Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 08/04/2011, a pag. 55, l'articolo di Carlotta Lombardo dal titolo "Nel museo dove convivono israeliani e palestinesi".
Leggere per convicersi quanto certe iniziative 'buoniste' risultino poi alla fine un mistificazione della storia.

Feltre
S ulla riva destra del Piave, sorprende un angolo d’Italia discreta. È un mondo di gole impenetrabili e valli silenti (il Parco nazionale delle Dolomiti Bellunesi), con piccoli centri, spesso trascurati, che racchiudono gioielli di autentica bellezza. Feltre, è uno di questi. Raccolta e preziosa città fortificata sull’altura delle Capre, rievoca i fasti della Repubblica di Venezia: lapidi, stemmi e leoni marciani a memoria di quel forte legame che la città pagò con la distruzione del 1510, inflittale dall’antiveneziana Lega di Cambrai. La ricostruzione, per fortuna, fu veloce. L’intervento della Serenissima fu fondamentale ma Feltre non sarebbe mai diventata «la piccola, felice città veneziana» senza l’aiuto dei suoi cittadini. Gente «dalla schiena dritta e lo sguardo lungo» , come dicono da quelle parti, animata da una passione per il bel vivere. La si può toccare con mano ancora oggi passeggiando per via Mezzaterra, asse della cittadella storica su cui si affacciano palazzi affrescati con scene mitologiche da Lorenzo Luzzo, per tutti Morto da Feltre. Ad affibbiargli il singolare nomignolo fu il Vasari, parafrasando così l’insolita abitudine di Luzzo di trascorrere le giornate nei cunicoli romani degli scavi antichi della città. Poco oltre, Palazzo Villabruna (sede del Museo Civico) ha sale allestite con gli interni delle dimore patrizie feltrine, e Palazzo della Ragione lo splendido Teatro della Senna, utilizzato più e più volte da Carlo Goldoni. «Feltre è il centro storico minore più bello del Veneto — spiega Aldo Bertelle, direttore del Museo dei Sogni e della Memoria, a un paio di chilometri dal centro —. Più che un museo, è un viaggio, un’enciclopedia di storia e geografie. Raccoglie infatti le terre e i simboli, di tutti i Paesi del mondo. Così si vedono, uno accanto all’altro, un sasso rosa della casa di Yitzhak Rabin e uno giallo dell’edificio di Ramallah dove abitava Yasser Arafat; un frammento della cripta della natività e uno del Santo Sepolcro; una pietra a forma di cuore proveniente da Fuente Vaqueros, città natale di García Lorca e una del Groote Schuur Hospital di Città del Capo, dove Barnard eseguì il primo trapianto di cuore. E poi un pezzo del Muro di Berlino e il terriccio delle Torri Gemelle, portato in tasca da un vigile del fuoco, oltre a una tegola di Hiroshima» . Dopo Onu e Unesco, Villa San Francesco, sede del museo (Facen di Pedavena, tel. 0439.300180), è l’unica ad avere una testimonianza concreta del disastro atomico. «Qui — sottolinea Bertelle — i ricordi diventano vivi e si fanno coscienza. Per questo chi entra al museo ha tre regole da rispettare: toccare, fotografare e rubare. Rubare i sogni degli altri per tramandarli al futuro» .
Per inviare la propria opinione al Corriere della Sera, cliccare sull'e-mail sottostante