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Giorgia Greco
Libri & Recensioni
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Orly Castel-Bloom, Textile 18/04/2011

Textile                                               Orly Castel-Bloom
Traduzione di Raffaella Scardi e Ofra Bannet
Atmosfere                                         Euro 16

“Vivere in un paese dai confini incerti, minacciato dall’Iran ti rende consapevole che Israele è davvero il laboratorio dell’ignoto e uno scrittore spesso scrive per non diventare pazzo”. Qualunque sia la motivazione che spinge Orly Castel-Bloom a scrivere, i suoi romanzi dallo stile brillante e pervasi da un umorismo caustico rappresentano uno spaccato della società israeliana ritratta fra l’angoscia costante di un attentato terroristico ed la desolante solitudine che in una quotidianità mai lieve si infiltra nei rapporti umani.
Considerata una vera maestra dall’ultima generazione di autori israeliani e una delle personalità più significative e innovatrici della scena letteraria contemporanea, Orly Castel-Bloom ha saputo rinnovare i canoni della letteratura del suo paese dando un giro di vite alla struttura lessicale e grammaticale dell’ebraico, sciogliendo altresì l’idioma da classicismi standardizzati.
Nata a Tel Aviv nel 1960 da genitori di origine egiziana arrivati in un kibbutz nel 1949, per molto tempo ha assecondato i desideri della madre parlando il francese, la sua seconda lingua e all’età di quattro anni per integrarsi ha dovuto imparare l’ebraico ex novo. “Allora – afferma la scrittrice israeliana – ho deciso che avrei imparato il migliore che c’era sul mercato, un’ossessione che ancora oggi continua”.
Dopo aver studiato cinema presso l’Istituto Beit Zvi si è dedicata alla narrativa, pubblicando cinque raccolte di racconti, sei romanzi e un libro per bambini.
In Italia si è fatta conoscere nel 2003 con Parti umane (e/o) un romanzo sulfureo e surreale che racconta un Israele ben poco conformato sull’ideale sionista, un paese dove si muore all’improvviso o per un autobomba o per una misteriosa influenza saudita, e al Salone del Libro di Torino nel 2008 con Dolly City (Stampa alternativa), il suo romanzo d’esordio pubblicato in Israele nel 1992, la cui protagonista costituisce una esasperazione del mito della Yiddish mame e nel quale l’autrice si prende gioco dei miti della letteratura ebraica con una narrazione che fa del grottesco un tratto distintivo.
E’ da pochi giorni in libreria il suo ultimo romanzo pubblicato da Atmosfere libri nella collana Biblioteca dell’acqua magistralmente tradotto da Raffaella Scardi e Ofra Bannet con il titolo Textile, una saga familiare imperdibile che si dipana sullo sfondo della storia israeliana le cui vicende, in un modo o nell’altro, condizionano la vita di ciascuno dei componenti la famiglia Gruber.
E’ nel lussuoso quartiere di Tel Baruch, circondato da giardini ben curati ed eleganti lampioni ornamentali, nella zona nord di Tel Aviv che vivono i Gruber: un luogo che, pur edificato in poco tempo, emana un senso di stabilità quasi a contrastare la precarietà e la transitorietà dell’esistenza in Israele.
Nel racconto, pervaso da una vena ironica e pungente, l’autrice segue i protagonisti fra Israele e New York calandosi con grande capacità introspettiva nelle loro vite e delineandone le ossessioni e le angosce dalle quali cercano di sfuggire in ogni modo.
Irad Gruber è il capofamiglia, un egocentrico dal carattere debole ed egoista che si è dedicato con i soldi della moglie “alle invenzioni più disparate in quasi tutti i campi …” raggiungendo la notorietà con l’invenzione delle scale mobili a spirale impiegate nei rifugi antiaerei, negli aeroporti e nei centri commerciali: grazie alla “genialità” di Irad Gruber Israele guadagna molto denaro e “per aver migliorato il credito dello Stato agli occhi del mondo in tempi difficili” lo scienziato viene insignito del prestigioso “Premio Israele”.
Dopo l’attentato alle Torri Gemelle Irad è incaricato dal Ministero della Difesa di produrre un’ uniforme speciale, molto leggera, denominata in codice “Uni-T (Uniforme Terrorismo) in grado di resistere agli attacchi terroristici e quindi di salvare la vita a chiunque la indossi, soldati, riservisti o cittadini comuni.
La realizzazione di questo progetto incontra non poche difficoltà e per cercare di superarle lo scienziato decide di recarsi in America per incontrare una collega americana conosciuta in un Forum, la dottoressa Bahat, che vive a Ithaca e che ha deciso di condividere con l’israeliano i risultati delle sue ricerche sulla tela prodotta dal ragno della specie Nephila.
Nata in Rhodesia, Amanda Gruber è una donna energica e determinata che dirige la fabbrica tessile Sogni d’Oro fondata dalla madre negli anni Sessanta e destinata a fornire pigiami solo ed esclusivamente alla popolazione ortodossa, “perché si tratta del gruppo più stabile d’Israele”. Mandy, che non derogherà mai alle disposizioni della madre, prende le redini della fabbrica alla morte di lei con la segreta speranza di poterla affidare un giorno alla figlia Lirit.
Il lusso che la circonda, la prestigiosa abitazione nella quale vive non sono sufficienti ad alleviare né la solitudine né l’angoscia che l’ opprimono e per affrontare le ossessioni della sua esistenza Mandy si sottopone a continui ed estenuanti interventi di chirurgia estetica fino all’ultimo, l’impianto di nuove scapole per mostrare una schiena perfettamente diritta, che le sarà fatale.
La morte improvvisa della madre non sconvolge troppo la figlia che dopo un momento di disorientamento dovuto soprattutto all’abbandono del suo amante, si lascia andare ad uno shopping sfrenato con la carta di credito della mamma.
Lirit che si è sempre scontrata con Amanda sui gusti in fatto di abbigliamento e sulle sue scelte sentimentali (il primo fidanzato ha accettato denaro dalla madre per sparire, il secondo Shlomi, molto più vecchio di lei, fanatico salutista che non risparmia critiche allo stile di vita dei Gruber, la abbandona senza un vero motivo) realizza con sgomento che a ventidue anni dovrà occuparsi della fabbrica tessile della madre e, presa dallo sconforto, chiama il padre a New York. Irad appresa la notizia della morte della moglie si conferma l’uomo egoista e mediocre che è sempre stato e decide di rimanere in America proseguendo il suo lavoro con la scienziata che ha scelto di devolvere proprio a lui, cittadino dello Stato ebraico, i frutti delle sue ricerche, in cambio …..”della nomina a rabbino”.
L’altro figlio dei Gruber è Dael un giovane che presta servizio in una unità combattente come tiratore scelto ed è appassionato di letteratura classica: una sorta di ossessione che lo porta a leggere più romanzi in parallelo e a lavarsi freneticamente dopo ogni azione, forse nel tentativo di “addormentare la coscienza”. E’ proprio per sopportare l’ansia di saperlo in pericolo ogni giorno che Amanda accoglie con gratitudine l’anestesia che precede ogni nuovo intervento chirurgico.
Attorno alla famiglia Gruber si muovono personaggi magistralmente ritratti sullo sfondo di una società funestata da conflitti pubblici e privati: Carmela Levi, segretaria di Mandy e direttrice della sartoria, chiusa nel dolore dopo la morte in Libano del figlio Yehuda ma l’unica capace di dimostrare un po’ di umanità alla notizia della morte di Amanda; l’arrogante chirurgo estetico di fama mondiale Carmi Yagoda che, giunto in Israele dalla città di Dresda dove vive, appositamente per l’intervento non esita a ripartire subito dopo per la Germania progettando addirittura una vacanza, nonostante Mandy avesse rischiato di morire durante l’operazione; la scienziata americana Bahat McPhee, abbandonata dal marito vive con difficoltà la propria condizione di donna sola e si circonda di amicizie discutibili oltre che originali come l’insegnante di ebraico Raffi Propheta dell’Università di Berkeley che con il nobile intento di proteggere Bahat  piomba a casa sua alle quattro di mattina con un pappagallo bianco appollaiato sulla spalla, accolto peraltro con sospetto da uno stralunato Irad.
Dopo averci narrato il terrorismo e il mito della yiddish mame in chiave esasperata, in questo romanzo Orly Castel Bloom ci restituisce, attraverso la saga familiare dei Gruber, l’immagine di una società che vive una quotidianità complessa e surreale con brevi, fugaci istanti di normalità il cui filo conduttore rimane la solitudine e l’angoscia costante di un attentato terroristico che si infiltrano nell’animo dei protagonisti fino ad avvelenare i rapporti umani.
Nonostante emerga una visione tragica della vita israeliana, il romanzo è di piacevolissima lettura, sostenuto da uno stile elegante, una narrazione fluida e una lingua agile che sottolineano la straordinaria capacità dell’autrice di analizzare i risvolti più riposti dei personaggi per consegnarci la parodia di una famiglia ebraica colta nel suo dolore e nella sua alienazione.

Giorgia Greco


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