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Giorgia Greco
Libri & Recensioni
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Irène Némirovsky, Il vino della solitudine 04/04/2011

Il vino della solitudine                                    Irène Némirovsky
Traduzione di Laura Frausin Guarino
Adelphi                                                               Euro 18

Avevamo già imparato ad apprezzare le tante figure infantili presenti nell’opera di Irène Némirovsky. Era stato così con il misterioso Ismaele Baruch, protagonista di Un bambino prodigio, che con la perfida Antoinette de Il ballo. Ma forse mai la Némirovsky era andata tanto a fondo nell’indagare i dolori del mondo dell’infanzia come accade in questo romanzo, la cui protagonista, Hélène Karol, è di fatto il suo doppio, il sosia letterario.
Seguiremo le gesta di Hélène dagli otto ai ventuno anni. E la vedremo passare dalla vita sonnolenta della provincia russa ai fasti di San Pietroburgo, poi approdare temporaneamente in Finlandia, e infine a Parigi, per sfuggire alla rivoluzione bolscevica. Tappe, più o meno trasfigurate, che corrispondono a quelle della tumultuosa vita dell’autrice, nella cui nomadica esistenza compaiono una tata francese, nel libro Mademoiselle Rose, e domina incontrastato il risentimento verso la madre, cuore pulsante della narrazione. Viziata, arida, annoiata, Bella – la madre – ha un unico chiodo fisso: gli uomini. Detesta il marito, ma è schiava della sua ricchezza, irrinunciabile per procurarsi i suoi piaceri. Tra i quali certo non rientra la figlia, un insopportabile intralcio per chi come lei non vuole arrendersi al tempo che passa e spera di fargli fronte imbellettandosi e pronunciando di continuo parole “amore”, “baci”, “amanti”. Quanto al marito, e padre, lui fa finta di niente. La sua passione si chiama gioco d’azzardo e il vocabolario si restringe alle parole “milioni”, “azioni”, “vendere” e “comprare”.
E’ in questo deserto affettivo e linguistico che cresce la piccola Hélène, imbozzolata in un mondo fantastico dove affida ai soldatini, alla lettura, e infine alla scrittura, l’esercizio crudele della fantasia, che sola può salvarla dalla desolazione della vita reale. Con mano ferma e implacabile, la Némirovsky affonda nelle pieghe di un’infanzia talmente infelice da rendere la protagonista, a soli dodici anni, “vecchia”: quel fiore sul punto di sbocciare, a momenti sembra già appassito. Anche perché l’unico affetto che le aveva scaldato il cuore, Mademoiselle Rose, è svanita per sempre durante una passeggiata metafisica nella nebbia di San Pietroburgo. Spezzato l’unico vero legame familiare, Hélène fa un patto con se stessa: nessuna lacrima righerà il suo volto. E chiusa in una impenetrabile e feroce solitudine, matura la più perfida delle rappresaglie. Forse che il tempo non gioca a suo favore? Basterà pazientare ancora un poco e sarà uno scherzo sedurre Max, il giovane cugino e amante di Bella, ormai sul viale del tramonto.
Il desiderio di vendetta alimenta i suoi giorni e le sue notti. Ma qualcosa la frena. Sa che il rapporto con la madre l’ha guastata nel profondo, eppure una voce del passato le risuona dentro. E’ quella della tata francese, che con parole pacate cercava di sopire i suoi furori infantili, invitandola a essere buona e coraggiosa. A combattere e vincere il demone dell’orgoglio, non foss’altro perché la vendetta non lenisce mail le ferite patite. A maggior ragione quelle incancellabili della prima, delicatissima stagione dell’esistenza.

Franco Marcoaldi
R2 – La Repubblica


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