Riportiamo dal SOLE 24 ORE di oggi, 19/04/2011, a pag. 12, l'articolo di Alberto Negri dal titolo "La Turchia modello per il mondo arabo".
Alberto Negri è convinto che la Turchia meriti di entrare in Europa. Certo, c'è ancora qualche 'dettaglio' da sistemare, come "Forse evitare di intercettare i telefoni dei giornalisti stranieri " e "Certo, chi attacca l'Islam in maniera estrema può correre ancora dei rischi, come è accaduto al noto pittore superlaico Bedri Baykam, accoltellato ieri a Istanbul ". Ma che sarà mai? Intercettare le telefonate dei giornalisti, finire accoltellati perchè non si è abbastanza rispettosi dell'islam...succede tutti i giorni in qualunque democrazia, no?
La Turchia laica di Ataturk, ormai, non esiste più, 'grazie' al tanto elogiato Erdogan.
Il genocidio degli armeni è rimasto un argomento tabù, i rapporti con l'unica democrazia del Medio oriente sono irrimediabilmente deteriorati, non c'è libertà d'espressione, i rapporti con l'Iran non sono mai stati tanto buoni. Questi fattori sono sufficienti a mettere in rilievo l'incompatibilità della Turchia con le democrazie europee.
Nel caso ci fossero altri dubbi, come scrive lo stesso Negri, i Fratelli Musulmani vedono nel partito di Erdogan un modello da seguire.
Ecco l'articolo:
Cosa si può chiedere di più alla Turchia per entrare in Europa? Me lo domando guardando la movida notturna di Istiklal Caddesi, via di shopping e discoteche, e scorrendo le cifre di un'economia che cresce a ritmi cinesi, del 9% l'anno. Forse evitare di intercettare i telefoni dei giornalisti stranieri dove una voce femminile, in un italiano stentato, diventa improvvisamente il terzo incomodo al cellulare. Ma anche questo, si vede, fa parte del soft power della sedicesima economia mondiale con un Pil di 730 miliardi di dollari, nella sala d'attesa dell'Unione, che con qualche acrobazia e una certa astuzia combina felicemente diplomazia, religione e affari.
Con le rivoluzioni nel mondo arabo si fa strada il modello turco: un Governo musulmano conservatore capace di assicurare transizione democratica, progresso sociale ed economico. «L'Akp di Erdogan è un partito che può somigliarci», diceva nel pieno della rivolta contro Mubarak Rashad Bayoumi, uno dei capi dei Fratelli musulmani, una convinzione sostenuta dalla proverbiale maestria tattica degli Ikhwan che al Cairo, pragmaticamente, hanno evitato di sfidare l'esercito.
Ma quella di Ankara è un'esperienza esportabile? «Non c'è un modello turco da imporre», afferma Ipek Altinbasak, che insegna alla Facoltà di economia dell'Università Bahcesehi. «Anche il ministro degli Esteri, Ahmet Davutoglu, ha la stessa opinione: però la Turchia può essere una fonte di ispirazione. Il nostro è uno Stato laico con un Governo a maggioranza musulmana, una differenza sostanziale con altri Paesi della regione. L'Egitto, per esempio, ha una costituzione che fa esplicito riferimento ai principi della sharia, la legge coranica».
La diversità si coglie seguendo la campagna per le elezioni del 12 giugno di Egemen Bagis, ministro per gli Affari europei. Dietro al podio, a destra, c'è il ritratto del premier Erdogan, a sinistra quello di Ataturk, il fondatore della repubblica secolare: «L'Akp è un partito democratico conservatore, noi guardiamo alla religione come a un fenomeno individuale. Il ruolo del Governo è quello di assicurare a ogni cittadino il diritto di praticare la sua fede».
In Europa possono apparire dichiarazioni scontate, non in Medio Oriente: «La parola Islam non compare mai nella costituzione», ricorda l'ex ambasciatore Carlo Marsili in un suo volume recente, "La Turchia bussa alla porta". Certo, chi attacca l'Islam in maniera estrema può correre ancora dei rischi, come è accaduto al noto pittore superlaico Bedri Baykam, accoltellato ieri a Istanbul. Eppure il modello Turchia attrae l'opinione pubblica araba. Ma qual è la percezione reale? Prova a rispondere Mensur Akgun, direttore, alla Fondazione Tesev, di una ricerca condotta nei principali Paesi arabi e in Iran. «L'85% dei 2.300 intervistati ha un'immagine della Turchia decisamente positiva. Viene molto apprezzato il ruolo come mediatore nelle crisi, dalla Palestina all'Iran, mentre l'economia è considerata la più importante della regione, dopo l'Arabia Saudita, quella con le migliori prospettive nei prossimi dieci anni». L'impatto non si limita alla sfera economica e politica. Ankara è un attore culturale di primo piano. Il 78% degli intervistati segue le serie tv prodotte in Turchia. L'ultima puntata della soap opera "Gumus" (Argento) tradotta in arabo "Nour" (Luce), dove i protagonisti bevono alcol e si tradiscono a più non posso, ha stracciato ogni record, con 85 milioni di telespettatori del mondo arabo.
Ma ci sono indicatori ancora più concreti: la Turchia è la meta preferita del Medio Oriente, sopravanzando l'Arabia Saudita che può contare sui pellegrinaggi alla Mecca. Nel 2009 è stato tolto l'obbligo di visto ai cittadini di Giordania, Libano, Siria e Arabia Saudita, e da venerdì anche i russi ne possono fare a meno: nel 2010 in 3,5 milioni hanno visitato la Turchia. «Alla fine del 2015 - ha dichiarato Erdogan - l'interscambio con Mosca (gas compreso, ndr) arriverà a 100 miliardi di dollari». Una classifica in cui la Russia precede Germania, Cina e Italia (16,7 miliardi di dollari) mentre cresce il giro d'affari con l'Iran: Davutoglu e il collega iraniano Akbar Salehi hanno appena aperto un nuovo varco doganale a Kapikoy nella provincia di Van.
L'interscambio bilaterale è di 10 miliardi di dollari, un altro segnale della proiezione della Turchia e di una crescita fondata sulle esportazioni che tiene contro dell'esigenza di aprire nuovi mercati alle "tigri dell'Anatolia", la borghesia musulmana di imprenditori, tradizionalista nei costumi e liberale in economia, vera base sociale del partito Akp. Una politica persino spregiudicata: i talebani avranno presto un ufficio a Istanbul.
Ma davvero gli arabi, che nell'opinione corrente non amano i turchi, ritengono Ankara un modello? «Il 66% risponde sì», dice Mensur Akgun. «E le ragioni sono essenzialmente tre: l'identità musulmana del Paese, la sua economia, il sistema democratico».
Torno da Ipek per farmi spiegare quanto i turchi desiderino ancora entrare in Europa. «La mia ricerca è focalizzata sui giovani. Vedono l'Unione come un'opportunità di studio e lavoro ma la maggior parte non vorrebbe emigrare. L'immagine dell'Europa è priva di pregiudizi religiosi e culturali ma denuncia una mancanza notevole di conoscenza di storia e politica». Le indagini, per quanto accurate, però non garantiscono dalle sorprese. In Istiklal Caddesi incontro degli studenti che protestano per gli esami e l'imprigionamento di alcuni giornalisti intonando "Bella Ciao". Le prime strofe sono in italiano, poi continuano, a squarciagola, nella versione turca.
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