Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 05/04/2011, a pag.19, l'articolo di Francesco Battistini dal titolo "Era 'ebreo e palestinese'. Ucciso l'attore di Jenin".

Juliano Mer-Khamis
Adesso, tutti a chiedersi che cosa l’abbia fregato. Orwell e «La fattoria degli animali» ? Juliano l’aveva messa in scena con gli attori vestiti da maiali, intollerabili bestie per l’Islam radicale, e con quel copione che smascherava i falsi rivoluzionari... O forse Carroll e l’ «Alice nel paese delle meraviglie» , l’anno scorso, con troppi ragazzi e ragazze insopportabilmente mescolati sul palco? O magari quell’ultimo progetto d’allestire il McDonagh del «Tenente di Inishmore» ? Un’inaccettabile satira della resistenza armata, per cui gli avevano già sfasciato i vetri dell’auto... L’unica risposta sono cinque proiettili, adesso. Quelli che due uomini mascherati hanno tirato su Juliano Mer-Khamis, 52 anni, l’uomo del teatro dei profughi, l’israeliano che si definiva «al cento per cento ebreo e al cento per cento palestinese» ed era fra gli artisti più conosciuti, impegnati e minacciati della Cisgiordania. Ieri pomeriggio, nel campo di Jenin, l’hanno aspettato davanti al Teatro della Libertà che era venuto ad aprire sette anni fa tra i rifugiati. Spari furiosi. La tata del figlio, una palestinese seduta di fianco in auto, è rimasta ferita: lui, non s’è neanche accorto di che cosa succedeva. Cinque colpi annunciatissimi. Juliano era un nazareno che viveva a Haifa, pronipote d’uno dei primi medici nella Palestina ottomana, figlio d’un arabo cristiano che negli anni ’ 50 costituì il Partito comunista israeliano e di un’ebrea pacifista, Arna Mer, che sotto l’intifada degli anni 80 fondò proprio a Jenin il «Teatro delle pietre» , un gruppo sperimentale di ragazzini palestinesi. «Juliano era il più bello di tutti» , lo piange al telefono l’attrice israeliana Gila Almagor: uno che poteva godersi il discreto successo che l’aveva portato a recitare con Diane Keaton i personaggi di John le Carré, a essere scritturato in film tv americani e canadesi, e che la morte della madre spinse invece a metter su casa anche fra i 16mila profughi di Jenin, a cercare i ragazzini cresciuti di quel teatro distrutto nella guerra, a riprenderli in un documentario («Arna’s Children» , 2003), a chiedere finanziamenti all’Unione europea e a fondare infine il Freedom’s Theater che tanto sognava. Juliano sapeva di rischiare: nella seconda intifada Jenin è stata la rinomata capitale dei kamikaze, gli avevano tirato due molotov e per tutelarsi non gli era bastato prendersi come direttore di sala Zakariya Zubaidi, già capo delle locali Brigate Al Aqsa, il braccio armato del Fatah. Ora piovono le condanne del premier palestinese Salam Fayyad, «non possiamo tacere davanti a un simile crimine» , ma quando i jihadisti l’avevano accusato d’essere «una quinta colonna» dei servizi israeliani e avevano distribuito volantini contro i suoi spettacoli immorali — la minaccia era già scritta: «Se le parole non aiuteranno, dovremo parlare con le pallottole» — nessuno gli aveva dato protezione, né lui s’era procurato un’arma. Juliano aspettava sereno i suoi sicari e confidava ai giornalisti: «Mi minacciano, ma che scelta ho? Correre? Non sono uno che fugge. Io sono un uomo delle forze d’élite, ho fatto il parà. Le sole due cose che ho guadagnato dalla mia formazione israeliana sono le traduzioni scespiriane di Shlonsky e un buon addestramento fisico: questo ora mi servirà. Li fa impazzire il fatto che un mezzo ebreo sia a capo d’uno dei più importanti progetti della Cisgiordania. Razzisti ipocriti. Non sono mai stato così ebreo come da quando vivo a Jenin. Dopo tanta fatica, sarebbe davvero una sfortuna morire per una pallottola palestinese» . A tremare per lui, erano i suoi amici: «Gli avevo parlato la settimana scorsa» , ci dice in lacrime Amos Gitai, il regista che aveva voluto Juliano attore in Kippur e in altri film: «C’erano troppi allarmi. Continuava a ricevere minacce, ma era coraggioso. Un uomo radicale. Perché esiste ancora gente così, capace d’usare il proprio corpo per fare un ponte sui burroni dell’odio. Nelle epoche buie, quando gli estremisti si prendono la scena, certi ponti sono i primi a cadere» .
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