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Chissà cosa pensano i cammelli Gabriele Levy Ho letto il libro “Chissà cosa pensano i cammelli”, di Gabriele Levy, durante un viaggio in treno. L’ho, anzi, riletto, perché avevo già visto una versione precedente, pubblicata on line. E’ trascorso del tempo, quindi, per approfondimenti, riflessioni, ricordi, tra una stesura e l’altra. Il corpo centrale del libro è quello che riguarda l’esperienza di Gabriele come soldato di Zahal, nel bel mezzo della prima guerra del Libano. E’ anche quello che mi è piaciuto di più, intanto perché io c’ero: il mio percorso è stato parallelo al suo per un lungo periodo e le nostre strade si sono incrociate più di una volta. Ma naturalmente quella che si ricorda come una esperienza comune in realtà è diversa nel ricordo, e così ho letto panorami, odori, sapori, avvenimenti che conosco, ma che assumono un! a colorazione diversa attraverso le lenti dell’esperienza di un altro. Poi perché l’esperienza di Gabriele nell’esercito è raccontata con grande sincerità e verità e senza retorica. Anche qui c’è un doppio piano temporale, che rende al testo uno spessore di verità: Gabriele riporta le parole di un diario che teneva nei momenti duri del suo servizio militare, che si mescolano alle parole scritte oggi, mediate dall’oggi nel ricostruire i ricordi. Sono stati giorni difficili, situazioni estreme da affrontare con poca preparazione, così mi è sembrato, in cui Gabriele si trova precipitosamente catapultato e cerca un senso, un ancoraggio alla sua realtà precedente, attraversando crisi dolorose che racconta con efficacia e onestà. Il quadro che dipinge della guerra, delle difficoltà di quei giorni, non è ideologico, ed è raccontato senza edulcorazioni.! Questi tre momenti della scrittura, il diario dei giorni della guerra, il testo della prima stesura che rilegge quel diario con altri occhi, e l’ultima stesura, ulteriore rielaborazione, mi sembra rendano il libro interessante, e non mancano momenti comici che alleggeriscono la tensione di un racconto che comico non è. Aliza Luzzatto |
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