Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 29/04/2011, a pag. 3, l'editoriale dal titolo " Hamas mangiatutto ". Dal GIORNALE, a pag. 11, l'articolo di Gian Micalessin dal titolo " L’Egitto molla Usa e Israele e mette pace fra i palestinesi ". Dal SOLE 24 ORE, a pag. 14, l'articolo di Ugo Tramballi dal titolo " L'unità palestinese alla prova dei negoziati ", preceduto dal nostro commento.
Ecco i pezzi:
Il FOGLIO - " Hamas mangiatutto"
Hamas non si è fatto sfuggire l’occasione ghiotta, ha finto un ritrovato accordo con i nemici di Fatah (nella Striscia di Gaza, di proprietà di Hamas, gli uomini del presidente Abu Mazen sono stati finora sterminati, letteralmente), ha dato credibilità al nuovo Egitto tanto per impensierire ancora di più l’occidente ed è tornato ad avere un ruolo “legittimo” nel momento in cui è iniziata la corsa all’Onu per il riconoscimento unilaterale dello stato palestinese. Un piano perfetto, aiutato dai media sempre bendisposti a celebrare “passi avanti verso la pace”. Questo non è un passo verso la pace, questo è un modo per togliere di mezzo Fatah e Abu Mazen e spezzare le già tenui speranze di trattativa con Israele. Hamas e Fatah non possono andare d’accordo. Non è che hanno avuto scaramucce in passato che ora cercano di digerire in nome di un ideale comune. La loro è una rivalità intrinseca, profonda, insuperabile. Il gruppo che spadroneggia nella Striscia di Gaza vuole lo scontro con Israele, non accetta alcuna trattativa, lancia razzi, detiene il soldato Shalit, conta sull’instabilità nella regione per colpire Gerusalemme il prima possibile. Il gruppo che spadroneggia in Cisgiordania fa affari con Israele, grandi affari, stringe la mano al premier Netanyahu, accetta la mediazione americana. Non ci sono punti di contatto, non è una fusione, è un’opa ostile. Il più forte mangerà il più debole, e chi sia il più forte non c’è nemmeno bisogno di spiegarlo. Per Israele le cose si stanno mettendo davvero male. Non soltanto c’è una ormai cronica incomprensione con l’alleato americano (questo mese Netanyahu torna per l’ennesima volta a Washington, chissà se finalmente ci sarà qualche chiarimento), non soltanto c’è un medio oriente in totale rivolgimento, ma ora c’è pure l’iniziativa all’Onu messa in piedi da Abu Mazen e caldeggiata non soltanto dai soliti amici palestinesi delle Nazioni Unite, ma anche da “insospettabili”, come i francesi di Sarkozy. Con tutta probabilità il voto si terrà a settembre, all’Assemblea generale, e i numeri ci sono già. Abu Mazen ha preparato le basi per un accordo internazionale, Hamas ne sfrutterà il bottino. Non è difficile immaginare come.
Il GIORNALE - Gian Micalessin : " L’Egitto molla Usa e Israele e mette pace fra i palestinesi "
Nabil Araby, ministro degli Esteri egiziano
Quando due mesi e mezzo fa si sbarazzò di un Hosni Mubarak diventato ormai ingombrante il presidente Barack Obama pensava di aver fatto un grande affare. Immaginava d’essersi guadagnato la riconoscenza dei nuovi vincitori. S’illudeva d’aver fattolascelta giusta per preservare il ruolo degli Stati Uniti in Medio Oriente. Il trattato di riconciliazione tra Hamas e Fatah mediato in gran segreto dal nuovo ministro degli Esteri egiziano Nabil Araby è la prova più evidente degli errori di calcolo della Casa Bianca. E la prova di come le nuove autorità egiziane non intendano collaborare con i vecchi alleati, ma guardino, invece, a una nuova politica di contrapposizione con Israele.
Con quell’accordo tessuto in gran segreto l’Egitto allunga un calcio ad Obama, lo esclude dalla più cruciale partita diplomatica e punta ad assumere il controllo della questione palestinese. Con quella mossa l’Egitto non minaccia soltanto di chiudere per sempre qualsiasi speranza di pace negoziale, ma rischia di consegnare anche la Cisgiordania ad Hamas confermando, indirettamente, le tesi di quanti in Israele giudicano inutile la ripresa delle trattative di pace. Del resto l’accordo tessuto da Nabil Araby, uno dei ministri del nuovo esecutivo più ostile a Israele, non prevede né il riconoscimento dello Stato ebraico, né la rinuncia alla lotta armata, né l’accettazione degli accordi di pace di Oslo.
«Il nostro programma non include né negoziati con Israele né il suo riconoscimento», - chiarisce Mahmoud Zahar, uno dei leader di Hamas protagonista della trattativa con Fatah e con gli egiziani. L’accordo in cinque punti prevede, invece, la creazione di un governo provvisorio, la nascita di una forza di sicurezza comune e l’ingresso di Hamas nell’Olp, l’Organizzazione per la liberazione della Palestina nella quale da sempre è egemone Fatah.
Dopo le elezioni parlamentari del 2006 vinte dal gruppo integralista e la battaglia per il controllo di Gaza combattuta nel 2007 fondamentalisti e l’Anp si erano di fatto spartiti i territori palestinesi. Il tentativo di riconciliazione messo a punto da Nabil Araby punta invece a riunificare la Gaza fondamentalista di Hamas e la Cisgiordania laica di Fatah. Il progetto non prevede però né un ruolo per gli Stati Uniti, né uno spazio negoziale con Israele.
Non a caso la prima vittima dell’accordo è il primo ministro dell’Autorità Palestinese Salam Fayyad. Il premier, considerato l’uomo di fiducia di Washington e il garante degli aiuti per centinaia di milioni di dollari versati all’Anp dal Congresso statunitense, è stato tenuto all’oscuro dell’iniziativa e non troverà posto nel nuovo governo provvisorio. Meno chiara la scommessa di Mahmoud Abbas. Accettando il piano egiziano il presidente palestinese punta forse a vendicarsi di una Casa Bianca colpevole di non aver bloccato l’ espansione degli insediamenti rilanciata dal governo israeliano di Benjamin Netanyahu, ma rischia di siglare la propria condanna a morte politica. Il ritorno di Hamas al di fuori dei recinti di Gaza rischia di far cadere vaste aree della Cisgiordania in mani fondamentaliste allargando l’influenza iraniana e spingendo Israele a reagire pesantemente ad eventuali attacchi messi a segno da quei territori. Il colpo definitivo a qualsiasi possibilità di pace si nasconde nella postilla che prevede l’entrata di Hamas nell’Olp.
Grazie a quell’intesa l’organizzazione fondamentalista potrebbe assumere il controllo dell’organizzazione garante degli accordi di Oslo e decretarne la cancellazione. Un piano esattamente speculare a quello dei Fratelli Musulmani e delle altre organizzazioni fondamentaliste che in Egitto sognano cancellazione della pace con lo stato ebraico firmata nel 1979 dal presidente Anwar Sadat. Così Egitto e Palestina potranno compiere un balzo all’indietro d’oltre 30 anni e tornare insieme all’antica e rimpianta contrapposizione con Israele.
Il SOLE 24 ORE - Ugo Tramballi : " L'unità palestinese alla prova dei negoziati"
Tutto l'articolo di Ugo Tramballi ha lo scopo di convincere il lettore che se l'intesa fra Hamas e Fatah fallrà, sarà per colpa di Israele. Usa e Ue pretendono che il nuovo Stato palestinese (se e quando ci sarà) riconosca Israele. Ma con Hamas è impossibile. Ecco l'articolo:
Ugo Tramballi
Bibi Netanyahu aveva un problema. A maggio era stato invitato a Washington per tenere un discorso al Congresso. Da dire, di concreto, aveva poco, stretto fra Barack Obama che preme per una ripresa della trattativa di pace e l'offensiva diplomatica di Abu Mazen per un riconoscimento all'Onu dello Stato palestinese. Costretto a presentare una proposta israeliana, Bibi avrebbe messo in crisi il suo Governo ultra-nazionalista, ostile a ogni concessione.
Il problema glielo hanno risolto i palestinesi. L'accordo sponsorizzato dall'Egitto, raggiunto mercoledì, prevede un Governo provvisorio Hamas-Fatah. Quello che gli americani non volevano. Hamas rifiuta di riconoscere Israele e predica la lotta armata. Anche gli europei sono in imbarazzo: sono favorevoli a una riconciliazione palestinese e contemporaneamente alla sicurezza d'Israele. Catherine Ashton, il ministro degli Esteri della Ue, prende tempo: «Dobbiamo studiare i dettagli» dell'accordo. Il quale prevede che il Governo palestinese sia guidato da «figure nazionaliste e indipendenti». Cioè non da Salam Fayyad, il premier dell'Autorità palestinese della Cisgiordania, il solo vero referente di americani ed europei. Gli unici che garantiscono aiuti economici per milioni di dollari. Gli Stati Uniti lo hanno già fatto presente.
È ovvio che una riconciliazione fra i palestinesi di Gaza e quelli della Cisgiordania sia auspicabile e che in qualche modo Hamas dovrebbe essere coinvolto nel dialogo di pace. Ma al momento la riconciliazione e il processo diplomatico sembrano in contraddizione. Fatah «continuerà ad occuparsi del negoziato», garantisce Abu Mazen che è anche il leader dell'Olp. Ma Hamas non aderisce all'Organizzazione e Mahmud Zahar, il leader del movimento islamico a Gaza, al contrario garantisce che il programma del Governo che nascerà dalla riconciliazione «non include negoziati con Israele né il suo riconoscimento. Non sarà possibile per il Governo a interim partecipare o mettersi al lavoro sul processo di pace».
La diplomazia palestinese della Cisgiordania ha ottenuto da oltre un centinaio di Paesi la promessa di un voto a favore all'Onu, quando a settembre verrà presentata la risoluzione che riconosce il diritto palestinese a uno Stato. Ma era implicito fosse uno Stato che riconosce Israele. Se ha ragione Mahmud Zahar e non Abu Mazen, molti Governi ci ripenseranno, soprattutto gli europei. Niente dialogo con Hamas se non riconosce Israele, già dicono i tedeschi, Secondo Shimon Peres, il presidente israeliano favorevole a uno Stato indipendente, i palestinesi stanno commettendo ancora una volta «un errore fatale».
Il suo problema Netanyahu lo ha dunque risolto. Ma non la questione palestinese e il processo di pace. È già previsto che Abu Mazen e Khaled Meshal, il capo supremo di Hamas in esilio a Damasco, si vedano mercoledì al Cairo per firmare il compromesso. Molti capi della sicurezza palestinese in Cisgiordania pensano che l'incontro non ci sarà: troppo profonda è l'ostilità. Hamas non vuole che Fatah torni a Gaza; e Fatah non vuole liberare centinaia di miliziani di Hamas arrestati, compromettendo l'ordine raggiunto faticosamente in Cisgiordania.
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