Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 07/04/2011, a pag. I, l'articolo di Ariel David dal titolo "Il portavoce di Netanyahu ci dice che il premier è pronto ad andare a Ramallah anche subito".
Abu Mazen, Bibi Netanyahu
Gerusalemme. Israele segue da vicino il “momento storico” che sta vivendo il medio oriente e cerca di capire se le rivoluzioni che sconvolgono il mondo arabo porteranno a una democratizzazione della regione o a una svolta islamista e totalitaria. Una linea di cauta attesa, quella dello stato ebraico, secondo le parole di Mark Regev, portavoce del premier Benjamin Netanyahu, che in un’intervista al Foglio spiega le perplessità e le speranze di Israele di fronte alla crisi dei regimi arabi. “Il momento è storico, ma non sappiamo ancora se si tratta di un ‘momento da 1989’, che porterà libertà e democrazia come la caduta del Muro di Berlino, o un ‘momento da 1979’, quando la rivoluzione islamica in Iran sostituì una monarchia autocratica con un regime totalitario che ha ucciso ogni libertà”. Nelle ultime settimane, mentre l’alleato americano appoggiava la caduta dell’ex rais egiziano Hosni Mubarak e guidava la campagna militare in Libia, Israele ha mantenuto un basso profilo e i leader israeliani hanno spesso mostrato preoccupazione. I timori israeliani non significano però che l’unica democrazia del medio oriente sia contraria a un’ondata di libertà nella regione. “Israele non ha nulla da temere dalla nascita della democrazia nel mondo arabo – afferma Regev – Una vera democratizzazione andrebbe di pari passo con un rafforzamento del processo di pace”. Esempi passati di sollevazioni popolari non lasciano però molto spazio all’ottimismo, dice il portavoce, che ricorda come la rivoluzione dei Cedri del 2005 abbia di fatto consegnato il Libano nelle mani di Hezbollah. “Non bisogna dimenticare che le manifestazioni di piazza Tahrir non hanno trovato appoggio soltanto a Londra, Washington e Parigi, ma anche a Teheran e in Libano”. Molti commentatori israeliani hanno visto nelle dichiarazioni bellicose di numerosi esponenti del “nuovo Egitto” – dai Fratelli musulmani al premio Nobel Mohammed ElBaradei – una lezione sul rischio che un trattato di pace firmato con una dittatura venga poi facilmente accantonato dal regime successivo. Ma, secondo Regev, il governo continua a essere pronto a negoziare la pace con i palestinesi e i vicini arabi, anche se le rivoluzioni nel mondo arabo “sottolineano come qualunque accordo di pace debba basarsi sulla sicurezza”. “Ogni trattato di pace deve contenere clausole di ferro che proteggano Israele qualora la pace dovesse fallire”. Nel caso dei palestinesi, Israele vorrebbe mantenere una presenza militare sul fiume Giordano, lungo il confine orientale della Cisgiordania, per garantire la demilitarizzazione del futuro stato palestinese. Il portavoce rileva come Israele sia disponibile a riprendere i negoziati, bloccati da mesi dal rifiuto palestinese di trattare senza una nuova moratoria sugli insediamenti israeliani in Cisgiordania. “Siamo pronti a iniziare subito i colloqui – dice al Foglio – il primo ministro è pronto ad andare a Ramallah in qualsiasi momento”.
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