Riportiamo dal GIORNALE di oggi, 04/04/2011, a pag. 10, l'articolo di Livio Caputo dal titolo "La Cia lancia l'allarme: le rivolte manovrate da integralisti islamici". Da IT.DANIELPIPES.ORG l'articolo di Daniel Pipes dal titolo " Quattro rivolte e un rischio: il Medioriente fondamentalista ".
Ecco i due articoli:
Il GIORNALE - Livio Caputo : " La Cia lancia l'allarme: le rivolte manovrate da integralisti islamici "
Livio Caputo
I rapporti degli agenti della Cia e del Sas inviati in Cirenaica per capire chi sono in realtà i ribelli anti-Gheddafi non sono stati del tutto rassicuranti, tanto da indurre l'ammiraglio Stavridis, comandante della Nato, a parlare di «odore di jihadisti». Nelle file dell'insurrezione, svolgono infatti un ruolo sempre maggiore i membri del 'Movimento islamico libico', un' organizzazione basata a Derna che ha inviato decine di volontari a combattere contro gli americani in Irak e in Afghanistan e che adesso fornisce alla rivoluzione un comandante vicino ad Al Qaida, Abdul Al Hasadi, e i pochi quadri con esperienza di guerra. Al fronte sono stati individuati anche alcuni membri dell'Hezbollah, arrivati dal Libano per aiutare i fratelli libici. Questo non significa che i fondamentalisti abbiano un ruolo dominante nel Comitato nazionale di Bengasi, frettolosamente riconosciuto dalla Francia come nuovo governo libico, ma ha certamente influito sulla decisione degli Stati Uniti di non rifornire (almeno alla luce del sole) gli insorti di materiale bellico.
Se in Libia la minaccia fondamentalista è ancora in nuce, in Tunisia e in Egitto sta già prendendo forma concreta. Le migliaia di islamisti rilasciati dalle carceri dopo l'abbattimento di Ben Ali e di Mubarak si sono organizzati molto in fretta e hanno già assunto, in collaborazione con i dissidenti rientrati dall'estero, un ruolo importante nella caotica battaglia politica in corso. In entrambi i Paesi essi hanno sposato - con poche eccezioni - la causa della democrazia, riconoscendo i diritti delle donne e rinunciando alla violenza. Al Cairo, per esempio, l'appoggio dei Fratelli Musulmani è stato determinante per l'approvazione delle riforme costituzionali che aprono la strada a nuove elezioni (ma che mantengono il principio che la sharia è la principale fonte di ispirazione delle leggi).
Molti osservatori, tuttavia, nutrono il sospetto che queste posizioni siano esclusivamente tattiche, nel senso che gli islamisti, vista la debolezza e la disorganizzazione degli avversari, si sono convinti di potere arrivare al potere attraverso le urne. Una volta legittimati dagli elettori, potranno sempre cambiare idea. Una prova di questa doppiezza potrebbe essere il loro comportamento sul piano sociale e religioso: in Egitto, per esempio, hanno già rilanciato la guerra contro i copti, e stanno dando crescenti segni di insofferenza verso i costumi relativamente liberi del Paese. Zomor, uno dei loro leader che ha appena scontato 27 anni di galera per la partecipazione all'assassinio di Sadat, ha espresso in una intervista al New York Times la certezza che, quando gli egiziani potranno finalmente votare liberamente, manderanno al potere i Fratelli Musulmani. Perfino un sito vicinissimo ad Al Qaida si è messo ad inneggiare alla democrazia.
La situazione più delicata per l'Occidente è quella yemenita: nessuno ama il presidente Saleh, al potere da 32 anni, ormai contestato da buona parte della popolazione e responsabile di una politica di repressione ancora più spietata di quella di Gheddafi. Ma egli è anche un prezioso, se non addirittura insostituibile alleato contro Al Qaida nella penisola araba, la componente più pericolosa della galassia di Bin Laden, responsabile di molti attentati, che avrebbe tutto da guadagnare dalla sua caduta.
Forse ancor più dei vantaggi che le rivolte arabe potrebbero portare allo sceicco del terrore, preoccupano le ricadute favorevoli all'Iran, dove per ora non si muove foglia: gli ayatollah esultano per la scomparsa di un vecchio nemico come Mubarak, puntano sulla caduta dell'emiro del Bahrein ad opera della maggioranza sciita e si compiacciono che la loro corsa alla bomba atomica sia passata in secondo piano. Washington, cioè, guarda sempre più agli sviluppi del Medio Oriente 'attraverso la lente persiana'. Questo porta a una visione tutta particolare del problema Siria, dove il regime è sì alleato con Teheran, Hezbollah e Hamas, ma è anche un acerrimo nemico dei fondamentalisti. Dopo un iniziale incoraggiamento alla rivolta, l'amministrazione Obama si è perciò fatta più cauta, per paura che al laico Assad subentri un governo di fanatici. In conclusione, è presto per dire se, a conclusione della rivolta della piazza araba, il mondo islamico sarà diventato più ostile nei nostri confronti: per fortuna, anche coloro che lo avevano accolto con entusiasmo hanno cominciato ad alzare la guardia.
IT.DANIELPIPES.ORG - Daniel Pipes : " Quattro rivolte e un rischio: il Medioriente fondamentalista "
Daniel Pipes
Per l'articolo originale in lingua inglese, cliccare sul link
http://www.danielpipes.org/9630/middle-eastern-upheavals
Dopo decenni di stasi, il Medioriente è in tumulto. Senza focalizzare troppo l'attenzione sui singoli luoghi, esaminiamo gli sviluppi in quattro Paesi chiave.
Libia. Con la maggior parte degli americani non del tutto persuasi, il 19 marzo, Washington è entrata in guerra contro la Libia di Muammar Gheddafi. Le ostilità sono state a malapena ammesse, celate da un eufemismo ("azione militare cinetica") e senza un obiettivo chiaro. Due protagonisti del'amministrazione Obama si trovavano all'estero – il presidente era in Cile e il segretario di Stato in Francia. I membri del Congresso, che non sono stati consultati, si sono adirati da un capo all'altro dello spettro politico. Alcuni analisti hanno ravvisato un precedente per attaccare militarmente Israele. Forse Obama sarà fortunato e Gheddafi cadrà rapidamente. Ma nessuno sa esattamente chi siano i ribelli e lo sforzo bellico di durata non stabilita potrebbe ben protrarsi e diventare costoso, terroristico e politicamente impopolare. Se così fosse, la Libia rischia di diventare l'Iraq di Obama, o peggio ancora, se gli islamisti dovessero prendere il potere. Obama vuole che gli Stati Uniti siano "uno dei partner tra i tanti [della coalizione]" in Libia e vorrebbe essere il presidente della Cina, il che sta a indicare che questa guerra offre al governo Usa l'opportunità di fare un grande esperimento fingendo di essere il Belgio. Ammetto di avere una certa simpatia per questo approccio: nel 1997, mi lamentavo del fatto che "gli americani ritenendosi adulti hanno trattato gli altri da bambini", perché Washington molto spesso si è precipitata ad assumersi la responsabilità di mantenere l'ordine. Così ho esortato Washington a mostrare una maggiore riserva, lasciando che gli altri si assumano le loro responsabilità e chiedano aiuto. Questo è quanto ha fatto Obama in modo maldestro e malpreparato. I risultati di certo influenzeranno la futura politica degli Usa.
Egitto. Il 19 marzo scorso, il Consiglio supremo delle Forze armate ha promosso un referendum costituzionale che è passato con 77 voti a favore e 23 contrari. Esso ha sortito l'effetto di incoraggiare sia i Fratelli musulmani che gli ultimi rimasti del Partito nazionale democratico di Hosni Mubarak, mettendo però in disparte i laicisti di Piazza Tahrir. Nel farlo, la neo-leadership militare ha confermato le sue intenzioni di non interrompere la sottile collusione di lunga data del governo con gli islamisti. Due fatti rafforzano questa collusione: l'Egitto è stato governato dai militari a partire da un colpo di stato del 1952 e il cosiddetto movimento dei Liberi Ufficiali fautore di quel golpe ha avuto forti legami con l'ala militare dei Fratelli musulmani. Lo spirito di Piazza Tahrir era autentico e potrebbe alla fine prevalere, ma per ora in Egitto non è cambiato nulla con il governo che porta avanti la solita linea semi-islamista di Mubarak.
Siria. Hafez al-Assad ha governato il Paese per trent'anni (dal 1970 al 2000) con brutalità e impareggiabile astuzia. Le sue pretese monarchiche gli fecero lasciare la presidenza a suo figlio Bashar di 34anni. Il giovane, che studiava per diventare oculista, fu costretto a unirsi agli affari di famiglia dopo la morte del più esperto fratello Basil avvenuta nel 1994, mantenendo sostanzialmente le politiche megalomani di suo padre, ampliando e acuendo in tal modo la stagnazione, la repressione e la povertà del Paese.
Quando i venti del cambiamento hanno raggiunto la Siria, le masse urlanti Suriya, hurriya ("Siria, libertà"), non hanno più avuto paura del dittatore bambino. In preda al panico, Bashar ha brandito l'arma della violenza e dell'appeasement. Se la dinastia Assad crollerà, questo avrà delle conseguenze potenzialmente rovinose per la minoranza alawita da cui essa proviene. Gli islamisti sunniti, che occupano una postazione privilegiata per succedere agli Assad, probabilmente ritireranno la Siria dal blocco "della resistenza" guidato dall'Iran, il che significa che un cambio di regime avrà varie implicazioni per l'Occidente e soprattutto per Israele.
Yemen. In questo Paese, sono maggiori le probabilità che vi sia un rovesciamento del regime e che gli islamisti conquistino il potere. Per quanto carente possa essere come autocrate e per quanto possa essere circoscritto il suo potere, l'astuto presidente Ali Abdullah Saleh, in carica dal 1978, in un certo qual modo è stato l'alleato che l'Occidente poteva sperare di avere – nonostante i suoi legami con Saddam Hussein e con la Repubblica islamica dell'Iran – per esercitare il controllo sull'entroterra, contenere l'istigazione e per combattere al-Qaeda. Non avendo saputo gestire le proteste, Saleh si è alienato perfino la leadership militare (dalla quale egli proviene) e la sua stessa tribù Hashid, il che sta a indicare che lui lascerà il potere con scarsa autorità su ciò che ne conseguirà. Data la struttura tribale del Paese, la capillare distribuzione delle armi, la divisione tra sunniti e sciiti, il terreno montuoso e la minacciosa siccità, un'anarchia con sfumature islamiste (come in Afghanistan) si profila come probabile esito. In Libia, in Siria e nello Yemen – ma meno in Egitto – gli islamisti avranno molte più probabilità di espandere il loro potere.
Riuscirà l'ex-musulmano inquilino della Casa Bianca, così irremovibile sul "mutuo rispetto" nei rapporti degli Usa con i musulmani, a tutelare gli interessi occidentali contro questa minaccia?
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