Come prevenire la rivolta senza usare l’esercito, le riforme del re del Marocco analisi di Carlo Panella
Testata: Il Foglio Data: 21 aprile 2011 Pagina: 3 Autore: Carlo Panella Titolo: «Modello Rabat. Come prevenire la rivolta senza usare l’esercito»
Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 21/04/2011, a pag. 3, l'articolo di Carlo Panella dal titolo "Modello Rabat. Come prevenire la rivolta senza usare l’esercito".
Re Mohammed VI Carlo Panella
Re Mohammed VI del Marocco, “Guida dei credenti” e discendente diretto del Profeta, è l’unico leader arabo che non riceve richieste di dimissioni. Ci sono state grandi manifestazioni popolari in tutto il paese il 20 febbraio e il 20 marzo, ma la credibilità personale del sovrano e la tenuta del sistema democratico del paese non sono state minimamente intaccate. Oggi il Marocco è una democrazia “controllata” e retta da un monarca che ha poteri più che consistenti – come quello di sospendere la Costituzione, di licenziare il governo e di sciogliere il Parlamento – ed è protetto da leggi che prevedono pene pesanti per chi “infanghi” la sua figura e il suo nome. Nonostante questi limiti, il paese di Mohammed VI è, assieme all’Iraq del dopo Saddam Hussein, l’unica democrazia elettorale effettiva in tutto il mondo arabo (in Libano il voto è clanico e suddiviso per appartenenza religiosa), anche se scarsamente partecipata (nell’ultima consultazione del 2007 votò solo il 37 per cento degli aventi diritto). Questo modello di graduale transizione dall’autocrazia, impostato da Mohammed VI nel 1999, regge bene anche a fronte della mobilitazione di piazza. Persino le agenzie di rating Standard & Poor’s e Fitch, a fine febbraio, hanno stabilito che il Marocco è il paese arabo meno esposto a possibili rivolgimenti politici. Il modello marocchino è riformista sul piano interno così come lo è sul piano della politica internazionale: il Marocco è l’unico stato arabo non confinante con Israele che ne ha pienamente riconosciuto il diritto all’esistenza, instaurando relazioni diplomatiche normali, anche se molto critiche. Indicativo è il percorso seguito dal sovrano, che non ha mai fatto del pericolo islamista uno spauracchio per giustificare politiche repressive (il partito Pjd, legato ai Fratelli musulmani, ha avuto 37 seggi su 325 nel 2007), e ha seguito un percorso assolutamente innovativo nel mondo arabo e islamico: prima la riforma dello statuto della donna, poi il riconoscimento degli abusi antidemocratici perpetrati dal proprio padre e, infine, una serie di riforme che mira a trasformare il regno in una democrazia pienamente costituzionale. In cima alla sua agenda c’era la riforma del diritto di famiglia, la Moudawana, che ha impegnato il Parlamento per un lungo periodo: il sovrano ha paternalisticamente imposto le scelte più avanzate sul piano della parità di diritti, e ha minacciato apertamente di sciogliere le Camere per sconfiggere le resistenze degli islamisti e dei tradizionalisti. Il nuovo codice è entrato in vigore nel 2004. Con questa legislazione, la cui piena congruità coranica è stata garantita dal sovrano in persona in quanto “Guida dei credenti”, il Marocco si è affiancato alla Tunisia come secondo stato arabo con la quasi totale parificazione fra uomo e donna, in aperto contrasto con le legislazioni shariatiche tradizionaliste tuttora in vigore altrove. Al tempo stesso, Mohammed VI ha avviato l’Istanza per l’equità e la Riconciliazione, una commissione che ha indagato (con sedute pubbliche) sui crimini politici compiuti dal padre Hassan II tra il 1960 e il 1999. La commissione ha permesso ai parenti di ben 18.500 vittime di torture e ai familiari delle migliaia di morti per ragioni politiche di ottenere risarcimenti. Questa operazione ha anche consentito di portare più democrazia nel Codice penale, che oggi non prevede la pena di morte. In questo clima di “democrazia temperata”, non priva di aspetti di teocrazia e di paternalismo, la rivolta araba ha funzionato come acceleratore del processo riformista. Il Marocco ha evitato i bagni di sangue che si sono visti in Tunisia, Egitto, Libia, Bahrein, Yemen e Siria: gli unici morti, a oggi, sono stati cinque clienti di una banca bruciati vivi dai manifestanti nella città di al Hoceima il 20 febbraio. Con il suo brevissimo discorso alla nazione del 9 marzo, che è durato soltanto dodici minuti – un’altra peculiarità marocchina rispetto ai torrenziali discorsi dei leader arabi – il sovrano ha annunciato la nascita di una commissione incaricata di stendere i passaggi per una Costituzione pienamente rappresentativa, con forti limitazioni ai poteri del sovrano, così come nuove leggi sulla stampa. E’ indicativa la presenza del giurista Abdellatif Menouni, al quale il sovrano, sempre motu proprio, senza passare per il Parlamento, di nuovo in una logica di paternalismo riformista, ha affidato la direzione dei lavori. La missione del consigliere Menouni Già fondatore del sindacato Cdt e militante del partito socialista Usfp, Menouni ha fatto sapere che formulerà le proposte di riforma con le forze politiche e parlamentari, ma anche assieme alle organizzazioni per i diritti umani. Il mandato è chiaro: riequilibrare i poteri, sottraendo al sovrano la nomina del governo, che sarà determinata dal voto popolare; scrivere una nuova legge sulla stampa e sul diritto d’opinione; decentrare i poteri e riconoscere la “amazighité” come componente essenziale della nazione marocchina. La proposta era impensabile sino a pochi anni fa ed è ancora esplosiva per la confinante Algeria. “Amazighité” è il termine che definisce l’appartenenza al mondo berbero, le etnie preesistenti alla conquista araba, che nel Maghreb hanno sempre avuto un sostanziale statuto di paria – la rivolta algerina è oggi essenzialmente berbera. Questo quadro di duttilità riformista spiega bene perché la presa dei Fratelli musulmani (che peraltro sono oggi più che marginali nel movimento di piazza) sia così bassa nel paese. Gli unici che oggi si pongono in posizione di critica alla road map riformista disegnata dal sovrano sono i militanti del “movimento 20 febbraio”, i giovani del mondo della rete.
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