Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 12/04/2011, a pag. 3, l'articolo dal titolo "Che cosa si nasconde dietro la strategia antirivolta di Damasco".
Bashar al Assad
Roma. Bashar el Assad ha consolidato la repressione “creativa per fronteggiare sul piano mediatico la rivolta che ormai infiamma anche in Siria. La sua strategia prevede due punti.
Prima i reparti speciali comandati da suo fratello Maher sparano sui manifestanti, facendo decine di vittime; poi Assad definisce “martiri” le vittime dei suoi scherani e promette riforme che, con ogni probabilità, non metterà mai in atto.
Questo schema è stato usato dopo i massacri delle ultime settimane a Daraa e si è rivisto ieri in un incontro con i parenti dei dodici manifestanti uccisi venerdì scorso a Duma, un sobborgo industriale di Damasco – altrettanti erano stati uccisi il venerdì precedente. Secondo il sito Internet del quotidiano al Watan, ai dodici sarà riconosciuto il titolo di “martiri”. Sarebbe cruciale comprendere se fra Bashar e Maher sia in corso soltanto un gioco delle parti, o se si stia svolgendo uno scontro effettivo tra la rigida gerarchia del Baath, egemonizzata dai falchi, e la sua anima riformista.
Il segretario di stato americano, Hillary Clinton, crede alla seconda versione, tanto che si è spinta a definire Bashar “un riformista”. Il problema è che il presidente siriano ha almeno duecento “martiri” sulla coscienza: l’analisi di Clinton ha poco peso perché è evidente che, nell’Amministrazione Obama, la comprensione delle dinamiche mediorientali è vicina allo zero. Le vittime della repressione baathista ammontano ad alcune centinaia e lo scenario è molto vicino a quello della Libia.
Il re di Giordania, Abdullah II, ha inviato ieri una lettera ad Assad in cui si chiede di garantire la “stabilità” della regione. Nella missiva, il sovrano ribadisce il desiderio di avere “le migliori relazioni possibili con Damasco” e di tutelare la “sicurezza”. Le violenze avvengono ogni venerdì, a cadenza costante, nelle città di Daraa, Homs, Hama, Latakia, Aleppo e Amuda, Qamishli, el Amar e Ras al Ayn, nel Kurdistan, così come nei quartieri popolari di Damasco di Duma e Kfar Suse. Particolarmente forte è stata la repressione a Banias, un porto industriale di grande rilevanza per il paese, che oggi è sotto l’assedio delle milizie di Maher el Assad. Il centro è occupato da diciassette carri armati, mentre le squadre speciali di killer sparano sui manifestanti anche da auto in corsa in vari quartieri della città. Le vittime sono tredici: secondo il regime, nove di loro sarebbero poliziotti, anche se non si comprende bene in quali circostanze gli agenti avrebbero perso la vita.
Abdul Karina Rihawi, il capo della Lega siriana per la difesa dei diritti umani, ha denunciato l’arresto di diversi attivisti, fra i quali Ahmad Mussa e Mohammad Alaa Bayati, due collaboratori dell’ex vicepresidente Abdel Halim Khaddam che vive in esilio a Parigi dal 2006. A differenza delle crisi che hanno sconvolto Tunisia, Egitto, Libia e Yemen, in Siria non è emersa sinora alcuna contraddizione né spaccatura dal gruppo dirigente del regime. Inoltre, si nota che la contestazione stenta a raggiungere il cuore della capitale – unica eccezione una protesta ieri nell’Università di Damasco, in cui sarebbe stato ucciso uno studente. I due fenomeni dipendono dalla natura confessionale del regime baathista (fortemente innestato sulla struttura delle Forze armate) che è totalmente controllato dalla ultraminoritaria setta misterica sciita degli alawiti ed è supportato dai cristiani siriani – decine di migliaia abitano nei quartieri storici più centrali della capitale. I cristiani sono l’unica componente non alawita cooptata nell’esercizio del potere, a discapito dell’80 per cento della popolazione sunnita, che ne è esclusa.
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