Egitto post Mubarak nelle mani dei Fratelli Musulmani analisi del Foglio
Testata: Il Foglio Data: 29 marzo 2011 Pagina: 3 Autore: La Redazione del Foglio Titolo: «Così al Cairo militari e islamisti ipotecano il futuro egiziano»
Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 29/03/2011, a pag. 3, l'articolo dal titolo " Così al Cairo militari e islamisti ipotecano il futuro egiziano ".
Roma. Le elezioni parlamentari in Egitto si terranno a settembre, mentre non è stata ancora fissata una data per quelle presidenziali. Lo ha annunciato il Consiglio Supremo delle Forze armate, che gestisce il paese dopo le dimissioni dell’ex presidente Mubarak. Il gabinetto egiziano ha appena approvato un decreto legge che punisce scioperi, proteste, dimostrazioni e sit-in. Le pene per gli organizzatori sono severissime e prevedono un anno di carcere. E’ il colpo più duro per le forze laiche del Cairo, dopo il referendum che ha emendato la Costituzione e aperto la strada a elezioni in tempi rapidi. I Fratelli musulmani, dati per favoriti nei sondaggi e decisivi al recente referendum, hanno dato il loro sostegno alla legge marziale repressiva: li aiuterà contro le forze laiche d’opposizione che hanno già iniziato a scendere in piazza contro gli islamici. Le forze d’opposizione vedono nel provvedimento un tentativo di soffocare la voce del popolo della “rivoluzione di piazza Tahrir” che in questi giorni ha contestato per le strade il risultato del referendum di modifica della Costituzione. Esercito e Fratellanza islamica avrebbero fatto un accordo per mantenere la stabilità nel paese al prezzo degli ideali di democrazia che hanno portato alla caduta di Mubarak. Il pericolo di un’eventuale salita al potere dei Fratelli musulmani spaventa adesso i cristiani copti, che temono un aumento dei casi di violenza e discriminazione. Tre giorni fa un gruppo islamista ha attaccato un cristiano nella città di Qena, tagliandogli un orecchio. “Abbiamo applicato la legge di Allah”, hanno proclamato gli islamisti rivendicando l’attacco, perché dicono che il cristiano avesse una relazione con una donna di fede musulmana. In una lettera inviata al segretario di stato americano Hillary Clinton, la comunità copta degli Stati Uniti ha definito l’attuale situazione egiziana un rischio per tutto l’occidente: “I Fratelli musulmani non sono solo una minaccia per la stabilità di Egitto, medio oriente e Israele, ma costituiscono un pericolo diretto anche per gli Stati Uniti e tutta la civiltà occidentale”. Con oltre il 77 per cento delle preferenze, gli egiziani hanno optato per modificare e non riscrivere la vecchia costituzione del 1951. Hanno scelto che la sharia rimanga la base della legge egiziana e che l’Egitto continui a essere uno stato islamico. Il risultato delude i giovani della rivoluzione dei gelsomini, favorevoli al “no”, che speravano di dare un nuovo volto al paese, con uguali diritti per tutti i cittadini senza distinzione di credo religioso. La votazione ha avuto invece una fortissima tendenza confessionale. Secondo i Fratelli musulmani, chi era per il “sì” stava con l’islam e contro i cristiani che invece volevano la cancellazione della sharia come fonte di legge. Nei quartieri più poveri gli estremisti hanno regalato sacchi di farina, carne e olio a chi votava per il “sì”. La Euhro, ong attiva nel monitoraggio all’interno dei seggi, ha segnalato discriminazioni nei confronti della comunità copta. In molti seggi le sezioni erano divise fra cristiani e musulmani. L’Economist ha appena scritto che il referendum ha dimostrato come “Facebook e Twitter siano amatoriali e disorganizzati”. E’ finito nell’ombra, osteggiato, l’eroe di piazza Tahrir, portato in trionfo dai media e dai politici occidentali, ovvero l’impiegato di Google Whael Ghonim, imprigionato da Mubarak prima di dimettersi. Nel mese scorso Ghonim aveva cercato di prendere il microfono per parlare alla folla, presumibilmente per predicare i suoi valori occidentali, ma non ce l’ha fatta perché è stato tenuto lontano dal palco dal servizio di sicurezza dello sceicco al Qaradawi, guru della Fratellanza islamica. Adesso sono in ansia anche le donne egiziane, che nei giorni della rivolta, con o senza velo, avevano scandito la protesta davanti alle tv di tutto il mondo. Era stata una giovane donna, Asmaa Mahfouz, a lanciare la sfida via You- Tube per innescare la mobilitazione di massa. Le più celebri attiviste dei movimenti delle donne si sono schierate per il “no” al referendum sulla Costituzione. Con le norme ancora vigenti dopo la vittoria del “sì”, le donne non sono eleggibili alla presidenza, ma il punto critico principale resta l’articolo due (stablisce che la sharia è la fonte del diritto), di cui hanno chiesto a gran voce l’abolizione. Con una Costituzione a base religiosa interamente applicata i diritti delle donne sono nulli. Venerdì il New York Times, che nei suoi editoriali aveva abbracciato con vigore le proteste pro democrazia di piazza Tahrir, ha pubblicato un report dettagliato sul potere islamista decisivo al Cairo. “Ci sono prove sempre più evidenti di un patto fra i Fratelli musulmani e la giunta militare”, dichiara Elijah Zarwan, analista dell’International Crisis Group. Il Washington Post ieri ha titolato “Setta islamica in ascesa dopo la caduta di Mubarak”. Non si parla dei Fratelli musulmani, ma dei salafiti, oggi in gran fermento perché rappresentano una fetta consistente della popolazione egiziana più povera e pia. Erano anche loro per il “sì” al referendum costituzionale. Ad Alessandria gli studenti sono appena scesi in piazza contro i salafiti. I sostenitori del gruppo islamico radicale – definito dal giornale al Masry al Youm come “simile al wahabismo saudita” – stanno chiedendo le dimissioni del vice primo ministro Yehia al Gamal “colpevole” di avere un atteggiamento “troppo laico”. La ong dei diritti umani egiziana Baladi ha accusato i gruppi islamci di avviare il Cairo nel “tunnel dell’oscurantismo”. Il commento più emblematico sulla falcata islamica arriva dal capo dei salafiti, Mohammed Yaqub: “Adesso la religione entrerà in tutte le cose. Non siete voi che avete detto che saranno le urne a decidere? Non è questa la vostra democrazia? Il popolo cosa vuole? Il popolo dice sì alla religione”. E a chi dice: “Noi non riusciamo a vivere in questo paese” (il riferimento è ai cristiani e ai laici, ndr), l’imam ha così riposto: “Fate come vi pare. Arrivederci, fate buon viaggio! Non avete i visti per il Canada e gli Stati Uniti?”.
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