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Il Giornale Rassegna Stampa
29.04.2011 Libia: guerra sì, guerra no
analisi di Fiamma Nirenstein, Fausto Biloslavo

Testata: Il Giornale
Data: 29 aprile 2011
Pagina: 6
Autore: Fiamma Nirenstein - Fausto Biloslavo
Titolo: «È nostro dovere ma anche necessità politica - Ha ragione la Lega, è un intervento sballato dall’inizio»

Riportiamo dal GIORNALE di oggi, 29/04/2011, a pag. 6, l'articolo di Fiamma Nirenstein dal titolo " È nostro dovere ma anche necessità politica ", l'articolo di Fausto Biloslavo dal titolo " Ha ragione la Lega, è un intervento sballato dall’inizio ".
Ecco i due articoli:

Fiamma Nirenstein - " È nostro dovere ma anche necessità politica "


Fiamma Nirenstein

Dunque, ieri i primi F16 hanno preso il volo verso obiettivi mirati. Ma la guerra che abbiamo dovuto intraprendere in Libia e che non poteva certo essere abbandonata o gestita a piacimento in qualsivoglia istante (magari qualsiasi guerra lo potesse) ha avuto sempre le caratteristiche della necessità. Non ha a che fare con la “stoltezza”, come dice l’ottimo “Foglio”, ma piuttosto con la pietas che dal secondo dopoguerra è stata imposta, nel suo inizio, alla struttura dell’ONU nei suoi pilastri ideologici, anche se essi nel tempo si sono corrotti. Questo ci fa avvertire una vergogna particolare nei confronti della decisione presa mercoledì di non bollare con una risoluzione del Consiglio di Sicurezza il comportamento di Bashar Assad, che non solo, come Gheddafi, uccide a centinaia i suoi cittadini in rivolta, ma ne assedia coi carri armati le città prima ancora che essi si muovano in armi contro di lui. Insomma, gli fa guerra.

L’Italia aveva il dovere di affrontare la strage che Gheddafi ha subito intrapreso dall’inizio della rivolta. E ne aveva anche la necessità politica. Un dovere su cui si è tormentata parecchio, mentre comunque la strada veniva segnata. Perché comunque anche questa Europa zoppa in un modo o nell’altro sentiva che  per essere noi stessi, per incarnare la nostra civiltà (e purtroppo solo ora capiamo quanto fingerci cechi alla fine ci si ritorca contro) non possiamo lasciare morire le folle nelle mani di un dittatore. La necessità politica si è disegnata giorno dopo giorno, perché né allora né oggi una guerra finalmente decisa da Washington, da Londra e da una Parigi in sferzante concorrenza; e poi scelta dall’ONU; e poi coordinata, secondo la nostra originale richiesta seguita da Obama, dalla Nato può lasciarci fuori, estranei. La pena è il ghetto, e stavolta sì, il continuamente minacciato disdoro della nostra politica internazionale. L’Italia ha approcciato la guerra a modo suo, tentando di mediare un’uscita di Gheddafi (perché no?) finchè è stato possibile, finchè i ribelli non hanno denunciato attacchi sempre più sanguinosi, finchè anche l’Unione Africana non ha fatto sapere che Gheddafi era pazzo più che mai, aveva perso ogni possibilità di rapporto col mondo. Ha tessuto contatti con i ribelli, e, non bisogna dimenticarlo perché forse è la più importante delle imprese italiane, ha mandato per prima una missione di soccorso a Bengasi, e non era facile. L’Italia ha cercato di mettere a frutto la sua esperienza della Libia, la più tormentata ma anche la più approfondita, per tessere un rapporto con i ribelli e per avvertire i suoi partner che cacciare Gheddafi sarebbe stato difficile. La rete di informazioni italiane sulla Libia è stata fondamentale, e più di tutti l’ha riconosciuto Obama che insiste sul rovesciamento del rais e per una operazione “eufor”, ovvero in una forza di interposizione europea. Di certo i ribelli libici non costituisco una forza omogenea né politicamente affidabile; la componente estremista religiosa è in agguato. Ma oltre al fatto che rinunciare oggi non è possibile, pena orribili massacri, buona ragione della presenza italiana in Libia è la lunghissima tradizione del nostro interesse economico (la presenza dell’ENI data dal 1950, ed è sopravvissuta alla presa del potere da parte di Gheddafi) e anche il problema dell’immigrazione, che non comincia e non finisce con la guerra: l’Italia sa bene che potrà dire una parola sull’argomento se si sarà guadagnata i gradi sul campo. Un ultimo punto: che la Lega abbia sempre innanzitutto problemi di pratica vivibilità è ormai un fatto compreso e accettato. Le spieghi di nuovo adesso riguardo alla guerra, è suo diritto.. Ma che non si adorni con un abbigliamento pacifista, è meglio per l’etica e per l’estetica.
www.fiammanirensteion.com


Fausto Biloslavo - " Ha ragione la Lega, è un intervento sballato dall’inizio "


Fausto Biloslavo

Sull’incerta e confusa guerra in Libia la Lega ha ragione, anche se ciurla nel manico per interessi di bottega. Non sono certo un pacifista,ma l’avventura dell’Italia nel con­flitto libico è apparsa sballata fin dall’inizio. Una «guerra» parallela della propaganda e della disinformazione ha influenzato la per­cezione della realtà sul terreno. Il colonnel­lo Gheddafi era stato dato per spacciato, ma poi ci siamo resi conto di aver venduto la pelle dell’orso troppo presto.
Sbagliavamo ad accoglierlo a Roma, co­me se fosse la Madonna pellegrina del Nord Africa e abbiamo sbagliato dopo a mollarlo dalla sera alla mattina. Prima del­le bombe potevamo almeno giocare la car­ta dell’ultima ora con un blitz del presiden­te del Consiglio, Silvio Berlusconi, sotto la tenda da beduino per convincere Gheddafi a trovare una soluzione indolore, in nome della vecchia amicizia. Il Colonnello pote­va anche non sentir ragioni, ma l’Italia ci faceva un figurone. Ed il governo avrebbe potuto ulteriormente «giustificare» un in­tervento ben poco sentito dall’opinione pubblica.
Inutile girarci attorno: «Questa è una guerra che quasi nessuno voleva e noi me­no di tutti. Gli americani si sono sfilati e l’Ita­lia prima ha concesso un dito, poi una ma­no e adesso bombardiamo come gli altri. Speriamo almeno che da questo guazzabu­glio riemergano i nostri interessi naziona­li ». Non lo dice Gino Strada, ma il generale Mario Arpino, ex capo di Stato maggiore della Difesa.
Al momento il risultato è che i rubinetti del gas verso l’Italia sono chiusi e le conces­sioni petrolifere dell’Eni nella Sirte riman­gono a rischio, perchè nella zona corre la linea del fronte. Non solo: Gheddafi ha aper­t­o i cancelli ai clandestini diretti a Lampedu­sa. Il Colonnello è ancora al potere e con­trolla metà del Paese, a parte Misurata sotto assedio e qualche altro focolaio. Per non parlare dei 700 milioni di euro che secondo la Lega ci costerebbe questa imprevedibile guerra. Una cifra probabilmente esagerata, ma in tempi di crisi e con diecimila soldati impegnati all’estero, un altro conflitto pro­prio non ci serviva.
Dopo i radar ci siamo impegnati a colpire anche carri armati, caserme, arsenali per non far meno degli alleati. Qualcuno dovrà spiegarci perchè possiamo bombardare i militari libici e non i talebani in Afghani­stan, ben più tagliagole, dove i nostri caccia fanno solo fotografie. Oppure secondo qua­le logica colpiamo la Libia, ma non la Siria dove il regime sta massacrando il proprio popolo, come Gheddafi a Misurata.
E non ci vengano a dire che da una parte ci sono solo i fan del colonnello, tutti cattivi o sanguinari e dall’altra i buoni, esempio di democrazia. Il capo politico dei ribelli e quello militare erano rispettivamente mini­stro della Giustizia e dell’Interno di Ghed­dafi fino all’altro giorno. A Derna e Al Baida gli ex prigionieri di Guantanamo ed i vetera­ni della guerra santa in Irak sono in prima fila contro il regime.
Il colonnello, dopo 42 anni al potere, ha fatto il suo tempo ed ora che siamo in ballo dobbiamo ballare fino in fondo, ma forse era meglio restare neutrali come la Germa­nia.

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