Quali fattori rendono democratico uno Stato Amy Rosenthal intervista Tzipi Livni
Testata: Il Foglio Data: 20 aprile 2011 Pagina: 7 Autore: Amy Rosenthal Titolo: «Votare non basta»
Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 20/04/2011, a pag. III, l'intervista di Amy Rosenthal a Tzipi Livni dal titolo "Votare non basta".
Amy Rosenthal
Al momento c’è uno scenario migliore per il medio oriente: la democrazia metterà finalmente radici nel mondo arabo; e c’è uno scenario peggiore: gli estremisti islamici faranno naufragare il processo democratico per promuovere la propria agenda politica minacciosa con le elezioni. Tzipi Livni, ex vice primo ministro ed ex ministro degli Esteri di Israele, attualmente capo dell’opposizione e leader del partito Kadima, chiede alla comunità internazionale di adottare a livello mondiale ciò che le autentiche democrazie applicano già a livello nazionale: un codice universale per la partecipazione a elezioni democratiche. In questa intervista con il Foglio, Livni parla candidamente della questione, confidando che “per me si tratta di una questione molto importante perché sono convinta che può contribuire alla costruzione del futuro”; e ci spiega anche perché “Israele non è un semplice osservatore” dei nuovi sviluppi della situazione mediorientale e non deve “lasciarsi sopraffare dall’ansia”. Livni spiega che cosa intende quando parla dell’adozione di un codice universale per le nascenti democrazie del medio oriente. “Noi cittadini del mondo libero, quando parliamo di democrazia, intendiamo qualcosa che va oltre le semplici libere elezioni; intendiamo anche un sistema di valori condivisi. Ora, osservando i giovani che scendono nelle strade per manifestare, è chiaro che stanno combattendo per i propri diritti di cittadini e di esseri umani; e questo fatto può contribuire a creare autentiche democrazie nella regione, cosa che è anche nell’interesse di Israele. Ciononostante, dobbiamo comprendere che ci sono gruppi estremisti che possono abusare a proprio vantaggio del sistema e ottenere sempre più potere attraverso il processo democratico. Prendiamo per esempio il Libano. In questo paese, che è una democrazia, c’è una milizia armata chiamata Hezbollah, che, secondo la risoluzione 1701 delle Nazioni Unite, dovrebbe essere smantellata dallo stesso governo libanese. Ma, proprio grazie al sistema democratico, questo partito sciita radicale, provvisto di un potente arsenale e animato da obiettivi politici antidemocratici, ha potuto partecipare alle elezioni e ora possiede la forza e l’autorità per determinare quale sarà la prossima leadership libanese. Ebbene, questo è assolutamente inaccettabile”. “Nella maggior parte del mondo libero, in Israele, in Europa, negli Stati Uniti e in diversi altri paesi – continua Livni – chi vuole partecipare alle elezioni deve adattarsi a certi precisi parametri di comportamento e accettare alcuni specifici valori. Per esempio, in Israele un partito non può partecipare alle elezioni se il suo programma politico contiene dottrine razziste o antidemocratiche. E’ stato questo il caso del movimento Kach nel 1988. In altre parole, il punto è, a mio giudizio, che il mondo libero ha già da molto tempo riconosciuto che la democrazia non si riduce soltanto alle elezioni, ma si fonda anche sui valori. L’Europa lo ha tragicamente imparato sulla propria pelle negli anni Trenta. Per questo motivo, un codice democratico universale può contribuire a fornire alcuni precisi parametri comportamentali agli stati che stanno iniziando a percorrere un processo democratico. Si tratta in sostanza di esigere che ogni partito che si presenta alle elezioni accolga, nelle parole e nei fatti, una serie di principi democratici fondamentali: rinuncia alla violenza e accettazione del monopolio di stato sull’uso della forza; perseguimento dei propri obiettivi attraverso mezzi pacifici; rispetto dello stato di diritto, uguaglianza di tutti di fronte alla legge e rispetto degli accordi internazionali cui il proprio paese è vincolato. Inoltre, tale codice potrebbe servire come guida agli osservatori elettorali e alle singole nazioni per decidere se riconoscere a un determinato partito la legittimazione di Amy Rosenthal democratica. E farebbe in modo che tutte le società siano consapevoli del fatto che l’elezione di un partito non democratico avrebbe ripercussioni internazionali estremamente negative”. Quali misure, in concreto, dovrebbe prendere il mondo per far sì che un codice universale sulle elezioni democratiche in Egitto e altri paesi non rimanga lettera morta? “Facile. Una risoluzione per un codice universale sulla partecipazione a elezioni democratiche potrebbe essere adottata in qualsiasi forum internazionale, alle Nazioni Unite o al G8. Un forum di questo tipo dovrebbe definire i parametri essenziali. L’obiettivo è promuovere un processo democratico capace di accogliere tutti e che non possa essere dirottato per fini non democratici. In sostanza, non vedo nessuno che sia contrario a questa idea”. Secondo Livni, un’iniziativa della comunità internazionale potrebbe imprimere una svolta positiva alla situazione. “Se non si agisce tempestivamente, questo concetto rischia di essere scavalcato dagli eventi. Un standard universale, applicato a tutti gli stati, capace di dare autorità a tutti coloro che sono sinceramente impegnati a favore della democrazia e di toglierla invece agli estremisti che cercano di abusarne a proprio vantaggio offre un’ottima opportunità per promuovere le speranze del mondo libero, placare le nostre paure e accogliere le richieste di migliaia di giovani in tutto il medio oriente”. La paura: in un’intervista rilasciata alla Cnn poche settimane fa, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu sembrava quasi lamentarsi dei cambiamenti che stanno rivoluzionando il vecchio status quo. “La mia risposta è che con la paura e la preoccupazione non si costruisce una politica efficace. Oggi ci troviamo di fronte a un bivio e soltanto il futuro ci potrà dire se questi cambiamenti sono positivi o negativi. Detto questo, ritengo che dobbiamo mettere sul tavolo qualcosa di costruttivo. Ed è proprio quel che ho cercato di fare. Come israeliana, so perfettamente che ciò che ci unisce è la natura delle minacce cui il nostro paese è esposto, ma credo che il ruolo dei governanti sia proprio quello di cambiare la realtà, plasmare il futuro e proporre soluzioni alternative. Per me è ormai chiarissimo che stiamo per affrontare lo ‘scontro di civiltà’, e non soltanto tra diversi stati e organizzazioni, ma anche all’interno di un medesimo stato, specialmente in caso di elezioni”. Secondo Livni, piangere sulla fine del vecchio status quo senza fare nulla non è un’opzione percorribile per Israele. “I valori e le esperienze storiche del popolo ebraico ci impongono di accogliere la promessa di un reale cambiamento democratico”. Quale paese della regione mediorientale suscita in questo momento maggiore attenzione? “Abbiamo stabilito accordi di pace con l’Egitto e la Giordania. Perciò, mantenere questi accordi è per noi un obiettivo di grande rilevanza strategica. Insomma, sto concentrando la mia attenzione su tutti i paesi che già hanno un accordo di pace con noi, ma anche su tutti quelli che possono influenzare la possibilità di un futuro accordo di pace con i palestinesi”. L’ex presidente egiziano Hosni Mubarak “ha sostenuto l’accordo di pace tra Egitto e Israele e ha anche promosso una completa riconciliazione tra Israele e Palestina, qualsiasi cambiamento a opera di forze radicali e antidemocratiche solleverebbe grandi preoccupazioni da noi. Perciò, osserviamo con attenzione quale potrà essere l’esito finale di questi sviluppi”. I palestinesi intendono sottoporre la questione della fondazione di un proprio stato a un voto delle Nazioni Unite entro il prossimo settembre. Chiediamo pertanto a Livni se ritiene essenziale che Israele riavvii il più presto possibile negoziati di pace con i palestinesi. “Per come la vedo io – risponde Livni – dobbiamo rispettare e conservare i valori di Israele inteso come stato ebraico e democratico, e il solo modo per farlo è quello di accettare e promuovere l’idea di due popoli per due stati. Ciascuno stato deve saper trovare una soluzione per le aspirazioni nazionali del proprio popolo. Israele è la patria del popolo ebraico. Questo è un fatto essenziale e deve essere preservato. E il futuro stato palestinese dovrà trovare una risposta adeguata per le aspirazioni nazionali dei palestinesi”. Per Livni la fondazione di uno stato palestinese “risponde non soltanto agli interessi dei palestinesi ma anche a quelli di Israele. Penso che Israele debba collaborare con i palestinesi e con tutta la comunità internazionale per arrivare a un accordo, perché credo profondamente nei negoziati e in un’intesa che sia il frutto di negoziati diretta tra israeliani e palestinesi. E il risultato finale di questi negoziati dovrà essere un nuovo stato capace di soddisfare i palestinesi ma anche di garantire a Israele la propria sicurezza: nessuno vuole un altro stato terroristico nella regione. E penso che questo risultato si possa realizzare. Ho già partecipato in passato a negoziati con i palestinesi. E sebbene io sappia che la situazione nella regione sia ora estremamente incerta e nessuno sappia che cosa accadrà in futuro, mi sembra che l’idea di due stati per due popoli sia la soluzione migliore”. I palestinesi vogliono sottoporre la questione al voto delle Nazioni Unite il prossimo settembre. Crede davvero che al momento sia possibile instaurare un autentico rapporto di fiducia tra i palestinesi e l’attuale governo israeliano? Ecco la sua risposta: “Sono il capo dell’opposizione e ho deciso di stare all’opposizione proprio a causa delle divergenze che ho con Netanyahu su tale questione. E’ appunto questo il punto fondamentale sui cui mi trovo in disaccordo con l’attuale governo, ma mi sembra assolutamente chiaro che la stragrande maggioranza degli israeliani la pensa come me: sono a favore dell’idea di uno stato palestinese. Comprendono perfettamente quali concessioni bisogna fare per realizzare questo obiettivo, e ci dobbiamo augurare che anche i palestinesi la pensino allo stesso modo. Ma per esserne sicuri c’è un solo mezzo: firmare un accordo. Io sono convinta che ci sia una concreta speranza di pace, ma non posso far altro che biasimare l’attuale governo israeliano per il fatto che non prende i giusti provvedimenti per farla diventare realtà”. Prima di accomiatarci, domandiamo ancora a Livni quale sia la sua principale paura e la sua più grande speranza per lo stato israeliano. “Per noi la principale minaccia è quella rappresentata dalla Repubblica islamica d’Iran, che incarna e promuove un’ideologia religiosa estremista, estranea al conflitto israelo-palestinese. Il nostro conflitto non ha nulla a che fare con questo estremismo di radice religiosa. Eppure, la questione israelo-palestinese viene sfruttata da Teheran per ottenere il sostegno degli elementi più radicali. Perciò questa è ovviamente una minaccia non soltanto per Israele, bensì per il mondo intero. E mi auguro che la comunità internazionale prenderà le misure necessarie per impedire all’Iran di dotarsi della bomba atomica. Quanto alla mia speranza per il futuro, è naturalmente quella di risolvere il conflitto israelo-palestinese, nonché di vedere i paesi del medio oriente trasformarsi in autentiche democrazie, con le quali potremo condividere non soltanto i confini ma anche lo stesso sistema di valori”.
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