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Il Giornale Rassegna Stampa
19.04.2011 Israele, un modello di democrazia da seguire
Analisi di Vittorio Dan Segre

Testata: Il Giornale
Data: 19 aprile 2011
Pagina: 18
Autore: Vittorio Dan Segre
Titolo: «E nel Medio Oriente spaesato Israele cambia ruolo»

Riportiamo dal GIORNALE di oggi, 19/04/2011, a pag. 18, l'articolo di Vittorio Dan Segre dal titolo "E nel Medio Oriente spaesato Israele cambia ruolo".


Vittorio Dan Segre

Ieri sera gli ebrei nel mondo (col dovuto anticipo o ritardo del tramonto del sole a seconda dei fu­si orari) hanno celebrato il «se­der », la cena pasquale che ricorda l’uscita degli israeliti dalla schiavi­tù d’Egitto, la fine del faraone, l’at­traversamento miracoloso del mar Rosso e l’inizio della lunga marcia ebraica verso la Terra pro­messa. Sono avvenimenti che nel­l’epoca razionalista del dicianno­vesimo e parte del ventesimo seco­lo erano relegati alla leggenda e al­la sola tradizione religiosa. Que­st’anno riaffiorano nella coscienza individuale e collettiva ebraica con un simbolismo religioso cari­co di significato politico. Nel caso di Israele, diventato fulcro nolente o volente dell’ebraismo, il «seder» è occasione di ripensamento me­no di un passato «miracoloso» che di un presente «straordinario». La rivoluzione araba continua in ma­niera sempre più violenta e sem­pre meno «gelsominica» a scompi­gliare regole di un gioco politico, sociale ed economico che pareva­no immutabili.
Una prima regola infranta è quel­la che stabiliva che nel Medio oriente non si può fare la guerra senza l’Egitto o la pace senza la Si­ria. Non è più valida perché l’Egitto non è più in grado di fare guerre e la Siria di fare la pace. Né con Israe­le né con gli altri paesi della regio­ne.
Una seconda regola infranta è quella che fissava nella questione palestinese il centro dei conflitti lo­cali e internazionali. Solo il presi­dente Obama, una diplomazia Onu impotente e gli intellettuali si­nistroidi in Europa continuano a crederci. Nel mondo arabo-islami­co dove la gente e i governi hanno altre questioni da pensare, la que­stione palestinese non sembra ave­re più molti sostenitori. È tuttavia ancora radicata in Israele dove con­tinua a condizionare molti politici israeliani. Esitano a riconoscere le dittature arabe, anche quelle che mantenevano come l’egiziana rap­porti con Israele alimentavano ag­gressive forme di anti sionismo e anti semitismo. La loro caduta può invece offrire allo stato ebraico grandi opportunità se corretta­mente comprese e sfruttate.
Una terza regola infranta era quella che sosteneva che salvo qualche tecnica agricola innovatri­ce, nulla era esportabile dal Israele ai suoi vicini. Chi segue i blog di gio­vani arabi si accorge di quanto grande sia l’interesse per i successi economici e tecnologici israeliani. Si accorge anche del modo in cui la popolarissima tv al Jazira insiste a pubblicizzare la maniera in cui la giustizia israeliana tratta i politici coinvolti in scandali: prigione per l’ex presidente dello stato e per un ministro delle finanze; licenzia­mento di un capo di stato maggio­re per l’allargamento illegale di mezzo ettaro di terreno accanto al­la sua casa di campagna; punizio­ne di poliziotti corrotti; rifiuto del parlamento di cedere alle pressio­ni delle lobby economiche sullo sfruttamento delle fonti energeti­che recentemente scoperte. «Vede­te - è il messaggio implicito che Al Jazira invia quasi quotidianamen­te - come il nostro nemico tratta i suoi leader corrotti».
In altre parole - e questa sembra essere la quarta legge infranta - si ha l’impressione che almeno nel­l’ambiente giovanile e universita­rio arabo si tenti con estrema caute­la, a discutere l’idea eretica, che Israele potrebbe essere un model­lo di sviluppo da imitare piuttosto che da distruggere. Questa non è certo la posizione dei Fratelli mu­sulmani, delle vecchie élite asseri­ste e neppure dei generali che da queste rivolte hanno tutto da per­dere e nulla da guadagnare. Ma il fatto che non si brucino più bandie­re israeliane nelle piazze arabe, che in qualche blog e facebook l’idea cominci a circolare e che nes­su­no osi più addossare la responsa­bilità di ciò che avviene al Mossad è una novità da non sottovalutare. Non giustifica ancora l’ottimismo. Ma dovrebbe incominciare a cal­mare da ambo le parti reazioni pa­vloviane di paura, ignoranza e di­sprezzo reciproco. Ricordando che anche nel Medio oriente (co­me nel resto del creato) non c’è nul­la di permanente se non l’imper­manenza.

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