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La Stampa Rassegna Stampa
23.04.2011 L'Italia libera terrorista tunisino, gli Usa irritati
Cronache di Maurizio Molinari, Francesco Grignetti

Testata: La Stampa
Data: 23 aprile 2011
Pagina: 7
Autore: Maurizio Molinari-Francesco Grignetti
Titolo: «Terrorista espulso, irritazione Usa- Il barbiere di Viale Jenner che sognava la sharia-Volevano colpire il Duomo di Milano»

Nuova butta figura dell'Italia, grazie a magistrati dalla assoluzione facile, un altro terrorista ha preso il volo. L'America si irrita, ma non è la prima volta, tra i precedenti c'è la liberazione della Baraldini, anche lei liberata quasi subito, non sopportava la carcerazione.
Il commento da New York di Maurizio Molinari, la cronaca di Francesco Grignetti, e una breve  sul progettato attacco la Duomo di Milano, sulla STAMPA di oggi, 23/04/2011 a pag.7.

Maurizio Molinari: " Terrorista espulso, irritazione Usa "

La decisione del governo italiano di trasferire in Tunisia un ex detenuto di Guantanamo solleva sorpresa nell’amministrazione Obama. A gestire al Dipartimento di Stato il dossier degli ex prigionieri nel carcere militare nella base sull’isola di Cuba è l’ambasciatore Dan Fried, che mercoledì è venuto a sapere del trasferimento di Abdel Ben Mabrouk dalla lettura dei giornali americani, che riportavano con evidenza le cronache su un «volo segreto» avvenuto da Roma a Tunisi. La sorpresa è stata notevole per via del fatto che, sulla base degli accordi bilaterali siglati nel 2009, l’Italia al momento di ricevere tre ex detenuti di Guantanamo si è impegnata a far conoscere agli Stati Uniti ogni loro eventuale spostamento. Si tratta di memorandum siglati dall’amministrazione Obama con tutte le nazioni che hanno accettato di accogliere ex detenuti, il cui monitoraggio costante viene considerato necessario ai fini della lotta al terrorismo perché spesso gli ex prigionieri finiscono per tornare a unirsi a cellule jihadiste, come avvenuto ad esempio in Yemen e Arabia Saudita.

Alla sorpresa di Fried è seguita una richiesta di chiarimento, recapitata attraverso i canali diplomatici al governo italiano, e nella giornata di ieri un alto funzionario dell’amministrazione ha detto a La Stampa che «spetta all’Italia commentare il trasferimento avvenuto in Tunisia».

La scelta dei termini indica la necessità che il governo Berlusconi spieghi a Washington perché tale scelta è stata compiuta e per quale motivo non è stata comunicata per tempo. Dietro la richiesta di chiarimenti di Washington, si apprende da fonti diplomatiche, vi sono più motivi di preoccupazione. Primo: la Tunisia attraversa una fase di forte instabilità a causa delle rivolte arabe e Abdel Ben Mabrouk potrebbe giovarsene per far perdere le proprie tracce in un momento in cui l’intelligence americana ritiene che Al Qaeda stia tentando di riacquistare forza in Maghreb. Secondo: la collaborazione anti-terrorismo fra Italia e Stati Uniti è stata di «altissimo livello» negli ultimi anni, ma la condanna degli agenti della Cia per il rapimento di Abu Omar da parte del Tribunale di Milano ha sollevato dubbi che ora si ripropongono. Terzo: le recenti critiche agli Stati Uniti sull’intervento in Libia e la conseguente emergenza clandestini da parte di alcuni esponenti del governo italiano fanno temere a Washington un crescendo di fibrillazioni bilaterali.

Ma ciò che più spiega la sorpresa di Washington sta nel fatto che nel giugno del 2009 la decisione di accogliere tre ex detenuti di Guantanamo fu il gesto con cui Silvio Berlusconi inaugurò i rapporti personali con il presidente Barack Obama in occasione del primo - e finora unico - incontro avuto alla Casa Bianca. In quell’occasione vi fu una serrata trattativa sul numero degli ex detenuti che l’Italia avrebbe accettato, nella fase di preparazione dell’incontro si parlò di 13 ma poi il numero scese rapidamente fino a 3, con l’impegno tuttavia da parte dell’Italia ad accoglierne a breve termine almeno altri 2, se non di più. Fu proprio Dan Fried ad occuparsi dei dettagli della trattativa bilaterale, considerando l’impegno italiano un gesto importante verso Washington perché fu allora il primo alleato europeo ad accettare ex detenuti di Guantanamo. Da allora Fried ha più volte chiesto all’Italia di onorare la promessa di ricevere altri ex detenuti trovandosi però davanti risposte negative e temporeggiamenti, culminati mercoledì nell’inattesa decisione dell’Italia di liberarsi di Abdel Ben Mabrouk.

Francesco Grignetti: " Il barbiere di Viale Jenner che sognava la sharia "

Dopo ben undici anni di detenzione, passando da un carcere pakistano a una prigione segreta americana, prima a Kandahar e poi a Guantanamo, quindi nell’italianissima Macomer, Asti, e infine dopo essere stato ristretto per altri due mesi in un Cie alle porte di Roma, da tre giorni il fondamentalista Adel Ben Mabrouk è tornato in Tunisia. Lo presero prima ancora che il nuovo terrorismo islamista si manifestasse in tutta la sua potenza con l’attentato alle Torri Gemelle. E lo presero in Pakistan a un posto di frontiera perché cercava di entrare in Afghanistan. Ma la guerra all’epoca non era ancora iniziata, gli americani erano ancora a casa loro, Enduring Freedom non era nata. E Mabrouk è un ben strano terrorista che non ha mai impugnato un fucile.

Era arrivato in Italia e non aveva ancora vent’anni. Si era alla fine dei Novanta e però il fondamentalismo islamico già faceva paura. La moschea di Milano, quella famigerata di viale Jenner, quella dove teneva i suoi sermoni un tale imam di nome Abu Omar, era un centro di proselitismo e il giovane Adel Ben Mabrouk non sfuggì al fascino di certi discorsi. Nel frattempo aveva trovato un lavoretto di barbiere presso la moschea. Ma sognava la sharia sulla terra. «Si era indubbiamente infervorato - racconta uno dei suoi avvocati, Claudio Corbucci - e aveva sentito del lontano Afghanistan dei taleban come di un luogo ideale dove si applicava la legge islamica nella maniera più letterale. Perciò lasciò l’Italia e andò in Asia. Ma non era un jihadista; si era ancora lontani dall’esplosione del terrorismo e dalla guerra».

Gli americani la vedono in maniera diversa. Lo hanno tenuto a Guantanamo per nove anni dopo che le autorità pakistane lo consegnarono a loro perché non sapevano che farsene di lui e lo hanno interrogato all’infinito finché non lo spedirono in Italia nel novembre del 2009. Del periodo di Guantanamo, però, Mabrouk non ha mai voluto parlare, né con gli avvocati italiani, né con i magistrati. «Voleva solo farla finita con il carcere infinito. Era lui che voleva il processo - ricorda l’altro difensore, l’avvocatessa Giusy Regina -. Perciò scegliemmo assieme il rito abbreviato».

Voleva un processo-lampo e fu accontentato. Il 7 febbraio 2011, a Milano, il procuratore aggiunto Armando Spataro si presentava in udienza con una serie di incartamenti sotto il braccio. Erano le condanne definitive per i coimputati, altri islamici arrestati nel circuito della moschea, alcuni nel 2005 nell’ambito di una operazione dei Ros definita «Bazar», altri successivamente con l’accusa di voler attentare al Duomo di Milano. Mabrouk quel giorno rispondeva di associazione a delinquere con le aggravanti della finalità terroristica. «Ma di fronte alle sentenze definitive c’è poco da discutere», ammette il legale. Un’ora dopo, Mabrouk usciva dall’Aula con una condanna sul groppone. Solo simbolica, però. Già, perché Spataro, con una motivazione che non piacque ai commentatori de «Il Giornale», argomentò che il tunisino meritava le attenuanti in quanto aveva scontato già abbastanza e per di più in condizioni «disumane». Disse il pm Spataro: «Non deve stare in carcere un giorno di più. Questa carcerazione non è concepibile in una democrazia».

Mabrouk fu condannato dal giudice Maria Vicedomini a due anni, pena minima e sospesa considerando che aveva già scontato in Italia un anno e due mesi. Non era finita la sua odissea, però. Trasferito al Centro di identificazione e espulsione di Roma, per Mabrouk fu stabilita l’espulsione coattiva su richiesta del ministero dell’Interno: «Motivi di ordine pubblico e di sicurezza dello Stato». «Ma a Mabrouk - ricorda l’avvocato Corbucci - ciò non dispiaceva, sa. Mi disse: “Voglio solo tornare a casa mia e rivedere mia madre che non incontro da troppo tempo”. In undici anni, ha potuto telefonarle solo 3-4 volte dal carcere. Io ero un po’ preoccupato per quel che gli poteva accadere in Tunisia, ed ero anche pronto a dare battaglia, ma fu lui a dire di lasciar perdere perché era stanco e voleva solo tornare indietro».

Nel frattempo esplodeva la crisi tunisina con tutto quel che si sa. Il regime di Ben Alì, imploso. La polizia, svanita. E quindi è stato impossibile rimpatriarlo. Per Mabrouk sembrava davvero una maledizione. Ma poi è venuto l’accordo bilaterale di aprile tra Italia e Tunisia; sono riprese le espulsioni e finalmente c’è stato un volo anche per lui. Avvocato, era preoccupato? «Macché. Tranquillissimo».

Volevano colpire il Duomo di Milano



Nel 2005 i carabinieri di Milano hanno arrestato quattro tunisini: Ben Yahia Mouldi Ben Rachid, considerato uno dei capi organizzativi della cellula, Hekiri Hichem Ben Mohamed, Sassi Samir e Kneni Kamel. Adel Ben Mabrouk, invece, era già detenuto a Guantanamo. I tunisini erano finiti nel mirino dell’autorià giudiziaria in seguito alle dichiarazioni di un pentito, che aveva parlato di progetti di attentati al Duomo di Cremona, alla metropolitana e al Duomo di Milano. Quest'ultimo progetto prevedeva l'utilizzo di una macchina della polizia imbottita di esplosivo dopo averne sequestrato l'equipaggio. Adel Ben Mabrouk, accusato di associazione per delinquere aggravata dalle finalità terroristiche, viene processato solo nel 2001, condannato con rito abbreviato a due anni e subito scarcerato.

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