Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 31/03/2011, alle pag. 16-17, due articoli di Davide Frattini titolati " La rabbia di Assad: Complotto straniero per distruggere la Siria " e " I 20.000 spettri di Hama che attendono giustizia ".
Ecco i due pezzi:
" La rabbia di Assad: Complotto straniero per distruggere la Siria "

Bashar al Assad
Quando un parlamentare tra i più devoti, lo interrompe e gli urla «per te il Medio Oriente è troppo piccolo, sei il leader di tutto il mondo» , diventa chiaro che il presidente non sta per annunciare quello che i siriani aspettano. Bashar Assad liquida la questione leggi d’emergenza e sotterra sotto motivazioni sociali le speranze di chi è sceso in strada per chiedere la loro abolizione: «Prima di abrogarle, ci sono altre priorità. Bisogna pensare a quei genitori che non hanno abbastanza denaro per pagare le cure dei propri figli» . Promette tutto (salari più alti, sostegno economico, educazione) tranne quello che tutti vogliono. Il potere del regime non si tocca, è incastonato con quelle norme speciali in vigore dal 1963. Con tre ore di ritardo, il leader si presenta davanti all’assemblea. Il discorso viene trasmesso in diretta televisiva e rilanciato dalle radio. Dal podio di legno intarsiato, Assad parte rilassato, all’inizio parla senza leggere gli appunti. Accusa gli «stranieri di aver ordito un complotto» : «Un piano avviato già da settimane, con sms spediti dall’estero, con le emittenti arabe subito pronte a fomentare e con video amatoriali contraffatti pubblicati su Internet. Una minoranza di siriani cospira dall’interno con questi nostri nemici. Non voglio dire che tutti i manifestanti siano agenti assoldati da altre forze» . Ripete di essere «per le riforme» e di voler rispondere alle richieste della gente: «Ma l’unità e la stabilità della Siria sono adesso più importanti» . Minaccia: «Se saremo costretti a scendere in battaglia, che battaglia sia» . — dice di essere dispiaciuto per le vittime («gli ordini erano chiari, nessuno doveva sparare sui dimostranti» ) ed esalta Deraa, la città a sud dove la protesta è stata più dura: «E’ nei nostri cuori, sta in prima linea contro il nemico israeliano. E’ impossibile per una persona, allo stesso tempo, difendere la nazione e provare a danneggiarla» . Le parole del presidente, succeduto al padre Hafez nel 2000, sono state respinte dagli oppositori. Pochi minuti dopo la fine dei proclami, la pagina Facebook creata per la rivolta ((97 mila iscritti) incitava i giovani a protestare: «E’ scandaloso che un uomo del genere possa governarci. Tutti in strada ragazzi» . A Deraa il corteo si è formato, quando i partecipanti ai funerali di quattro vittime della protesta sono affluiti insieme verso il centro. A Latakia hanno manifestato in tremila, scandendo «Basta con il regime» . Testimoni hanno raccontano al New York Times che l’esercito avrebbe sparato e almeno due persone sarebbero state uccise. Dal 18 marzo i morti in tutto il Paese sarebbero 61 secondo Human Rights Watch. In strada sono scesi anche i sostenitori del regime. Hanno ripetuto gli slogan urlati dai p a r l a m e n t a r i : «Con le nostre anime e il nostro sangue ci sacrificheremo per te Bashar» . Gli Stati Uniti hanno criticato il discorso «inconsistente » : «Saranno i siriani a giudicare quello che hanno ascoltato e a decidere se Assad ha offerto qualcosa alle loro speranze di riforme. Crediamo saranno delusi» , ha commentato Mark Toner, portavoce del Dipartimento di Stato. «E’ troppo facile parlare di complotti. Le leggi d’emergenza sono incompatibili con i diritti dei cittadini» .
" I 20.000 spettri di Hama che attendono giustizia "

Hama, Siria
I fantasmi di Hama tornano a galla con l’acqua del fiume rivoltata dai mulini. Sono passati quasi trent’anni dall’ «incidente» , come lo chiamano da queste parti, eppure anche una definizione così vaga è detta in un sussurro. I siriani non vogliono ricordare quello che non possono dimenticare in giorni di rivolta. Le tre settimane nel febbraio del 1982, quando la città è stata assediata dalle forze speciali dell’esercito, devastata dai bombardamenti dell’artiglieria: Hafez Assad aveva deciso di seppellire sotto le macerie la frenesia rivoluzionaria dei Fratelli Musulmani. Il vecchio sta seduto sulla sedia di plastica bianca in mezzo al salotto, l’intreccio tra l’erba e i fiori di colza gli regala un tappeto giallo e verde. La parete della camera da letto è ingrigita come la sua barba, ha preso la pioggia e il vento. Il resto della casa è ancora in piedi, poche stanze con vista sui ruderi. Ahmed ci è tornato «alla fine dell’incidente» e non se ne è più andato: «I militari hanno occupato tutta l’area per venticinque giorni— dice— e noi siamo fuggiti dai parenti nei villaggi sulle montagne» . Attorno ai pochi cubi grigi rimasti, c’è solo la terra argillosa che sembra avanzata da un cantiere. Un buco in mezzo alla città, dove prima gli edifici stavano ammucchiati uno vicino all’altro. Il bianco delle vecchie pietre spunta sotto i prati. L’Apamee Cham Palace, albergo a quattro stelle, è stato costruito dal regime sopra le fosse comuni. Riempite di donne, bambini, uomini: per insabbiare il massacro e confondere chi in questi anni ha cercato di assegnare un numero definitivo alla contabilità dell’orrore. Ad Hama sarebbero state ammazzate tra le 10 e le 20 mila persone. «Almeno cinquecento case sono state demolite dai colpi di mortaio e di artiglieria, le macerie. spianate dai bulldozer — scrive in un rapporto il Syrian Human Rights Committee, basato a Londra—. Le scuole, i negozi, le cliniche, le officine sono state abbattute con l’esplosivo» . Il massacro è la rappresaglia di Assad per le incursioni e gli attacchi dei Fratelli Musulmani, che nel 1980 tentano anche di assassinarlo. All’alba del 3 febbraio, l’esercito circonda la città, dagli altoparlanti delle moschee gli imam invocano la guerra santa sunnita contro gli alauiti e il partito Baath al potere. Le operazioni per inumare l’insurrezione sono guidate da Rifaat, fratello del presidente. Il regime offre la sua versione a John Kifner del New York Times: «I fondamentalisti hanno reagito, quando abbiamo scoperto un deposito d’armi segreto. Hanno assaltato i soldati mentre dormivano nelle loro case, uccidendo le donne e i bambini, mutilando i cadaveri e trascinandoli per le strade, accecati dall’odio» . Trent’anni dopo, gli altoparlanti diffondono nelle vie il discorso di Bashar Assad davanti al parlamento, il figlio succeduto al padre promettendo le riforme. I clacson delle auto ritmano i proclami del leader e dai finestrini i sostenitori del regime sventolano la bandiera siriana. Il corteo gira attorno al minareto della moschea Omar ibn al-Khattab, innalzata sopra le macerie. Cancellati i Fratelli Musulmani, il laico Hafez aveva voluto coccolare gli imam: sponsorizza gli studi religiosi e fa costruire centoventi scuole dove viene insegnata la recitazione del Corano. La città vecchia sta dall’altra parte del fiume Oronte, viuzze di pietra bianca e botteghe di artisti. Pochi vogliono parlare, Hama è rimasta calma, le manifestazioni sono state organizzate dai fiancheggiatori della famiglia Assad. «Gli islamisti che sono sopravvissuti — racconta Mustafà — sono scappati in Arabia Saudita e Giordania. I religiosi restano lo stesso forti in questa zona, è l’unica in tutto il Paese. Stanno nascosti, aspettano» . Dentro un cortile, il comune ha allestito il museo dedicato alla storia locale. Le foto in bianco e nero mostrano Hama nel 1927, la fortezza in cima alla collina e le noria di legno, le antiche ruote idrauliche che i turisti vengono a fotografare in gita, 250 chilometri a nord di Damasco. Sotto la teca, il modello in miniatura disegna il profilo dei tetti e delle moschee. Diventa il solo memoriale — involontario — al massacro: sulla mappa tridimensionale, i quartieri distrutti sono una distesa piatta di plastica bianca. Thomas Friedman ha coniato il termine «regole di Hama» per definire la brutalità dei regimi arabi. Quando arriva nel villaggio per raccontare l’eccidio ai lettori del New York Times, domanda a un sopravvissuto «dove siano tutte le case» . «Ci sta passando sopra con l’auto» , è la risposta. «E gli abitanti?» . «Sta passando sopra pure a loro» .
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