Egitto, odiare Israele mette tutti d'accordo Commento di Redazione del Foglio
Testata: Il Foglio Data: 15 aprile 2011 Pagina: 3 Autore: Redazione del Foglio Titolo: «I nomi, i pensieri e gli amici dei candidati presidente in Egitto»
Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 15/04/2011, a pag. 3, l'articolo dal titolo "I nomi, i pensieri e gli amici dei candidati presidente in Egitto".
tornano a bruciar le bandiere d'Israele in Egitto
Roma. La transizione democratica dell’Egitto culminerà in nuove elezioni presidenziali, che si terranno molto presumibilmente a dicembre (a settembre ci saranno le parlamentari). Mentre è finito agli arresti l’ex rais Hosni Mubarak, si profilano ben venti candidati per la guida del più importante paese arabo. Il numero potrebbe salire, visto che restano incerte le candidature di uno dei capi uscenti dei Fratelli musulmani, Aboul Fotouh, di alcuni militari, dell’attuale premier Essam Sharaf e del premio Nobel Ahmed Zewail. Il favorito resta il segretario uscente della Lega araba, Amr Moussa. Ha molti vantaggi rispetto agli altri candidati: un nome spendibile sulla piazza araba (“Io amo Moussa, odio Israele”, recita un popolarissimo ritornello egiziano), è un veterano del regime che potrà raccogliere il voto dei sostenitori di Mubarak, è un nazionalista radicale ammirato dalla base egiziana e non è un islamista, sarà capace quindi di attrarre chi non vuole uno strapotere dei Fratelli musulmani. In base a un sondaggio, realizzato da YouGov Siraj, sulle intenzioni di voto degli egiziani, solo il due per cento avrebbe indicato invece Mohammed ElBaradei, l’ex segretario dell’Aiea, come candidato alla presidenza. ElBaradei è infatti chiamato “il viennese”, per aver vissuto molti anni a Vienna. E’ percepito come un outsider, blasonato dai media ma lontano dal cuore delle masse arabe. Il voto sarà frazionato dalla candidatura di cinque esponenti della sinistra e di sei liberali. Forti sono le candidature del nazionalista panarabo Abdallah al Ash’al e dell’islamista di sinistra Magdi Hussein, entrambi candidati considerati molto vicini ai Fratelli musulmani (la Fratellanza non ha schierato nessuno dei propri leader alla presidenza: nelle prossime settimane farà capire a chi andrà la sua, decisiva, preferenza politica). Al Ash’al scrive regolarmente per il popolarissimo sito web dei Fratelli musulmani, Ikhwanweb, e all’annuncio della candidatura ha fatto sapere che ristabilirà rapporti diplomatici con l’Iran, interrotti dopo la firma del trattato di pace con Israele. “Non è saggio per noi avere rapporti con Stati Uniti e Israele e non con l’Iran”, ha detto il candidato presidente. Al Ashal è stato anche il braccio destro di Moussa. Anche Hussein, noto per le sue posizioni fondamentaliste da direttore del giornale al Shaab, chiuso dalle autorità egiziane negli anni Novanta perché ritenuto molto vicino ai Fratelli musulmani, ha detto che se sarà eletto spingerà per un “confronto con i piani sionisti nella Palestina occupata e l’Egitto non sarà più dipendente dal regime sionista”. Un nome che raccoglierà consensi è quello dell’ex magistrato Hisham al Bastawisi, che durante la rivolta di piazza Tahrir ha coltivato e ottenuto l’appoggio dei giovani scesi in strada a manifestare. Anche Bastawisi ha annunciato che una volta eletto riformerà parti significative dello storico trattato di pace con Israele e che si opporrà a ogni emendamento dell’articolo due dell’attuale Costituzione egiziana, che stabilisce la sharia come fonte principale della legislazione. El Bastawisi finì sotto processo disciplinare per aver denunciato i brogli avvenuti nelle ultime elezioni presidenziali dell’ottobre, novembre e dicembre del 2005. Si è candidato il fondatore del partito Karama (“dignità”), il socialista Hamadein Sabahi, panarabista, nasserista e anch’egli durissimo avversario del trattato di Camp David. Anche lui ha detto che, se sarà eletto, intensificherà le relazioni con Turchia e Iran. Sabahi vuole una “rinascita egiziana”, ma anche “l’opposizione all’interferenza occidentale negli affari egiziani”. Secondo Sabahi si deve porre fine al “dominio israelo-americano sull’Egitto”. C’è anche un giornalista, Anis al Dgheidi, fra i candidati. Avrebbe consigliato il presidente americano Barack Obama nelle vicende egiziane. Il generale Muhammad Ali Bilal è il primo dai ranghi dell’esercito ad aver annunciato la candidatura. E’ apprezzato dagli Stati Uniti per aver comandato le forze armate egiziane durante la Prima guerra del Golfo e perché è uno dei pochi a sostenere, in nome del pragmatismo, il mutuo trattato israelo-egiziano. Il generale però ha scarso appeal fra i giovani. Hamed al Hamed ha vissuto per vent’anni negli Stati Uniti ed è un rinomato scienziato. Ben visto dalla società civile egiziana, Hamed vuole abolire il trattato di Camp David su base religiosa e ritiene che per l’Egitto la miglior soluzione sarebbe uno “stato islamico”. Fra i militari c’è anche l’ex capo di stato maggiore Magdi Hatata, mentre degli ex apparatchik del vecchio regime spicca Tawfik Okasha, proprietario della tv al Faraeen e già collaboratore di Gamal Mubarak, uno dei figli dell’ex rais sotto inchiesta della magistratura. Non manca il fondatore del partito d’opposizione egiziana Ghad, Ayman Nour, noto attivista politico più volte finito in carcere sotto il regime. Nour è il più occidentalizzante dei candidati, ma anche lui ha invocato una revisione del trattato con Israele. E’ favorevole all’elezione di donne e copti alla presidenza, avversata invece fortemente da tutta la galassia islamica. Molto popolare fra i media, Nour sembra avere scarso appeal sulla popolazione egiziana, tanto che i sondaggi disponibili gli danno appena l’un per cento di consensi. Molti i tecnocrati, dall’economista Sadeq Radhwan a Maher Sami Hashem, che ha adottato un motto di risonanza obamiana: “Yes, we will ee”. Si arriva al nasserista Sameh Ashour e all’insegnante Wissam Abd al Gawwad, che raccoglie fondi nei caffè egiziani, pescando consensi nella classe media intimorita dall’islamismo e stanca del logoramento del regime. Fino alla star del calcio Ahmed Shobair e all’imprenditore televisivo Muhammad Muqbil, che ha proposto la creazione, in chiave antiamericana e antisraeliana, degli “stati arabi uniti”. Fra gli indipendenti spicca Mustafa Sadiq, teorico della neutralità egiziana. A sorpresa c’è anche un cristiano copto, Adel Fakhri Danial, il cui programma politico prevede la cancellazione di Camp David e vorrebbe che la sharia, nella Costituzione, fosse accompagnata da una generica menzione alle “religioni monoteistiche”. La sinistra è rappresentata anche da Hussein Abd al Razeq, uno dei capi del partito Taggamu, che rivendica “principi antisionisti”, promuove “la solidarietà fra gli stati arabi” e si oppone alla “normalizzazione con Israele”. Due le donne, la scrittrice Anas al Wugud Aliwa e la leader del movimento di opposizione Kefaya, Buthaina Kamel. Favorito è anche El Sayyed el Badawi, il leader del “più storico” partito egiziano, al Wafd, che ha dichiarato: “Da presidente abrogherò il trattato tra Egitto e Israele”.
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