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La Stampa Rassegna Stampa
22.04.2011 Marine Le Pen sempre più in alto nei sondaggi per le prossime elezioni francesi
Cronaca e intervista a Robert Ménard di Alberto Mattioli

Testata: La Stampa
Data: 22 aprile 2011
Pagina: 17
Autore: Alberto Mattioli
Titolo: «Sull’Eliseo si abbatte il ciclone Le Pen - Fuori dal gregge del politically correct. Io dico: viva Marine»

Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 22/04/2011, a pag. 17, l'articolo di Alberto Mattioli dal titolo " Sull’Eliseo si abbatte il ciclone Le Pen " e la sua intervista a Robert Ménard dal titolo " Fuori dal gregge del politically correct. Io dico: viva Marine ".

I lettori di IC sono già a conoscenza di questi dati grazie all'articolo di Manfred Gerstenfeld del 15/03/2011 (http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=&sez=360&id=38900), ma facciamo i complimenti ad Alberto Mattioli per il modo in cui ha presentato la situazione.
Ecco i due pezzi:

" Sull’Eliseo si abbatte il ciclone Le Pen "


Marine Le Pen

Peggio di un sondaggista c’è solo un sondaggista malizioso. E quelli francesi, che sono maliziosissimi, hanno scelto proprio ieri per diffondere le percentuali che certificano l’ennesimo balzo in avanti di Marine Le Pen nelle intenzioni di voto per le presidenziali dell’anno prossimo. E il 21 aprile, per la politica francese, non è una data qualsiasi. Quel giorno, nel 2002, successe l’inimmaginabile: il papà di Marine, Jean-Marie, se possibile ancora più a destra di lei, superò al primo turno il candidato socialista Lionel Jospin e andò al ballottaggio con Jacques Chirac. Lo perse, perché si formò subito un «Front républicain», la versione locale del nostro «arco costituzionale», che rimandò Chirac all’Eliseo e con percentuali bulgare. Ma lo choc fu enorme. E adesso, nove anni dopo, ci risiamo: un Le Pen al secondo turno.

Dunque, madame Le Pen ha il vento in poppa. Al momento, per la verità, a parte qualcuno dell’ultrasinistra e diversi mitomani, è anche l’unica candidata «dichiarata». Ma che Nicolas Sarkozy voglia farsi rieleggere è «un segreto di Pulcinella», com’è scappato detto al suo ministro degli Esteri, Alain Juppé. Però Sarkò è anche ai minimi storici di consenso: 27%, la percentuale più bassa per un presidente in carica della Quinta repubblica.

Dall’altra parte ci sono i socialisti, come al solito più impegnati a farsi la guerra che a farla ai nemici. Al confronto, come compattezza il Pd è il partito comunista nordcoreano. Comunque, dopo le primarie e relative laceranti polemiche, il Ps un candidato lo troverà. I presidenziabili sono quattro: Dominque StraussKahn, François Hollande, Martine Aubry e Ségolène Royal. Ed è appunto considerando il poker socialista che hanno lavorato i sondaggisti. Bene: in tre casi su quattro, Sarkozy sarebbe eliminato al primo turno e si andrebbe a un ballottaggio fra Le Pen e il socialista (in due casi su tre, con lei in vantaggio). Unica eccezione, DSK, che porterebbe a casa un ottimo 30%. Un ballottaggio tutto di destra, fra Le Pen e Sarkozy, si avrebbe solo nel caso della candidatura, sempre più improbabile, di madame Royal, che ha perso al secondo turno contro Sarkozy nel 2007 e stavolta riperderebbe già al primo.

Fin qui i numeri. I commenti sono unanimi: Le Pen è davvero in grandissima ascesa, ma se i socialisti non si fanno del male da soli, cioè se smettono per qualche mese di comportarsi da socialisti, hanno ottime chance di portare uno di loro all’Eliseo. Specie se DSK smettesse di recitare l’Amleto e si decidesse ad annunciare l’addio al Fondo monetario internazionale che dirige per tornare in Francia e iniziare a fare campagna elettorale.

Resta chi all’Eliseo già ci sta. Secondo il «Parisien», che ha pubblicato il sondaggio, Sarkozy è calmissimo e continua a ripetere ai suoi che il ballottaggio se lo giocheranno lui e un socialista: «Finirà con un duello classico destra-sinistra, molto serrato, 50 a 50. Tutto quel che si dice oggi non ha senso. La partita non è cominciata». Ma intanto il suo partito, l’Ump, bastonato alle amministrative, terrorizzato dai sondaggi, si sta lacerando peggio della Dc di una volta e ogni giorno perde pezzi. I suoi «tenori», il primo ministro François Fillon in testa, lo negano, ma pensano già alle presidenziali seguenti, quelle del 2017. Però sarebbe un errore dare per finito Sarkò: l’uomo ha fiuto, risorse, tenacia e nell’emergenza dà il meglio. Di certo, venderà cara la pelle.

" Fuori dal gregge del politically correct. Io dico: viva Marine "


Robert Ménard

Non solo sondaggi. Lo sdoganamento di madame Le Pen lo si fa anche (e forse soprattutto) in televisione. In tivù non è più tabù discutere delle sue posizioni e magari trovarle pure giuste. E cresce l’impatto mediatico di un gruppo di polemisti sempre brillanti e spesso faziosi, diversi fra loro ma con un bersaglio in comune: il politically correct in tutte le salse. I cinque dell’Ave Marine censiti da «Le Monde» come «reazionari» sono Elisabeth Lévy, Yvan Rioufol, Eric Zemmour, Eric Brunet e Robert Ménard. Ed è quest’ultimo il lepenologo che proprio non t’aspetti. Perché Ménard è l’uomo che ha fondato e diretto per vent’anni «Reporters sans frontières», che ha scalato Notre-Dame per issarci una bandiera tibetana e protestare contro le Olimpiadi a Pechino e fondato un centro per la libertà di stampa in Qatar. E che invece adesso va in tivù a dire che «solo in certi casi», bontà sua, la pena di morte ci può pure stare. Scandalo generale. Un habitué delle battaglie per i diritti dell’uomo in generale e dei giornalisti in particolare che difende madame Le Pen, destra estrema in odore di fascismo e in sospetto di xenofobia? Eppure non c’è dubbio. Ieri è uscito un suo svelto pamphlet di 30 pagine (Hessel docet: la brevità piace. E soprattutto paga) scritto insieme alla moglie Emmanuelle Duverger. Titolo: «Vive Le Pen».

Ménard, perché «Vive Le Pen»?

«Perché mi sono stufato dell’ipocrisia. Perché se dico "viva Besancenot" (leaderino dell’ultrasinistra, ndr) non succede niente, se dico "viva Le Pen" è uno scandalo. Come se l’estrema sinistra fosse meno estremista dell’estrema destra».

Però magari è più politicamente corretta.

«Io non sopporto più l’ipocrisia della classe politica e anche dei media. Non sopporto questa corsa al centro, a ripetere tutti all’infinito le stesse banalità. E come me non le sopportano più gli elettori. Insomma, se madame Le Pen propone qualcosa bisogna risponderle, non limitarsi a strillare che è fascista. Ma lei fascista non lo è affatto. E se non è vero, perché devo dirlo?»

Gli ultimi sondaggi li ha visti?

«Certo. E non mi sorprendono. Anzi, se si continua così il Front National arriverà al 30 per cento. Dando magari risposte sbagliate, solleva delle domande vere. Ma la replica è sempre e soltanto "no pasaran", neanche fossimo nella Spagna degli Anni Trenta. Io non voto Le Pen. Ma non credo che la libertà d’espressione valga solo per i miei amici o per chi la pensa come me. Invece no: benché tacite, ci sono delle regole del gioco e chi non le rispetta è fuori. E’ bastato che annunciassi il titolo del mio pamphlet perché i media si scatenassero, stroncandolo prima ancora che uscisse. Il che dimostra, fra l’altro, che i giornalisti scrivono di libri che non leggono».

Forse scandalizza non tanto quel che lei scrive, ma perché lo scrive il fondatore di «Reporters sans frontières»...

«Ecco, vede? Solo perché ho difeso i diritti dell’uomo, devo essere di sinistra. Ma io a sinistra non ho mai votato, nemmeno quando dirigevo Rsf. E’ ora di denunciare con forza i legami incestuosi fra le organizzazioni che dicono di difendere i diritti umani e la sinistra. Sa come si chiama la direzione della Lega dei diritti dell’uomo, la più antica organizzazione francese? Comitato centrale. Le ricorda niente? A me sì».

Non c’è dubbio che madame Le Pen stia moderando le posizioni del Fn, ma quando le si chiede se si ispiri all’operazione compiuta da Gianfranco Fini nel Movimento sociale si inalbera.

«E sbaglia. E’ esattamente l’evoluzione che il Fn sta facendo e che spero faccia fino in fondo. Del resto, la differenza fra la figlia e il padre è evidente. Marine ha appena definito la Shoah "il vertice della barbarie", Jean-Marie definiva le camere a gas "un dettaglio della Seconda guerra mondiale", che schifo. Se non è un cambiamento questo... Anzi, no, chiamiamolo con il suo nome: è un progresso».

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