Francia, Sarkozy oppone la laicità al multiculturalismo l'opinione di Peter Berkowitz riportata da Giulio Meotti
Testata: Il Foglio Data: 05 aprile 2011 Pagina: 6 Autore: Giulio Meotti Titolo: «In condizioni ordinarie la laicità è una distopia del silenzio, in Francia funziona contro l’arbitrio della sharia»
Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 05/04/2011, a pag. I, l'articolo di Giulio Meotti dal titolo "In condizioni ordinarie la laicità è una distopia del silenzio, in Francia funziona contro l’arbitrio della sharia".
Peter Berkowitz
Commentando sul Wall Street Journal il bando dei simboli religiosi in Francia e l’architettura culturale della laïcité, l’intellettuale americano Peter Berkowitz ha scritto che in circostanze “ordinarie” la laicità alla francese sarebbe un assurdo ideologico, una distopia secolarista, una religione del silenzio che incatena la libertà religiosa (la legge vieta il burqa e l’ostentazione nelle scuole pubbliche di velo islamico, crocefisso, kippah e turbante sikh). Ma la Francia, come altri paesi europei, non si trova oggi in condizioni ordinarie. Vive nel pieno tumulto multiculturale e anche per questo la messa al bando del velo integrale è stata accolta con favore dall’imam della Grande Moschea di Parigi, Dalil Boubakeur. Per questo l’Ump, il partito del presidente Sarkozy, da oggi ha scelto di parlare di islam e laicità. La Francia corre il rischio di abbandonare al settarismo fanatizzante, all’intolleranza multiculturale e alla segregazione sociale milioni di suoi concittadini di fede islamica. Secondo il Pew Research Center’s Forum on Religion & Public Life di Washington, che ha pubblicato uno studio intitolato “The Future of the Global Muslim Population”, la Francia passerà dagli attuali 4,7 milioni di musulmani ai 6,9 milioni nel 2030. Scrive allora Berkowitz che “le restrizioni alla libertà in una società libera sono sempre sospette e vanno giustificate. La migliore giustificazione è la protezione e la promozione della libertà”. La legge francese sul velo è stata per molti versi una norma ingiusta e imperfetta, ma dagli effetti positivi. Berkowitz ricorda che una simile legge in America, oltre che impensabile, sarebbe assurda, visto che la comunità islamica statunitense tutto sommato è ben integrata. Ma non è il caso di Parigi. I musulmani francesi, ricorda Berkowitz, sono spesso “inclini all’antisemitismo, simpatetici con l’islam politico e avversi alla vita sociale e politica francese”. La legge francese ha sancito il primato di una laicità non inclusiva e si è fatta ideologia di stato quando in nessun altro paese democratico ci si era mai posti l’obiettivo dell’adesione dei cittadini alla laicità. Questa legge nasce inoltre da una radicale prevaricazione giacobina. Alla fine del XVIII secolo si sfondavano le porte dei conventi di clausura e si ingiungeva alle monache: “Uscite, e invece di ali angeliche indossate il paracadute della nazione”. Ma nella Francia alla prova dell’integrazione fra milioni di individui di diversa fede non era ammissibile che i musulmani riscrivessero il contratto sociale che ha fatto la Francia. La legge francese allora ha sancito una cosa semplicissima: la laicità repubblicana non può e non deve subire danni da nessuno e al suo interno nessuno deve mai essere discriminato o restare senza scudo a causa delle sue convinzioni religiose. Esiste oggi in Europa un’alternativa al proibizionismo francese? Sì, in Inghilterra. A Londra non vige la laïcité de combat, ma il “comunitarismo” del laisserz-faire, il diritto totale alla propria identità negli spazi pubblici. Un modello molto simile al multiculturalismo “polder” olandese. L’Inghilterra ha scelto una strada apparentemente più rispettosa della libertà di religione, ma nei fatti ha nutrito un secolarismo senza unghie fatto anch’esso di ghetti identitari. In Inghilterra infatti sono fermentate cento Corti della sharia che hanno imposto un apartheid legale dentro la common law. Questi tribunali si fondano sul rifiuto del principio di inviolabilità dei diritti umani, dei valori di libertà e di uguaglianza che sono alla base delle democrazie europee. A Nuneaton l’eredità di un padre musulmano non è stata divisa equamente tra le tre figlie femmine e i due maschi, in nome dei precetti della sharia. Il tribunale islamico formalizza soprattutto il “talaq”, il ripudio della moglie da parte del marito. Prevede, tra le altre cose, la poligamia, il diritto di “redarguire” le mogli, il fatto che la testimonianza di una donna non valga quanto quella di un uomo, la prevenzione dei matrimoni misti e così via. La totalitaria laïcité francese ha impedito che tutto questo avvenisse anche a Parigi. L’integralismo laico francese è un muro contro la barbarie del fondamentalismo. Per poter proteggere tutti bisogna che nessuno si arroghi il diritto di prevalere. Non saranno tollerati simboli religiosi suscettibili di creare contrasti, intolleranze, ingiustizie, violenze. Come invece sono, ha detto Sarkozy, le preghiere di massa nelle strade delle città francesi il venerdì. Il problema non è mai stato il velo in quanto tale, il foulard, questa pezza che simboleggia il pudore, ma può richiamare anche un’ideologia liberticida e ultra fondamentalista. Il problema era il fatto che, assieme al diritto di portare il velo, nelle scuole pubbliche i musulmani avessero iniziato a reclamare il diritto di non studiare l’Olocausto e le vicende del medio oriente o di rifiutare i corsi di scienze naturali e ginnastica. Il velo inoltre non ha la stessa valenza della croce o della kippah. E’ spesso un simbolo di oppressione, chi non lo indossa è guardato dai correligionari come un “apostata”, contro cui lanciare proclami di morte. La stessa minaccia non grava su chi non porta la croce, o la kippah. La “chadorizzazione” del mondo islamico è un fenomeno innegabile che attraversa il mondo arabo, l’Iran khomeinista, la Turchia post kemalista e la diaspora europea. C’era qualcosa di oscuro e potentissimo nelle masse di musulmane francesi che marciavano contro la legge Stasi al grido di “sottomesse ad Allah, non agli uomini”. In molte piscine francesi si è già stabilito che per due giorni la settimana possono sbracciare nell’acqua esclusivamente le donne. E di simili orrori multiculturali se ne registrano ormai un po’ in tutta la Francia. La laicità doveva allora farsi a sua volta cartello sui cancelli: entri come individuo e non come collettivo che prevarica sugli altri. Una legge doveva, seppur a fatica e generando qualche ingiustizia, far fronte ai ghetti delle cité islamique, alle umiliazioni di donne non musulmane rifiutate da musulmani come insegnanti, medici, infermiere; il disastro, insomma, di una convivenza sociale sull’orlo del tracollo. Se la Francia avesse lasciato passare l’islam politico non potrebbe oggi vantare un atto di tolleranza, dovrebbe ammettere una resa e il rinnegamento dei suoi princìpi. Tollerare l’intolleranza fa vacillare la democrazia. Con un libro che è un grido di battaglia, “Bas les voiles!”, la franco-iraniana Chahdortt Djavann, che è stata consulente della commissione Stasi durante l’elaborazione della legge sulla laicità, ha attaccato “le moine delle paladine del velo” e agli intello che – dopo aver rinchiuso gli immigrati “in un comunitarismo a base religiosa ed etnica” – ora predicano il velo come mezzo di cambiamento fa notare che “non è in nome della laicità che bisogna vietare il velo alle minorenni, a scuola o altrove, ma in nome dei diritti dell’uomo”. Dove a un malfermo diritto laico si lascia contrapporre la legge della sharia, tutti sono esposti all’arbitrio teocratico. E non è difficile immaginare come possa finire lo scontro fra l’apatìa ateologica e il tumulto teologico. La laïcité ha la funzione di spada contro una piovra aggressiva. Vale, tristemente, la massima di Goethe: “Meglio un’ingiustizia che un disordine”.
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