guidata da militari, e i problemi fondamentali della Siria rimarranno insoluti, se non peggiorati. Il regime sarà sostenuto dall’ Iran, mentre l’Occidente starà con i ribelli.
3) Il crollo dello Stato
Se gli Alawiti perderanno la battaglia nelle strade e il controllo del Parlamento, ci sarà la loro sconfitta; le masse sunnite scatenate entreranno nei quartieri alawiti di Damasco, Homs, Hama e Aleppo, armati di coltelli, pronti a ‘tagliare teste alawite dai loro colli’. Tutti i musulmani in Siria sanno che ‘gli alawiti sono infedeli e adoratori di idoli e,come tali, da condannare a morte’. Gli alawiti si rifugeranno sulle montagne della Ansayriyyah, la terra della Siria occidentale dalla quale erano venuti, e, asserragliati, difenderanno le loro vite.
I curdi nel nord dichiareranno la loro indipendenza come hanno fatto i loro fratelli in Iraq; i drusi, a Jabal al.Driz nel Sud, proclameranno la loro autonomia che gli fu tolta dalla Francia nel 1925; i beduini a est costituiranno un loro Stato con Dir a-Zur come capitale; gli abitanti di Aleppo sfrutteranno l’opportunità di scrollarsi l’odiato giogo di Damsco. Nasceranno così sei stati dalle rovine della Siria, molto più omogenei della Siria di prima unita in un solo stato, quindi agli occhi dei suoi abitanti più legittimata. Questo richiama quanto avvenuto in Yugoslavia.
Questi sei stati non avranno bisogno di un nemico esterno, per esempio Israele, il cui ruolo permanente è stato quello di unire i popoli sotto un unico vessillo, quello del presidente. Ci sarà quindi una reale e più grande possibilità di una pace fra lo stato che è stato fondato dall’altra parte del Golan (lo Stato di Damasco ?) e Israele. E dato che questi stati non avranno buone relazioni con l’Iran, il mondo non potrà far altro che benedire questo cambiamento, che,isolando maggiormente l’Iran, avrà spezzato l’asse del male ..
Il confine ‘caldo’ con Israele
Fino al 1970, tutte le volte che il regime siriano doveva affrontare problemi interni, creava tensioni al confine con Israele per avere l’opportunità di infiammare le masse: “ I barbari sionisti vogliono distruggerci, per cui dovete mettere da parte tutti i conflitti e restare uniti sotto la protezione del salvatore, il presidente”. Questa pratica è stata seguita per trentasette anni, ma è difficile credere che venga riesumata perchè la gente non ha più alcuna intenzione di dar retta a questa storia.
Anche se il regime ha a sua disposizione esercito e polizia, non cercherà di portare un attacco a Israele, perchè Israele risponderà duramente, in particolare bloccando gli elicotteri per impedire che entrino in azione. Ciò nondimeno, nel caso di un crollo totale dell’apparato statale, qualcuno all’interno del regime siriano, potrebbe ragionare “ moriremo insieme con gli israeliani”, lanciando armi chimiche in direzione di Israele. In questo caso, potrebbe essere difficile per Israele rispondere in maniera efficace perchè non ci sarebbe nessun potere da dissuadere o da punire. Israele deve essere pronto ad uno scenario del genere, con orecchie e occhi bene aperti sulle armi di distruzione di massa nelle mani dei siriani.
Mordechai Kedar è lettore di arabo e islam all' Università di Bar Ilan a Tel Aviv. Nella stessa università è direttore del Centro Sudi (in formazione) su Medio Oriente e Islam. E' studioso di ideologia, politica e movimenti islamici dei paesi arabi, Siria in particolare, e analista dei media arabi.
Link: http://eightstatesolution.com/
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