Sugli avvenimenti in Siria, riprendiamo dal CORRIERE della SERA due pezzi di Davide Frattini, una cronaca e una intervista.
Dal MANIFESTO segnaliamo una intervista di patricia Lombroso a Noam Chomsky, dal titolo " Un intervento neo-imperiale". non poteva essere diversamente, il neocolonialismo è l'ossessione del nostro, tale da impedirgli di vedere ogni altro aspetto della realtà contemporanea. La sua confusione mentale si riflette nei giudizi che dà sulla 'primavera araba'.
Consigliamo ai nostri lettori, su Chomsky non abbiamo speranze, così come sui redattori del quotidiano di Rocca Cannuccia, di leggere le analisi di Mordechai Kadar sulle rivoluzioni che stanno cambiando lo scenario mediorientale. La rubrica con gli articoli di Kedar è in home page, a sinistra.

Mordechai Kedar
Ecco i due articoli di Frattini:
Davide Frattini: "Siria, un altro venerdì di rabbia e sangue"

Il ponte verso la piazza centrale passa sul fiume arido, la siccità assedia Deraa come i carrarmati dell’esercito. Anelli concentrici di povertà e repressione che imprigionano la città nel sud del Paese, al confine con la Giordania. Qui sono cominciate tre settimane fa le manifestazioni contro il regime di Bashar Assad, qui sono ripartite ieri. Ancora una volta dopo la preghiera del venerdì, che nei loro appelli gli oppositori hanno voluto chiamare «il giorno della fermezza» . Le forze di sicurezza siriane hanno sparato sui dimostranti, almeno cinquemila persone, e i morti sarebbero una trentina. Dagli ospedali e dalle moschee trasformate in ospedali, i testimoni raccontano che le vittime sono state colpite da proiettili alla testa, le organizzazioni per i diritti umani accusano il governo di aver piazzato i cecchini lungo le strade che si allontanano dalla moschea Al Omari, la più grande di Deraa. I dimostranti hanno assaltato una sede del partito di regime Baath e distrutto la statua di Basil, il fratello maggiore di Bashar morto in un incidente d’auto nel 1994. La televisione di Stato ammette le violenze, accusa gruppi di uomini mascherati («hanno sparato contro un’ambulanza e la polizia» ), annuncia diciannove morti tra gli agenti. Il regime ripete la teoria del complotto straniero, proclamata da Bashar Assad davanti al Parlamento dieci giorni fa. Le scritte che scorrono sullo schermo avvertono gli abitanti della città di «non offrire rifugio agli agitatori armati» . Anche a Douma, sobborgo di palazzoni a venti chilometri da Damasco, la gente ha sfidato i posti di blocco organizzati dalle squadracce in borghese, la tuta di nylon per divisa. Sono scesi dai villaggi attorno e hanno raggiunto il centro del quartiere per commemorare i morti della rivolta (venerdì scorso sarebbero stati ammazzati dieci dimostranti) e urlare slogan di solidarietà con Deraa, considerata per la posizione geografica in prima linea contro Israele (l’ha ricordato pure Bashar) e in queste settimane di rivolta in prima linea contro il regime. A Damasco, le forze di sicurezza hanno assediato la moschea di Kafar Suseh, che anche la settimana scorsa era stata isolata e circondata. I tentativi di radunarsi per protestare nella capitale sono stati ancora una volta sedati prima che si potesse formare un corteo. Ad Harasta, un’altra zona alla periferia, tre manifestanti sarebbero stati uccisi e uno a Homs, la città industriale da dove proviene il padre di Asma Assad, la moglie del presidente. Dall’inizio delle proteste, secondo Amnesty International le vittime della repressione sarebbero almeno 171. Duemila persone hanno formato un corteo anche a Hama e sono arrivate fino alla città vecchia. Dall’altra parte del fiume Oronte, emergono ancora dall’erba le pietre bianche delle case rase al suolo nel 1982, quando Hafez (il padre di Bashar e primo leader della dinastia al potere) ha cancellato sotto i bombardamenti dell’artiglieria e le macerie la rivolta dei Fratelli Musulmani: ventimila morti, le fosse comuni coperte dall’asfalto e da un albergo a quattro stelle. I curdi hanno respinto le concessioni del governo e hanno risposto alle aperture con gli slogan anti-regime urlati da migliaia di abitanti di Qamishli, al confine con la Turchia. Bashar assicura di voler garantire la cittadinanza a 150 mila di loro: tagliati fuori dal censimento del 1962, sono schedati come stranieri. «La cittadinanza non può diventare un regalo, è un diritto» , commenta Habib Ibrahim, leader del partito democratico di unità curda. «Il nostro obiettivo resta la democrazia per tutta la Siria» . Anche i curdi, che rappresentano il 10-15 per cento della popolazione, chiedono la fine delle leggi d’emergenza, emanate nello stesso anno del censimento, quando la burocrazia del regime ha voluto ridurre con un segno di matita il loro peso politico.
Davide Frattini: "Assad non farà la fine di Mubarak,le forze di sicurezza non lo tradiranno"

Andrew Exum
Andrew Exum ha fondato il blog Abu Muqawama (padre della resistenza) e ha scelto come simbolo un omino Playmobil mascherato dalla keffiah e armato di kalashnikov. Ha studiato all’università americana di Beirut e per il Center for a New American Security (pensatoio vicino ai democratici) prova ad analizzare quello che sta succedendo in Medio Oriente. Ammette di essere rimasto sorpreso dalla rivoluzione in Egitto («gli ultimi tre mesi hanno costretto tutti noi ricercatori a ripensare le nostre idee sul mondo arabo» ), ma dice di poter prevedere (più o meno) che in Siria l’evoluzione non sarà la stessa: «Mi sembra difficile che le forze di sicurezza decidano di abbandonare il regime come ha fatto l’esercito con Hosni Mubarak. Gli apparati a Damasco sono molto più intrecciati con la famiglia al potere» . La repressione violenta in queste settimane non ha impedito a Hillary Clinton, segretario di Stato americano, di ripetere che molti congressisti considerano il presidente Bashar Assad un «riformatore» . Alastair Crooke, ex agente dell’MI6 britannico e fino al 2003 consigliere di cose mediorientali per Tony Blair, ne ha scritto un profilo quasi elogiativo per la rivista Foreign Policy: esalta le differenze tra il giovane leader e gli altri autocrati arabi. «Quello che i politici occidentali dicono in pubblico — commenta Exum — è molto diverso da quello che pensano davvero. Credo che la maggior parte sia convinta e sappia che Assad è molto lontano dal voler realizzare le riforme. Le sanzioni sono uno strumento efficace per premere perché acceleri i cambiamenti. Quando i diplomatici incontrano Bashar, le prime lamentele riguardano sempre il castigo internazionale: vuol dire che funziona» . I manifestanti pro-regime nelle strade di Damasco sembrano più autentici degli sgherri mandati da Mubarak a terrorizzare i giovani dimostranti. «Non ci sono dubbi. La strategia di Assad (opposizione a Israele e sostegno a gruppi come Hamas ed Hezbollah) l’ha reso popolare tra gli arabi. Ha un vero sostegno che non va sottovalutato. Non vedo il rischio di una guerra civile in Siria, ma potrebbe crearsi un vuoto di potere, se il presidente dovesse lasciare. Anche se per ora abbiamo assistito solo a manifestazioni sparse e non a un movimento organizzato capace di rimpiazzare il regime»
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