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La polemica Israel-Lipstadt 27/03/2011
Ovvia la preferenza di Giorgio Israel per la scepsi di Scholem nei confronti del libro della Arendt e del suo irrimediabile estetismo: il razionalismo di Israel è certamente di tradizione ebraica (Maimonide, Spinoza, Freud, Marx, Einstein, Schlick, Mach, Popper, Godel ecc.) ma la sua idea di Ragione non esclude esoterismi iniziatici, come la "kabbalah" la cui opera ho recensito in rete, che non affascinano un razionalista puro.
Ciò significa che l'idea del Bene e della salvezza come necessariamente immanenti la Ragione, idee tipicamente ebraiche, iscrivono Israel in un contesto di razionalismo gnostico, cioè ebraico, in cui la teoria dell'intelligenza non è mai formalistica, ma si declina con una equazione (binah=torah) che amplia l'ambito gnoseologico in senso morale.
E' da questo ambito che si declina la risposta polemica di Israel nei confronti della Lipstadt e della sua sbrigativa liquidazione di Anna Arendt come complice dell'estetica heideggeriana e quindi del nichilismo morale che avrebbe finito per coinvolgerla e anche convincerla.
Rispondere alla Lipstadt ed alla sua critica di collusione almeno estetica della Arendt col nazionalsocialismo bucolico e pastorale di Heidegger, come ha fatto Israel, significa censurare le facili liquidazioni moralistiche senza averne ponderato le condizioni oggettive di evento e di significato sociale, prima ancora che intellettuale. Israel recupera la Arendt non tanto dalla critica della Lipstadt, che non la sfiora, quanto dalla commistione abusiva che di questa fine intellettuale è derivata dal suo rapporto col grande ciarlatano autore di "Sein und Zeit", un libro che indusse il suo maestro Husserl a togliergli il saluto: salva con lei la sua idea filosofica sulla "processualizzazione dell'esperienza" che meritò alla Arendt la lettura dei suoi testi da parte di intellettuali come Marcuse, Adorno e altri autori di ambito mitteleuropeo.
Se la diatriba fra Scholem e la Arendt è risolta da Israel condividendo la morale del primo rispetto l'innegabile estetismo della seconda, ciò accade perchè l'idea di ragione di Israel trascende l'ontologia radicale di Einstein (il dio degli ebrei è ciò che toglie la superstizione) trascende l'antropologia razionale di Levi-Bruhl (la ragione o intelligenza è il risultato della evoluzione dal pensiero selvaggio al pensiero scientifico) e trascende anche il formalismo popperiano o di Godel sulla compatibilità ontologica delle idee, per iscriversi in un contesto più impegnativo, più spirituale, più mistico vale a dire nel contesto ebraico della gnosi: salus intelligere non cogitare.
L'intelligenza è la conoscenza che salva, non il pensiero che apprende.. Israel lo ha già fatto con Von Neumann, ma non tanto perchè si sia deputato a salvare gli intellettuali ebrei da chi li critica o li deride, perchè la sua Ragione, tipicamente neokantiana nelle aspirazioni quanto husserliana nella esigenza di rigore formale, esclude pregio e legittimità a critiche come quelle della Lipstadt che censurano le sue relazioni non le sue idee: è una operazione che compie anche in proprio nei confronti dei suoi detrattori che anzichè considerare la sua evoluzione in senso husserliano come esigenza di un rigore formale di pensiero e di recupero della metafisica in senso machiano e cioè conditio sine qua non di una teoria gnoseologica (e non emotiva) della intelligenza, ripetono la stessa critica relazionale fatta alla Arendt dalla Lipstadt circa la culpa maxima della relazione col grande ciarlatano.
Sursum chorda, quindi, per Giorgio Israel ed il suo soccorso agli intellettuali ebrei criticati da fonti certamente squalificate culturalmente da poterne reggere il confronto; in fin dei conti, il rigore formale del suo ragionamento astratto e la sua forte esigenza metafisica di un ordine tassonomico nel pensiero, non solo logico ma anche gnostico, ha già fatto vedere autori suoi concorrenti, come Odifreddi, escogitare la scusa del rifiuto del premio in matematica perchè già rilasciato al sionista Israel, onde evitare di sedere allo stesso tavolo dei premiati con lui.
Cioè di mettere allo stesso tavolo chi ha scritto "La visione matematica del mondo" e chi ha scritto "Perchè non posso dirmi cristiano".
Vitaliano Bacchi

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