Promuovere i legami con l'Iran, incontri con Hamas Il nuovo Egitto 'democratico' post-Mubarak
Testata: Il Foglio Data: 31 marzo 2011 Pagina: 3 Autore: Redazione del Foglio Titolo: «Con Hezbollah e l’Iran, il ministro egiziano sembra D’Alema»
Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 31/03/2011, a pag. 3, l'articolo dal titolo "Con Hezbollah e l’Iran, il ministro egiziano sembra D’Alema".
Nabil el Arabi
Roma. Il governo ad interim e non eletto, nominato per sorvegliare le modifiche alla Costituzione e lasciare il posto ai successori tra cinque mesi, sta invece stravolgendo la politica estera del Cairo. Ieri il nuovo ministro degli Esteri, Nabil el Arabi, ha dichiarato in conferenza stampa che l’Egitto “vuole promuovere i legami con l’Iran e non lo considera un’entità nemica”, anche se non si è sbilanciato fino a dire se aprirà un’ambasciata egiziana a Teheran. Il ministro degli Esteri iraniano, Ali Akbar Salehi, si è naturalmente affrettato a salutare con calore l’insperata apertura arrivata dal Cairo. E’ il primo atto genuinamente rivoluzionario del governo del dopo Mubarak. Fino a febbraio l’Egitto è stato il paese cerniera tra gli Stati Uniti e Israele da una parte e il resto del mondo arabo dall’altra. Mubarak era allineato saldamente con l’Arabia Saudita, che parla del regime iraniano come del “serpente a cui va tagliata la testa”. Questo salto di campo non è nella lista dei cambiamenti invocati nelle piazze dai giovani e dai sindacati, che invece protestavano per ottenere maggiori diritti civili e riforme economiche. Ma sulle questioni interne il nuovo potere al Cairo si sta mostrando decisamente rigido e conservatore – ha appena proibito le manifestazioni e i sit-in come quelli che hanno deciso la fine del regime. Il neoministro egiziano si è anche sbilanciato a favore del movimento sciita libanese Hezbollah, che ha definito “parte della politica e della società del Libano, con i quali apriremo comunicazioni”. L’anno scorso ventisei uomini di Hezbollah sono stati arrestati in Egitto con l’accusa di “terrorismo”, ma lo scorso 3 febbraio, approfittando dei disordini, sono fuggiti dal carcere. Una spiegazione razionale della nuova linea impressa ieri alla politica estera egiziana potrebbe essere la visita nelle stesse ore del capo del Comando centrale americano, il generale James Mattis, al capo di stato maggiore egiziano, Mohammed Tantawi. Con le dichiarazioni del ministro, il Cairo ha alzato d’improvviso il prezzo della propria collaborazione con Washington. Il messaggio inequivocabile è: “Vi conviene tenerci stretti”. Ieri il ministro el Arabi si è anche incontrato con due inviati di Hamas, compreso “il ministro degli Esteri” dell’organizzazione palestinese, Mahmoud al Zahar, che ha assicurato che “Hamas non è una minaccia per la sicurezza dell’Egitto”. E’ l’effetto silenzioso di un’altra piccola rivoluzione: il dossier palestinesi è stato trasferito dal ministero dell’Interno, ovvero dalla Sicurezza, nelle mani dell’inflessibile Omar Suleiman, a quelle del ministero degli Esteri, come se si trattasse di un normale rapporto diplomatico con un paese straniero. L’Egitto cooperava a fianco di Israele contro il contrabbando di armi dentro la Striscia di Gaza controllata da Hamas. Oltre a tenere chiuso il valico di Rafah – ma la sua prossima apertura è allo studio – dal novembre 2009 gli egiziani hanno cominciato la costruzione di una barriera sotterranea di acciaio per bloccare circa 400 tunnel, che non ha mai attirato le polemiche che circondano la barriera di protezione eretta da Israele. Nell’aprile 2010 Hamas ha accusato l’Egitto di avere pompato gas velenoso dentro un tunnel e di avere ucciso quattro contrabbandieri. Difficile che il ministro el Arabi, che da giudice alla Corte internazionale dell’Aia ha condannato la barriera israeliana e ha chiesto di processare Gerusalemme per genocidio, ora voglia contenere Hamas sul lato sud. Il ministro piuttosto ambisce a mediare la riunificazione tra Hamas e Fatah: considerato il rapporto di forza, l’ibrido politico si trasformerebbe presto in un governo Hamas. Al Zahar ha ringraziato per la fresca condanna egiziana dei raid israeliani sulla Striscia, “un segno del nuovo spirito positivo e del cambiamento seguiti alla cacciata di Mubarak”.
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