Sul CORRIERE della SERA di oggi, 02/04/2011, a pag.9, un efficace riassunto di Guido Olimpio, delle varie tappe del fondamentalismo musulmano contro la libertà di pensiero e i diritti civili, dal titolo "Da Rushdie alle vignette danesi la miccia delle 'crisi blasfeme':

WASHINGTON— Una volta chiesero ai dirigenti iraniani se la fatwa di morte. contro Salman Rushdie fosse sempre valida. Lapidaria la risposta: «La freccia è già stata scoccata» . Un modo per dire che qualcuno avrebbe colpito comunque l’autore dei Versetti satanici a prescindere dagli ordini della gerarchia religiosa. Le «crisi blasfeme» non conoscono mai la parola fine. Non c’è perdono, né oblio. Una vignetta o la provocazione contro l’Islam provocano reazioni immediate e a scoppio ritardato. Sono vere bombe a orologeria che qualcuno— per motivi diversi— decide di innescare per incendiare le piazze. La storia di Rushdie è esemplare. Il controverso libro esce nel 1988 e ci sono le prime contestazioni. Ma con un editto religioso — una fatwa, appunto — emessa il 14 febbraio del 1989 l’ayatollah Khomeini si impadronisce della protesta. Per ragioni di politica interna e tentativi di pilotare la rabbia dei musulmani, l’imam lancia la maledizione di morte. Lo scrittore anglo-indiano è costretto a vivere sotto scorta, minacciato da estremisti di ogni latitudine. E non riuscendo a colpirlo, gli islamisti ben presto se la prendono con chi ha accettato di tradurre il libro. Un giapponese è pugnalato a morte nel 1991, poi è ferito l’italiano Ettore Capriolo, quindi altri. Infine c’è una strage a Sivas (Turchia), nel 1993, in qualche modo legata alla storia. Dai versetti ai disegni. Nel settembre 2005 il quotidiano danese Jyllands-Posten pubblica delle vignette satiriche su Maometto. Il vulcano esplode però all’inizio del 2006 con gli assalti a diverse ambasciate. Manifestazioni che diventano sempre più violente ed aprono un fronte con diramazioni planetarie. L’anno dopo i qaedisti dell’Iraq mettono una taglia sui disegnatori. Nel giugno 2008 c’è un attentato kamikaze all’ambasciata danese di Islamabad (Pakistan). Nel solo 2010 sono registrati ben cinque episodi con attentati riusciti o progettati. Si tratta di azioni che hanno per protagonisti attori diversi. Cellule legate alla realtà irachena. Lupi solitari come il giovane somalo che prova ad entrare nella casa di un giornalista. Professionisti del terrore mandati in missione da formazioni basate in Pakistan. Poiché c’è di mezzo una questione transnazionale— religione, il Profeta— è possibile colpire ovunque. E ciò spiega perché un giovane iracheno si fa saltare in una strada di Stoccolma. Emergerà più tardi la presenza di un complice in Gran Bretagna, Paese dove l’attentatore ha vissuto a lungo. E il mandante è probabilmente nascosto in Iraq. Più oscura la mente che ha armato la mano di un ex pugile ceceno rimasto ferito a Copenaghen da una lettera bomba. Era sua intenzione spedirla al quotidiano danese. La vicenda delle vignette, nell’estate 2010, è stata affiancata da quella del Corano in Florida. Il pastore Terry Jones minaccia di bruciarne una copia nell’anniversario dell’ 11 settembre. Il rogo non ci sarà, ma scoppierà invece l’incendio della protesta. Passano i mesi e il 21 marzo Jones, testardo e pericoloso, rilancia la sua sfida dando fuoco al Corano. Quanto basta per riaprire l’offesa. Gli ideologi radicali si riappropriano della risposta, sommano il gesto blasfemo agli altri, sfruttano l’idiozia di personaggi come Jones. Vignette, libri, gesti diventano legna per alimentare il fuoco dell’odio. Gli appelli alla lotta sono poi raccolti dalla seconda categoria. Quella dei terroristi e di coloro che si sentono in guerra permanente con l’Occidente. Oltre alla spinta religiosa, c’è una ragione tattica. Chi è lontano dai teatri jihadisti o non fa parte di organizzazioni è nelle condizioni di trovare un bersaglio facile. Magari a pochi chilometri da casa. In Europa e spesso in Paesi aperti allo straniero. Con un attacco gli attentatori provocano sorpresa e diventano, a loro volta, modelli da imitare. Questa volta la «vendetta» tardiva ha insanguinato l’Afghanistan dove i militanti si sono serviti della storia del Corano per trucidare degli innocenti. Nella tradizione qaedista— e con questo non intendiamo solo Osama Bin Laden — le stragi hanno sempre una giustificazione, sono atti in difesa di un Islam minacciato. La colpa di un singolo ricade su intere comunità, con un prezzo da pagare in vite umane totalmente ingiustificato. Anche un episodio lontano diventa la cortina dietro la quale nascondersi per firmare l’ultimo massacro.
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