Il commento di Guido Franzinetti
Guido Franzinetti, docente di Storia dell’Europa Orientale, Facoltà di Scienze Politiche, Università del Piemonte Orientale, Alessandria
Prima dello scoppio della crisi rivoluzionaria del Medio Oriente, l’ipotesi più ottimistica per Israele era che si prospettasse un decennio di guerra fredda con l’Iran, evitando lo scontro diretto. Con l’inizio del crollo dell’Antico Regime mediorientale (iniziato con la Tunisia, proseguito con l’Egitto e la Libia) tutte le ipotesi sono rimesse in gioco.
Una ipotesi (facilmente verificabile nel giro dei prossimi anni) è che il Medio Oriente stia conoscendo la sua rivoluzione del 1905 (che nella Russia zarista portò ad un mutamento solo temporaneo del regime). L’equivalente delle due rivoluzioni russe del 1917 deve ancora avvenire. Se questo sembra un copione ottimistico, è bene ricordare che il 1905 fu accompagnato da pogrom contro gli ebrei (in Russia e altrove) e che le rivoluzioni del 1917 ebbero luogo solo dopo l’inizio di una guerra mondiale, e che la Rivoluzione d’Ottobre non portò all’avvento della pace universale.
Fiamma Nirenstein (IC 14.04.2011) osserva ironicamente che “a noi occidentali le rivoluzioni piacciono molto”. Non a tutti gli occidentali: oltre a Robespierre c’era un Edmund Burke, che nelle sue Riflessioni sulla rivoluzione francese (1790) dimostrò di aver capito perfettamente le implicazioni e i pericoli del rivolgimento che stava avvenendo.
L’Antico Regime mediorientale (e l’ordinamento internazionale che ne derivava) non potevano durare in eterno, ma il modo in cui si sta sgretolando impone a gran parte degli attori politici nella regione (e fuori) una posizione apparentemente attendista. Chiunque intervenga troppo apertamente rischia di essere accusato di aver infiammato una situazione già delicata. Da ciò la paralisi degli Stati Uniti, dell’Europa ma anche della stessa Israele. La paralisi manifestatasi dinanzi alla crisi tunisina e egiziana rientra in questo ambito, come pure la semiparalisi dinanzi al caso libico. In particolare, in Libia ci si trova dinanzi alla scelta tra un regime corrotto e terrorista da un lato, e uno schieramento di ribelli di orientamento ignoto o poco rassicurante.
Sul fronte israeliano, Hamas e i suoi fratelli e rivali salafisti sfruttano al massimo questa congiuntura, attuando le loro provocazioni armate, fiduciosi del fatto di essere in una situazione di “win-win”: se Israele non risponde, dimostra la sua debolezza; se Israele reagisce, verrà immancabilmente accusata di aver scardinato gli equilibri. Da ciò deriva anche la minimizzazione sulla stampa italiana e occidentale in generale degli attacchi ad Israele (IC 10.04 e 13.04), ovviamente il silenzio su ciò che sta avvenendo sul fronte libanese con Hezbollah (IC 11.04) e l’imbarazzo nel commentare le vicende siriane.
E’ interessante e utile la ripresa dell’intervista a Dominique Moïsi (IC 12.04), segnalata per la chiarezza e l’incisività dell’analisi. Ancora una volta ci troviamo a dover prendere atto della mancanza in Italia di centri di analisi di relazioni internazionali rilevanti.
Infine, sarà sempre più necessario prestare attenzione alla ripresa del fenomeno negazionista in Italia e in Europa. L’allontanarsi dell’esperienza diretta della Seconda guerra mondiale e della Shoah fa sì che ogni anno vi siano sempre più giovani disposti a prestare orecchio ai negazionisti dell’internet e della cattedra.