Siria: Bashar al Assad fa sparare sui manifestanti Due analisi della Redazione del Foglio
Testata: Il Foglio Data: 29 marzo 2011 Pagina: 3 Autore: La Redazione del Foglio Titolo: «Damasco teme la fusione del nocciolo del suo esercito sunnita - Poca acqua e troppi salafiti, l’errore di Assad nel sud siriano»
Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 29/03/2011, a pag. 3, gli articoli titolati " Damasco teme la fusione del nocciolo del suo esercito sunnita " e " Poca acqua e troppi salafiti, l’errore di Assad nel sud siriano ". Ecco i due pezzi:
" Damasco teme la fusione del nocciolo del suo esercito sunnita "
Bashar al Assad
Roma. Nel suo momento più difficile il presidente Bashar el Assad, come tutti i rais investiti dal vento di cambiamento arabo, si chiede se potrà contare sul sostegno leale del suo esercito, il vero elemento che decide l’esito delle rivolte. Quattrocentomila uomini per undici divisioni, in maggioranza coscritti, militari di leva che devono servire per un anno e mezzo, e quasi tutti presi dal serbatoio della maggioranza sunnita – che rappresenta l’ottanta per cento della popolazione. Assad appartiene alla minoranza alawita – che rappresenta invece appena il dodici per cento della popolazione ma occupa le posizioni di potere. L’esercito è specchio del paese: sopra comandanti alawiti e sotto truppe quasi interamente sunnite. E’ da vedere se ora interverranno nelle strade contro i loro correligionari che protestano. Damasco non sa se la pancia delle truppe che è e sarà costretta a schierare nelle piazze per difendere il proprio potere è fatta di militari fedeli o di reclute insofferenti che non vedono l’ora di tentare l’ammutinamento. Gli alawiti sono una corrente scismatica mal tollerata dagli sciiti e decisamente invisa al mondo sunnita, insofferente ai loro eccessi sincretici – un alawita, ad esempio, può bere vino, crede in una divinità trinitaria e riconosce il Natale. Per ora il presidente si fida con certezza soltanto della quarta divisione, comandata da suo fratello Maher. E’ l’unica in tutto l’esercito a essere composta interamente da alawiti, e per questo è stata mandata a sud, nella città di Deraa, con il compito di riportare l’ordine anche a costo di sparare, come sta succedendo con frequenza sempre maggiore, sui manifestanti sunniti – dietro ai quali si intravede la mano organizzativa e sediziosa dei Fratelli musulmani. Ma adesso che la rivolta scoppia in più punti contemporaneamente sulla mappa della Siria, da nord a sud, come farà il presidente siriano? Secondo gli osservatori, l’emergenza potrebbe costringere Assad a ricorrere a una soluzione “alla Bahrein”: importare manodopera volenterosa per aiutarsi nella repressione. I regnanti del Bahrein hanno chiesto aiuto ai sauditi contro i rivoltosi sciiti e il presidente siriano potrebbe fare lo stesso, invertendo il segno: ha un’alleanza incrollabile con l’Iran e con i miliziani di Hezbollah, che difficilmente rifiuterebbero di dargli aiuto. I rapporti con Teheran sono talmente collaudati che a Damasco, tra le strutture dell’esercito siriano, il regime ha trovato posto anche per una postazione di comando militare iraniana. L’intervento dei pasdaran in Siria necessiterebbe di poche ore: gli iraniani hanno tutto quello che serve per un’azione tempestiva e conoscono bene la strada verso Damasco, dove fanno arrivare armamenti di vario tipo con frequenza quotidiana. Teheran potrebbe anche mobilitare anche gli sciiti iracheni, più vicini alla Siria, comprese le frange radicali legate al religioso estremista Motqada al Sadr, che negli ultimi mesi si divide tra la città di Najaf e gli studi coranici in Iran. Senza contare la galassia di movimenti estremisti sciiti, presenti a vario titolo anche nella stessa Damasco. L’idea di mobilitare la armate di Hezbollah, che Damasco foraggia da tempo persino con missili Scud, presenta controindicazioni maggiori: nessuno può garantire a Bashar al Assad che i miliziani libanesi, una volta chiamati al di qua del confine, non si mettano in testa di far pesare la loro influenza. Dopo due settimane di proteste, le manifestazioni persistono e si ingrossano, nonostante i morti, finora oltre 130. Ricorrere a forze straniere potrebbe essere l’ultima arma e anche la definitiva agnizione: per Assad sarebbe difficile spiegare che la “mezzaluna sciita” che dal Libano corre fino a Teheran sia soltanto una fantasia.
" Poca acqua e troppi salafiti, l’errore di Assad nel sud siriano "
Siria
Roma. In attesa del discorso in cui Bashar el Assad illustrerà le sue “riforme” e la fine dello stato d’emergenza, la repressione continua a scatenarsi a Daraa. La città siriana è assediata da una morsa impenetrabile di blindati e di nuovo ieri le forze speciali di Maher el Assad, fratello del presidente, hanno sparato in centro contro un corteo di alcune migliaia di manifestanti. Daraa è ancora l’epicentro della rivolta siriana, mentre le manifestazioni che hanno sconvolto Latakia, Hama, Homs, la periferia di Damasco e una ventina di altri centri ieri hanno visto una pausa. Tutta la regione Hawran, di cui Daraa è capoluogo, ha sofferto più del resto dell’agricola Siria (è al centro del “Crescente fértile”) della straordinaria siccità di quest’anno. La detenzione per un mese di 15 bambini di otto anni colpevoli di avere scritto slogan antigovernativi sui muri all’uscita da scuola ha funzionato da detonatore in una città già esasperata. Migliaia e migliaia sono stati negli ultimi mesi i contadini della regione che hanno cercato rifugio nel capoluogo per fuggire a campagne devastate, senza che il governo provvedesse minimamente all’emergenza. Una miscela esplosiva che è deflagrata spontaneamente, anche se è probabile che l’eterogenesi dei fini abbia giocato un brutto scherzo al regime degli Assad. Dal 2003, infatti, Damasco tollera che tutto l’Hawran funga da santuario e da retrovia vuoi per i baathisti iracheni, vuoi per il network salafita che continua a portare a segno attentati in Iraq, anche dopo la morte del suo fondatore al Zarqawi, ucciso nel giugno 2006. E’ quindi probabile che elementi salafiti iraco-siriani si siano uniti al movimento e forse, ma è solo una ipotesi teorica, a loro si deve lo slogan risuonato nelle strade della città nei giorni scorsi: “Né Iran, né Hezbollah, Siria libera!”. Parola d’ordine che contrasta i capisaldi della politica estera e del Baath siriano, basata sull'alleanza ferrea con Teheran e sul protettorato libanese tramite Hezbollah, ma che potrebbe – di nuovo il condizionale è d’obbligo – anche rilevare la presenza di quel profondo tratto anti sciita che è una delle caratteristiche del salafismo. Certo è che Maher el Assad si è visto apostrofare da manifestanti che lo schernivano perché sparava contro di loro “invece di andare a liberare il Golan”. Di nuovo slogan ambiguo, sicuramente teso a colpire Israele, ma soprattutto a rilevare come la principale missione che la retorica del regime attribuisce alla famiglia Assad è appunto quella “liberazione del Golan”, invocata da 44 anni e mai perseguita. Nel complesso, è sicuro che, come e più dell’Egitto, soltanto i Fratelli musulmani possiedano una presenza su tutto il territorio (soprattutto ad Aleppo, Hama, Homs e Latakia) che permette loro un coordinamento della protesta e un ruolo centrale nell’eventuale “dopo Assad”. Anche in Siria, però, gioca un ruolo determinante il sito Syrian Revolution 2011, forte di 75 mila iscritti, il cui animatore, Ahmad Hadifa di 28 anni (arrestato) pare slegato da ogni affiliazione politica. Le rivolte scoppiate a Latakia, città multietnica e multi religiosa e nel Kurdistan siriano ad al Raqqa (tre morti) Afrin e Kamischli indicano una sollevazione popolare che coinvolge tutti i settori della popolazione. Ad eccezione naturalmente degli alawiti (setta misterica di matrice sciita), che conta il 10 per cento della popolazione, a cui appartiene tutto il gruppo dirigente del Baath, dello stato e dell’esercito (ma i militari sono sunniti) e dei cristiani. Questi ultimi, radicati da sempre in Siria, culla del cristianesimo paolino, rappresentano circa il 10 per cento della popolazione, sono divisi in una ventina di riti e da sempre (come nell’Iraq di Saddam Hussein) sono cooptati nella gestione del potere dal regime del Baath, fondato dal cristiano filonazista Michel Aflaq.
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