Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 04/04/2011, a pag. 32, l'articolo di Roberto Tottoli dal titolo " Se i giovani arabi riconoscono Israele ".

Roberto Tottoli
Saremmo curiosi di sapere che cosa pensava e scriveva Tottoli negli anni scorsi. Forse sava dalla parte che nell'articolo di oggi, bontà sua, critica?
In ogni caso equiparare Israele ai suoi nemici, ad associazioni terroristiche come Hamas è assurdo. Non è Israele a rifiutarsi di raggiungere un accordo con gli arabi, ma il contrario. Non è Israele a minacciare i suoi vicini. Tottoli vede nelle rivoluzioni del mondo arabo una spinta verso la democrazia, si legga i commenti di Daniel Pipes e Livio Caputo pubblicati in altra pagina della rassegna IC di oggi, scoprirà che la situazione non è così semplice, con i fondamentalisti ben infiltrati nei movimenti. La nuova costituzione votata in Egitto è un esempio lampante di quello che sta succedendo.
Ecco l'articolo:
M anca un ultimo passo alla gioventù araba e musulmana delle rivolte per ambire a un futuro veramente nuovo: affermare e pretendere il riconoscimento di Israele e chiedere ai coetanei israeliani di mobilitarsi anche loro per la creazione di uno Stato palestinese, deponendo ogni ostilità. E chiedere alle forze politiche nuove e forse libere, Fratelli musulmani compresi, di fare lo stesso. I giovani arabi e musulmani hanno adesso l’occasione storica per chiudere un passato ingombrante. Hanno l’opportunità di tentare vie nuove e di non guardare più dal basso i coetanei israeliani, ma di incalzarli, di rilanciare per la prima volta un’azione politica che non sia stantia e di retroguardia. Dicano chiaro e tondo che non credono più neppure alla propaganda anti-israeliana e anche antisemita che i loro regimi iniettavano o permettevano a piene mani da decenni. Dicano che hanno capito che lo facevano per aprire una comoda e indolore valvola di sfogo con una mano, mentre con l’altra non facevano nulla di concreto per la causa palestinese. Allo stesso tempo, però, tolgano enfasi e pretese di esclusivismo al fattore religioso di ognuna delle parti, perché non ha ragione storica d’essere. Gerusalemme è importante, ma non è Mecca, né è mai stata nel corso della storia il centro della religiosità musulmana. Chiedano, i musulmani, che sia riconosciuto loro il diritto di celebrare nei propri luoghi il ricordo di quel che fu Gerusalemme per Maometto e la storia del primo Islam, senza che l’esasperazione simbolica alimenti una pretesa di primato religioso. E chiedano ai giovani israeliani di mobilitarsi e fare lo stesso, di ricondurre la sacralità connessa al Tempio nella sua reale dimensione storica, tralasciando campagne archeologiche che vanno a caccia di luoghi sacri per poter dimostrare una primogenitura sulle pietre. Queste operazioni, per gli uni e per gli altri, non sono più l’esercizio della propria libertà di fede, bensì i frutti avvelenati che la cattiva politica ha generato negli ultimi decenni. E a quei musulmani che ancora sostengono come la terra di Palestina sia nel cuore della Dar al-islam, «la Casa dell’Islam» , questi giovani figli del web dovrebbero spiegare come il futuro ha ormai travolto vecchi muri e confini. Che non ha più senso continuare a ribadire categorie medievali quando vi sono e prosperano comunità musulmane emigrate ovunque che hanno ben altre prospettive ed esperienze vissute. Lo facciano ora, chiamando anche i coetanei israeliani fuori dalla loro prigionia di uno Stato accerchiato e di un muro reale che chiude in un nuovo ghetto ogni speranza di convivenza. Il patrimonio politico delle rivolte arabe non potrebbe essere speso meglio. Se avranno la forza di farlo, e farlo insieme ai coetanei israeliani, o sapranno comunque trovare argomenti convincenti sulla stessa linea, riusciranno in un risultato ancora più grande. Riusciranno a sbugiardare una dirigenza palestinese che non ha più saputo rilanciare un’azione politica incalzante e vincente, e che ha ingrassato aristocrazie della diaspora e illuso milioni di profughi palestinesi abbandonati e senza diritti da decenni. Potranno per la prima volta minare la retorica di governi israeliani che dietro la mobilitazione continua in nome della sicurezza, forse comprensibili trent’anni fa, hanno ormai evidenti istinti di egemonia coloniale con un cinismo non inferiore alla crudeltà dei regimi circostanti. E insieme a tutto questo, potranno cancellare quella presenza occidentale invadente e continua nel mondo islamico, fatta di interventi umanitari e di Ong, per mezzo delle quali si celebra la retorica di un occidente «buono» accanto a uno «cattivo» , mentre allo stesso tempo si perpetua una presenza straniera massiccia quasi quanto ai tempi del colonialismo. Questi giovani, questi giovanimusulmani e quelli che li hanno sostenuti in Europa e nel mondo, sono pronti a guardare al futuro e non più al passato anche per Israele e Palestina? A farlo senza frustrazioni né vittimismi, con voglia di cambiare per sempre il mondo in cui hanno vissuto? Questo potrebbe essere il momento giusto. Ora è l’occasione, irripetibile e unica, per farlo.
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