Confronto fra le due principali tv satellitari arabe di Andrea Affaticati
Testata: Il Foglio Data: 27 aprile 2011 Pagina: 7 Autore: Andrea Affaticati Titolo: «Piccola storia dei media arabi alla prova della democrazia»
Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 27/04/2011, a pag. III, l'articolo di Andrea Affaticati dal titolo "Piccola storia dei media arabi alla prova della democrazia".
Milano. “La copertura della rivolta da parte dei mass media arabi aiutò a promuovere, dall’Egitto al Bahrein, il desiderio – per quanto ancora a uno stadio embrionale – di un’apertura democratica. ‘Kifaya’, cioè ora basta (con questo regime) divenne lo slogan di quella rivolta”. Un’affermazione che potrebbe essere stata scritta in questi mesi, invece si riferisce alla Rivoluzione dei cedri in Libano nella primavera del 2005, come si legge nel libro di Lawrence Pintak, ex corrispondente per il medio oriente della Cbs, “The New Arab Journalist (ed. I. B. Tauris). Uscito da poche settimane, tratta un argomento di grande attualità, i cambiamenti nel giornalismo di matrice araba, e ciò nonostante pare già sorpassato dagli eventi. Come nelle rivolte popolari di questi ultimi mesi in nord Africa anche nella Rivoluzione dei cedri il ruolo dei media, in particolare della tv satellitare al Jazeera, è stato fondamentale, Pintak dice: “Senza la tv del Qatar difficilmente avrebbe potuto esserci quella rivolta che poneva fine a 29 anni di presenza militare siriana”. Dunque i media possono trasformarsi in arsenali per la lotta della democrazia. Una conclusione logica ma affrettata, tiene a precisare l’autore: per quel che riguarda poi la speranza di un effetto domino, “all’alba del 2010, non uno dei regimi mediorientali aveva sgomberato il campo”. Da qui la conclusione laconica: “La televisione da sola non può ‘creare’ il cambiamento. E’ solo un ‘agente’, o meglio uno strumento in mano agli architetti della trasformazione”. Si vorrebbe dare torto a Pintak, suggerirgli di aggiornare velocemente il volume. Ma anche se il tunisino Ben Ali e l’egiziano Hosni Mubarak hanno sgomberato il campo, nessuno può ancora dire cosa porterà veramente il futuro. Per non parlare di Libia, Siria, Yemen dove la partita è ancora aperta. Il libro è stato superato dagli eventi, ma resta molto interessante perché descrive e analizza un numero considerevole di testate (quotidiani e televisioni) in massima parte off limits (per questioni linguistiche) e permette di farsi un’idea più precisa a chi in queste settimane si è posto la domanda di quanto i media siano stati all’origine delle rivolte. Pintak racconta della breve primavera dell’informazione araba tra il 1950 e il 1951, cioè nell’interregno tra la fine del colonialismo e l’avvento delle dittature del partito Baath in Siria e Iraq, di Nasser in Egitto e l’ascesa al trono di re Hussein in Giordania. Racconta di come i potenti, non potendo frenare la diffusione di notizie attraverso i nuovi mezzi, hanno trovato però il modo di controllare la velocità del cambiamento: per esempio, abolendo sì la censura ma varando, al contempo nuove leggi che di fatto rendono il mestiere ancora più difficile. Non a caso il numero di morti tra i giornalisti arabi è molto alto e l’istinto di autocensura molto sviluppato. Poi “nel 1996 con la nascita di al Jazeera il mondo arabo si affranca dalla dipendenza dalle news occidentali, e crea un suo giornalismo, che si erge però a “vessillo del mondo arabo con una forte connotazione militante”. Pintak si occupa della guerra tra al Jazeera, fondata dall’Emiro del Qatar (e molto più potente perché dotata di una rete in inglese) e al Arabiya in mano alla famiglia reale saudita. E lo fa alla luce di un esempio emblematico: l’attacco nel 2009 di Israele contro Gaza. Durante quelle tre settimane al Jazeera continuò a mandare in onda immagini di palestinesi feriti, sanguinanti, definendoli martiri. al Arabiya invece quel termine invece non lo usò mai, limitandosi a parlare di vittime palestinesi. Questo le attirò le critiche velenose del leader di Hezbollah, Hassan Nasrallah il quale mutò il nome della tv in “Al-Ibryia” (letteralmente “l’ebreo”). La tv del Qatar stava dalla parte di Hamas, mentre quella saudita con Fatah. Divisioni che saltano agli occhi anche solo a guardare le immagini dei due canali (soprattutto quelle di al Jazeera in arabo sono sempre molto truci). Differenze che si notano anche nei servizi sulla Siria. C’è chi dice che al Jazeera getta benzina sul fuoco, mentre al Arabiya prova un difficile equilibrismo.
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