La mentalità del Medioriente
di Mark Silverberg
April 13, 2011
http://www.hudson-ny.org/2011/middle-east-mindset
Mark Silverberg
Ora è chiaro perché Mahmoud Abbas e l’Autorità Palestinese hanno rifiutato i negoziati con Israele per più di un anno, anche dopo che Israele ha accettato di congelare la costruzione di insediamenti ebraici in Giudea, Samaria e Gerusalemme: sono stati impegnati a lavorare dietro le quinte con i leader sud americani per ottenere una dichiarazione di riconoscimento dello ‘stato di Palestina”.
Il presidente dell’Argentina Cristina Fernandez de Kirchner ha recentemente riconosciuto “la Palestina come stato libero e indipendente sulla base dei suoi confini pre-1967” e altri paesi sudamericani hanno seguito. Non essendo riuscita a ottenere una dichiarazione di indipendenza al Consiglio di Sicurezza dell’ONU, la PA si sta ora preparando per bypassare il Consiglio di Sicurezza e chiedere all’Assemblea Generale di invocare il precedente della Risoluzione 377, “Uniting for Peace”, (approvata nel 1950), che potrebbe consentire a detto organismo di raccomandare l’azione collettiva, “se il Consiglio di Sicurezza, a causa della mancanza di unanimità dei membri permanenti, non riuscisse a esercitare la sua responsabilità principale del mantenimento della pace e della sicurezza internazionale”.
Tale azione non solo vorrebbe prevenire l’autorità del Consiglio di Sicurezza, ma vorrebbe esercitare pressioni su Israele per il ricon oscimento di uno stato palestinese senza che i Palestinesi debbano onorare impegni internazionali o scendere a compromessi o concessioni.
Sono state dimenticate le risoluzioni 242 e 338, entrambe prese in seguito alla guerra dei Sei Giorni (1967) e a quella dello Yom Kippur (1973). Queste risoluzioni riconoscono la necessità di Israele di avere confini sicuri e riconosce i confini prima dei ritiri israeliani.
Perché Israele dovrebbe onorare i suoi impegni internazionali con i palestinesi (come quelli sanciti negli accordi di Oslo), se gli impegni internazionali assunti con Israele da parte dei Palestinesi non sono rispettati? (... ) Questi nuovi eventi non sono preoccupanti semplicemente perché contraddicono la lettera e lo spirito degli accordi di Oslo e aggirano le risoluzioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite volte a rendere giustizia a Israeliani e Palestinesi, ma perché rafforzano il mito che la creazione di uno stato palestinese in Cisgiordania e Gaza sia in grado di soddisfare i palestinesi e risolvere il conflitto israelo-palestinese.
Non vi è alcun fondamento storico, politico e religioso per credere che sarà così. Gli Arabi hanno fatto sei guerre per sterminare Israele, e le hanno perse tutte. Così intensa è la paura dei leader arabi che i loro popoli li considerino la vera fonte della loro miseria (come sembra stia accadendo oggi in tutto il mondo arabo), così intenso è il loro odio per Israele, alimentato da Al-Jazeera, al-Manar e altri; così umiliante è la presenza di Israele in mezzo a loro, che ogni compromesso sulle questioni fondamentali - come ad esempio gli insediamenti, i confini, Gerusalemme, il diritto al ritorno dei palestinesi, e soprattutto il riconoscimento di Israele come stato ebraico - sarebbe visto dalla parte araba come un tradimento insopportabile. I leader arabi e musulmani sono consapevoli che ogni compromesso su questioni fondamentali può minacciare il loro potere e le loro vite.
Sessantatre anni dopo la costituzione di Israele, gli Arabi che sono fuggiti o hanno lasciato la Palestina nel 1948 ed i loro discendenti, che ora ammontano a oltre cinque milioni, continuano a vivere nei campi profughi di Gaza, Cisgiordania, Libano, Giordania e Siria.
Lì rimangno avvolti nel loro odio verso Israele, pur essendo sfruttati dai loro fratelli arabi, e godono dello “status di rifugiato permanente” da parte dell’Agenzia per il soccorso e l’occupazione delle Nazioni Unite [UNRWA], lì è stato promesso loro che un giorno torneranno alle loro case in “Palestina” [Israele]. All’ingresso dall’Aida Refugee Camp dell’UNWRA, che è a Betlemme dal 1950 e ospita circa 3.000 palestinesi, c'è una gigantesca chiave su cui è scritto in inglese e in arabo: “Non in vendita”.
Ciò che non è in vendita è tutto il paese dal fiume Giordano al Mar Mediterraneo - cioè anche Israele. E’ quello che nella “moderata” Carta palestinese non deve mai essere abbandonato in qualsiasi accordo di pace. Su quasi tutte le case si possono vedere i graffiti che mostrano una Palestina indivisa. Dato che nessun governo israeliano potrebbe consentire un afflusso di milioni di Palestinesi ostili nel suo territorio, il rifiuto di Israele di permettere un completo “diritto al ritorno” è diventato il pretesto per continuare il conflitto.
Più a lungo Israele viene usato come capro espiatorio, più serve per gli interessi arabi che re-indirizzano la rabbia dei cittadini “lontano dal proprio opprimente, corrotto e frantumato governo”.
Per questo motivo a Taba (2001) e ad Annapolis (2007) la leadership palestinese, sostenuta dal mondo arabo e musulmano ha respinto uno stato palestinese su più del 95% della Cisgiordania e di Gaza, piuttosto che riconoscere Israele come stato ebraico e rinunciare al “diritto al ritorno”. Anche il Consiglio Rivoluzionario Fatah, che dirige l’OLP in Cisgiordania, ha dichiarato: “No a Israele come stato ebraico, no ai confini provvisori, no allo scambio di terra”, e il primo ministro palestinese Salam Fayyad ha rifiutato di firmare il verbale di una riunione con gli Israeliani che si basava sul cocnetto di due-stati-per-due-popoli.
Dal punto di vista arabo non vi è alcuno spazio per il compromesso e nulla da negoziare con Israele se non la sua fine. Il riconoscimento di Israele come stato ebraico sarebbe l’ultima umiliazione per il mondo arabo: qualsiasi compromesso da parte di un leader arabo o musulmano su questo tema sarebbe probabilmente fatale, come è accaduto al presidente egiziano Anwar Sadat.
Questa mentalità intransigente pervase anche il processo di pace di Oslo. Nonostante otto anni di negoziati, Arafat non arrivò a firmare la pace con Israele. Come ha scritto Richard Landes in “Augean Stables” Arafat agì con enorme riluttanza, prendendo tutto quello che poteva, usando il massimo di concessioni possibili da parte di Israele senza offrire concessioni in cambio, garantendo alla piazza araba che l’accordo di Oslo rappresentava un ‘cavallo di Troia’ attraverso il quale continuare il progetto del 1974 per la distruzione e lo smantellamento finale della Stato ebraico.
Per Arafat le concessioni non furono mai reali. Di fronte alla condanna pressoché universale del mondo arabo musulmano, giustificò gli accordi affermando: “Sto mettendo il primo chiodo nella bara sionista”. Equiparò gli accordi al trattato di Maometto di Hudabiya con la tribù Koreish, che Maometto mantenne solo per due anni invece dei dieci promessi - fino a quando cioè le sue forze crebbero abbastanza per schiacciare i Koreish. Parlando a Johannesburg nel 1993, dopo aver firmato gli accordi, Arafat assicurò il suo pubblico che Gerusalemme, alla fine, sarebbe stata esclusivamente musulmana, che l’unico stato permanente in quella che oggi è Israele sarebbe stata la Palestina, e che il processo di pace sarebbe finito nella conquista di Israele da parte dei Palestinesi. Non deve sorprendere che la costituzione di Fatah ancora oggi sostiene che “la lotta continuerà fino all’eliminazione dell’entità sionista e la liberazione della Palestina”. Anche Mahmoud Zahar, co-fondatore di Hamas, ha avuto cura di spiegare agli abitanti di Gaza che il suo impegno per un cessate il fuoco informale con Israele non deve essere visto come atto di debolezza, ma come una tattica per dare ad Hamas il tempo di riarmarsi e di ri-organizzarsi per la prossima guerra. Qualunque siano le differenze ideologiche e tattiche fra la laica Autorità Palestinese e l’ortodossa Hamas, entrambe sono d’accordo che il sionismo è un’ “associazione a delinquere” contro il popolo palestinese, che la creazione di Israele è un complotto imperialista satanico che deve essere rovesciato, e che la Palestina è, era e sarà sempre terra indivisibile islamica. Sermoni esortano i credenti a “non avere pietà per gli Ebrei, non importa dove si trovino, in qualunque paese. Combatteteli. Ogni volta che li incontrate, uccideteli”. Questi sono trasmessi in diretta, giorno dopo giorno, sul canale televisivo ufficiale della PA. [Vedi www.palwatch.org e www.MEMRI.org] Quando gli Ebrei sono descritti nei libri di testo della PA, è solo per ribadire le loro stesse caratteristiche maligne, dai tempi del Profeta al presente. Nelle mappe Israele è ritratta come Palestina, le città israeliane sono ritratte come palestinesi, e il Sionismo continua ad essere rappresentato come un’espressione moderna del male ebraico. Tutto questo fa nascere una domanda: possono generazioni di Palestinesi fomentati con tali credenze metterle da parte per fare una pace stabile e duratura con Israele, riconoscendolo come stato ebraico? Questi imperativi religiosi sono anche presenti nello Statuto OLP (Carta) che vede il giudaismo come una religione, non una nazionalità. Anche se Israele, con tutti i suoi difetti, rappresenta la realizzazione di una visione di 3.800 anni di nazionalismo ebraico, la Carta palestinese sostiene che gli ebrei non sono una nazione, e ripudia ogni altro diritto degli Ebrei all’autodeterminazione o alla sovranità nazionale. Invece la Carta conferisce loro lo status di inferiorità religiosa, di cittadini di seconda classe in base al diritto islamico.
Da una prospettiva teologica la piazza araba non può accettare il diritto degli Ebrei alla sovranità neppure su un solo centimetro di terra che, secondo la legge islamica, fa parte del Waqf islamico, o donazione santa. Questa legge afferma che ogni terreno che sia stato sotto il controllo musulmano deve rimanere per sempre così, come l’Andalusia in Spagna, o Israele nella Turchi ottomana. E’ chiaro che la narrativa araba e musulmana si concentra sugli Ebrei e non solo sugli Israeliani. Johnathan Kay, che scrive sul National Post, ha osservato:
“Quando gli aerei israeliani hanno distrutto i campi di aviazione egiziani nelle prime ore della Guerra dei Sei Giorni, dei presentatori su Radio Cairo hanno incitato gli Arabi dei paesi vicini ad attaccare tutti gli Ebrei che potevano trovare. A Tripoli, che ospitava circa 5000 ebrei, i rivoltosi hanno risposto con un’ondata di omicidi, incendi dolosi e saccheggi che sono durati tre giorni. Anche dopo che i sopravvissuti fuggirono in Israele o in Occidente, lasciando la Libia praticamente priva di Ebrei, la sete di sangue degli anti-semiti rimase. Fu “ dovere imprescindibile dei consigli cittadini”, come scrisse un giornale libico, “rimuovere immediatamente i cimiteri (ebraici), e gettare i corpi dei morti, che anche nel loro riposo eterno sporcano il nostro Paese, nelle profondità del mare ... Solo allora l’odio del popolo libico nei confronti degli ebrei sarà placato e troverà soddisfazione”.
Questo odio si riflette anche nel costante tentativo palestinese di negare la storia ebraica, di negare l’antico legame storico del popolo ebraico al Muro Occidentale, il Monte del Tempio e i siti storici ebraici in Giudea e Samaria (tra cui la Tomba di Rachele, la Grotta dei Patriarchi a Macpela e la città di Hebron), l’affermazione ridicola che Abramo e Gesù erano palestinesi, che l’Islam rappresenta l’ultima e unica vera fede (Cristianesimo ed Ebraismo essendone i precursori presumibilmente imperfetti), e l’utilizzo del sistema educativo dell’Autorità Palestinese e dei media di massa per negare la legittimità di Israele su qualsiasi parte della terra, non solo con la falsificazione delle mappe, ma anche con la falsificazione o distruzione di qualsiasi prova archeologica di quella storia - come provano i recenti atti vandalici sulla Tomba di Giosuè nel villaggio di Timnat Heres, nella Samaria. Vandalizzando i siti storici ebraici rendono credibile il mito che essi stessi hanno creato, che gli Israeliani sono solo “occupanti stranieri”, “moderni crociati” e “imperialisti”, che non hanno alcuna pretesa giuridica o storica sulla “Palestina”.
Poi, naturalmente, ci sono la televisione palestinese e araba, come Al-Jazeera (in arabo) e Al-Manar degli Hezbollah, che continuano a inondare il mondo arabo e musulmano con una nuova variante di antisemitismo, in forma di fole camuffate come realtà. Queste fole non comprendono solo libelli come I Protocolli dei Savi di Sion – o la credenza che gli Ebrei usino il sangue dei bambini arabi per fare il pane azzimo per Pasqua - ma ora parlano anche di piaghe causate da attacchi di cani feroci israeliani mandati a Gerico per molestare i poveri Arabi palestinesi; cinghiali liberati dai coloni israeliani durante la preghiera in Cisgiordania per attaccare i Palestinesi e distruggere le loro piante e i loro raccolti; l’uso di ratti addestrati per cacciare gli Arabi da Gerusalemme; e squali liberati dagli Israeliani per attaccare i turisti che nuotano nel mar Rosso e indebolire così il settore turistico egiziano. Naturalmente, come nota Khaled Abu Toameh, non è chiaro come questi animali vengano addestrati a distinguere le vittime arabe da quelle ebraiche, ma se la gente in Occidente potrebbe ridere di queste storie, qui nel mondo arabo, dove i media sono strettamente controllati dai governi, sono prese sul serio.
Si tratta degli stessi governi che hanno dichiarato che gli Israeliani sono responsabili della guerra civile in Libano, della divisione nel Sudan, della guerra civile nello Yemen, del massacro dei Cristiani e della persecuzione dei Palestinesi in Iraq. I giornalisti occidentali e le organizzazioni non governative che danno peso a queste bugie non fanno onore alla loro professione nè ai loro paesi, nè agli Arabi che cercano di liberarsi da questi pregiudizi. Forse la vera fonte dell’ arretratezza araba è lo svilimento, da parte dei leader musulmani e arabi, dell’intelligenza dei propri cittadini, cui vogliono far credere che ogni problema sia causato dagli Ebrei.
In tali circostanze, come può esserci una pace duratura, fino a quando questa mentalità non cambierà? Così, la soluzione stabilita da Stati Uniti e dagli europei di “due Stati per due popoli” non è solo ingenuo ma anche pericoloso: non solo non riesce a riconoscere che gli arabi rifiutano di fare la pace con uno stato ebraico sovrano in mezzo a loro, ma si rifiutano anche di prendere in considerazione che qualsiasi Stato palestinese, costruito in Cisgiordania e Gaza, sarà un sotterfugio per il piano palestinese per arrivare allo sterminio di Israele - per fasi successive o in altro modo. Un sondaggio del 2009 ha mostrato che il 71% dei palestinesi continua a ritenere essenziale che il loro stato sia composto da tutti i territori che compongono Israele. Recentemente, un sondaggio rivolto all’opinione pubblica palestinese in Cisgiordania e Gaza, svolto dall’Arab World for Research and Development in Ramallah, ha chiesto: “Se i negoziatori palestinesi arrivassero ad un accordo di pace che comprendesse uno Stato palestinese in Cisgiordania e Gaza, ma che contenesse dei compromessi su questioni fondamentali (diritto al ritorno, Gerusalemme, i confini, gli insediamenti), lei lo sosterrebbe”. Il 12% ha risposto “Sì”, mentre l’85% ha risposto “No”. Il 65% ha detto che è “essenziale” che qualsiasi accordo di pace comprenda i territori della Palestina storica, dal fiume Giordano al Mar Mediterraneo.
Questo è ciò che il conflitto arabo-israeliano è stato negli anni 1948, 1956, 1967 e 1973; questo è ciò che il conflitto è ancora oggi. Dobbiamo credere che i leader statunitensi, sudamericani ed europei ignorino questi fatti a causa dei loro programmi nazionali ed esteri?
La disputa è, era ed è sempre stato la distruzione di Israele come stato ebraico sovrano in mezzo al mondo islamico. Il ritorno di Israele nelle linee stabilite dall’armistizio del 1949 (eufemisticamente chiamate “confini”) non segnerà la fine di questo conflitto. Al contrario, uno stato palestinese stabilito in Cisgiordania e Gaza servirà come zona per ulteriori aggressioni e maggiore destabilizzazione nella regione - come promesso nella Carta palestinese e di Hamas e nei media arabi, nelle scuole, nei campi estivi, nei libri di testo e presino nei cruciverba.
La realtà è che il mondo arabo-musulmano non può apertamente riconoscere anche i fatti più elementari alla base di ogni soluzione a due stati: l’esistenza di un popolo ebraico, che i templi ebraici sono storicamente esistiti sotto un’indipendente sovranità ebraica su quella terra da millenni, e che tutti i diritti degli ebrei alla sovranità - giuridico, storico e morale - non sono in alcun modo inferiori a quelle dei palestinesi.
La creazione di uno Stato palestinese non risolverà questi problemi. Essa garantirà soltanto future guerre.